Istorie fiorentine/Libro secondo/Capitolo 19

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Libro secondo

Capitolo 19

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Messer Corso e i suoi, perché giudicavano il Papa alla loro parte favorevole, ne andorono a Roma; e quello che già avevono scritto al Papa alla presenza gli persuasono. Trovavasi in corte del Pontefice Carlo di Valois, fratello del re di Francia, il quale era stato chiamato in Italia dal re di Napoli per passare in Sicilia. Parve per tanto al Papa, sendone massimamente pregato dai Fiorentini fuori usciti, infino che il tempo venisse commodo a navigare, di mandarlo a Firenze. Venne adunque Carlo; e benché i Bianchi, i quali reggevano, lo avessero a sospetto, nondimeno, per essere capo de’ Guelfi e mandato da il Papa, non ardirono di impedirgli la venuta; ma, per farselo amico, gli dettono autorità che potesse secondo lo arbitrio suo disporre della città. Carlo, avuta questa autorità, fece armare tutti i suoi amici e partigiani; il che dette tanto sospetto al popolo che non volesse torgli la sua libertà, che ciascuno prese le armi e si stava alle case sue, per essere presto se Carlo facesse alcuno moto. Erano i Cerchi e i capi di parte bianca, per essere stati qualche tempo capi della republica e portatisi superbamente, venuti allo universale in odio; la qual cosa dette animo a messer Corso e agli altri fuori usciti neri di venire a Firenze, sapiendo massime che Carlo e i Capitani di parte erano per favorirgli. E quando la città, per dubitare di Carlo, era in arme, messer Corso con tutti i fuori usciti e molti altri che lo seguitavano, senza essere da alcuno impediti, entrorono in Firenze; e benché messer Veri de’ Cerchi fusse ad andargli incontra confortato, non lo volse fare, dicendo che voleva che il popolo di Firenze, contro al quale veniva, lo gastigasse. Ma ne avvenne il contrario, perché fu ricevuto, non gastigato da quello; e a messer Veri convenne, volendo salvarsi, fuggire; perché messer Corso, sforzata che gli ebbe la porta a Pinti, fece testa a San Piero Maggiore, luogo propinquo alle sue case; e ragunato assai amici e popolo, che desideroso di cose nuove vi concorse, trasse, la prima cosa, delle carcere qualunque o per publica o per privata cagione vi era ritenuto; sforzò i Signori a tornarsi privati alle case loro, ed elesse i nuovi, popolani e di parte nera; e per cinque giorni si attese a saccheggiare quelli che erano i primi di parte bianca. I Cerchi e gli altri principi della setta loro erano usciti della città e ritirati ai loro luoghi forti, vedendosi Carlo contrario e la maggiore parte del popolo nimico; e dove prima ei non avevano mai voluto seguitare i consigli del Papa, furono forzati a ricorrere a quello per aiuto, mostrandogli come Carlo era venuto per disunire, non per unire Firenze. Onde che il Papa di nuovo vi mandò suo legato messer Matteo d’Acquasparta; il quale fece fare la pace intra i Cerchi e i Donati, e con matrimoni e nuove nozze la fortificò, e volendo che i Bianchi ancora degli uffizi participassino, i Neri, che tenevano lo stato, non vi consentirono; in modo che il Legato non si partì con più sua sodisfazione né meno irato che l’altra volta; e lasciò la città, come disubidiente, interdetta.