Istorie fiorentine/Libro quinto/Capitolo 22

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Libro quinto

Capitolo 22

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Ferme di poi queste caldezze, si ragionò della via che il Conte dovessi fare, acciò si potesse di ponti, di spianate e di ogni altra cosa munire. Eronci quattro vie: l’una da Ravenna, lungo la marina; questa, per essere in maggiore parte ristretta dalla marina e da paduli, non fu approvata: l’altra era per la via diritta, questa era impedita da una torre chiamata l’Uccellino, la quale per il Duca si guardava, e bisognava, a volere passare, vincerla, il che era difficile farlo in sì breve tempo che la non togliesse la occasione del soccorso, che celerità e prestezza richiedeva: la terza era per la selva del Lugo, ma perché il Po era uscito de’ suoi argini, rendeva il passarvi, non che difficile, impossibile: restava la quarta, per la campagna di Bologna, e passare al ponte Puledrano, e a Cento, e alla Pieve, e intra il Finale e il Bondeno condursi a Ferrara, donde poi, tra per acqua e per terra, si potevono transferire in Padovano e congiugnersi con le genti viniziane. Questa via ancora che in essa fussero assai difficultà e potesse essere in qualche luogo dal nimico combattuta, fu per meno rea eletta. La quale come fu significata al Conte, si partì con celerità grandissima, e a dì 20 di giugno arrivò in Padovano. La venuta di questo capitano in Lombardia fece Vinegia e tutto il loro imperio riempiere di buona speranza, e dove i Viniziani parevano prima disperati della loro salute, cominciorono a sperare nuovi acquisti. Il Conte, prima che ogni altra cosa, andò per soccorrere Verona; il che per obviare, Niccolò se ne andò con lo esercito suo a Soave castello posto intra il Vicentino e il Veronese, e con un fosso, il quale da Soave infino a’ paludi dello Adice passava, si era cinto. Il Conte, veggendosi impedita la via del piano, giudicò potere andare per i monti, e per quella via accostarsi a Verona, pensando che Niccolò, o non credessi che facessi quel cammino, sendo aspro e alpestre, o, quando lo credesse, non fussi a tempo ad impedirlo; e proveduta vettovaglia per otto giorni, passò con le sue genti la montagna, e sotto Soave arrivò nel piano. E benché da Niccolò fussero state fatte alcune bastie per impedire ancora quella via al Conte, non di meno non furono sufficienti a tenerlo. Niccolò adunque, veggendo il nimico, fuora d’ogni sua credenza, passato per non venire seco con disavvantaggio a giornata, si ridusse di là dallo Adice; e il Conte, sanza alcuno ostaculo, entrò in Verona.