Istorie fiorentine/Libro secondo/Capitolo 14

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Libro secondo

Capitolo 14

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Dopo la costui partita, la nobilità salse in speranza di ricuperare la sua dignità; e giudicando il male suo essere dalle sue divisioni nato, si unirono i nobili insieme, e mandorono duoi di loro alla Signoria, la quale giudicavano in loro favore, a pregarla fusse contenta temperare in qualche parte la acerbità delle leggi contro a di loro fatte. La quale domanda, come fu scoperta, commosse gli animi de’ popolani, perché dubitavano che i Signori la concedessero loro; e così, tra il desiderio de’ nobili e il sospetto del popolo, si venne alle armi. I nobili feciono testa in tre luoghi: a San Giovanni, in Mercato Nuovo e alla piazza de’ Mozzi; e sotto tre capi: messer Forese Adimari, messer Vanni de’ Mozzi e messer Geri Spini; i popolani in grandissimo numero sotto le loro insegne al palagio de’ Signori convennono, i quali allora propinqui a San Brocolo abitavano. E perché il popolo aveva quella Signoria sospetta, deputò sei cittadini che con loro governassero. Mentre che l’una e l’altra parte alla zuffa si preparava, alcuni, così popolari come nobili, e con quelli certi religiosi di buona fama, si messono di mezzo per pacificarli, ricordando ai nobili che degli onori tolti e delle leggi contro a di loro fatte ne era stata cagione la loro superbia e il loro cattivo governo; e che lo avere prese ora l’armi, e rivolere con la forza quello che per la loro disunione e loro non buoni modi si erano lasciati torre, non era altro che volere rovinare la patria loro e le loro condizioni raggravare; e si ricordassero che il popolo, di numero, di ricchezze e di odio era molto a loro superiore, e che quella nobilità mediante la quale e’ pareva loro avanzare gli altri non combatteva, e riusciva, come e’ si veniva al ferro, uno nome vano, che contro a tanti a difenderli non bastava. Al popolo dall’altra parte ricordavano come e’ non era prudenzia volere sempre l’ultima vittoria, e come e’ non fu mai savio partito fare disperare gli uomini, perché chi non spera il bene non teme il male; e che dovevano pensare che la nobilità era quella la quale aveva nelle guerre quella città onorata, e però non era bene né giusta cosa con tanto odio perseguitarla; e come i nobili il non godere il loro supremo magistrato facilmente sopportavano, ma non potevano già sopportare che fusse in potere di ciascuno, mediante gli ordini fatti, cacciargli della patria loro; e però era bene mitigare quelli, e per questo benefizio fare posare le armi, né volessero tentare la fortuna della zuffa confidandosi nel numero, perché molte volte si era veduto gli assai dai pochi essere stati superati. Erano nel popolo i pareri diversi: molti volevono che si venissi alla zuffa, come a cosa che un giorno di necessità a venire vi si avesse; e però era meglio farlo allora, che aspettare che i nimici fussero più potenti; e se si credesse che rimanessero contenti mitigando le leggi, che sarebbe bene mitigarle; ma che la superbia loro era tanta che non poserieno mai, se non forzati. A molti altri, più savi e di più quieto animo, pareva che il temperare le leggi non importasse molto, e il venire alla zuffa importasse assai; di modo che la opinione loro prevalse; e providono che alle accuse de’ nobili fussero necessari i testimoni.