Istorie fiorentine/Libro secondo/Capitolo 32

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Libro secondo

Capitolo 32

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Ma venuto l’anno 1340, nuove cagioni di alterazioni nacquono. Avevano i cittadini potenti due vie ad accrescere o mantenere la potenza loro: l’una era ristringere in modo le imborsazioni de’ magistrati, che sempre o in loro o in amici loro pervenissero, l’altra lo essere capi della elezione de’ rettori, per averli di poi ne’ loro giudicii favorevoli. E tanto questa seconda parte stimavano, che, non bastando loro i rettori ordinari, uno terzo alcuna volta ne conducevano: donde che, in questi tempi, avevono condotto estraordinariamente, sotto titolo di Capitano di guardia, messer Iacopo Gabrielli d’Agobio, e datogli sopra i cittadini ogni autorità. Costui, ogni giorno, a contemplazione di chi governava, assai ingiurie faceva; e intra gli ingiuriati messer Piero de’ Bardi e messer Bardo Frescobaldi furono. Costoro, sendo nobili e naturalmente superbi, non potevono sopportare che uno forestiere, a torto e a contemplazione di pochi potenti, gli avesse offesi; e per vendicarsi, contro a lui e chi governava congiurorono: nella quale congiura molte famiglie nobili con alcune di popolo furono, ai quali la tirannide di chi governava dispiaceva. L’ordine dato infra loro era che ciascuno ragunasse assai gente armata in casa, e la mattina dopo il giorno solenne di Tutti i Santi, quando ciascuno si truova per i templi a pregare per i suoi morti, pigliare le armi, ammazzare il Capitano e i primi di quelli che reggevano, e di poi, con nuovi Signori e con nuovo ordine, lo stato riformare. Ma perché i partiti pericolosi quanto più si considerano tanto peggio volentieri si pigliano, interviene sempre che le congiure che danno spazio di tempo alla esecuzione si scuoprono. Sendo intra i congiurati messer Andrea de’ Bardi, poté più in lui, nel ripensare la cosa, la paura della pena che la speranza della vendetta, e scoperse il tutto a Iacopo Alberti suo cognato; il che Iacopo ai Priori, e i Priori a quelli del reggimento significorono. E perché la cosa era presso al pericolo, sendo il giorno di Tutti i Santi propinquo, molti cittadini in Palagio convennono, e giudicando che fusse pericolo nel differire, volevono che i Signori sonassero la campana, e il popolo alle armi convocassero. Era gonfalonieri Taldo Valori, e Francesco Salviati uno de’ Signori: a costoro, per essere parenti de’ Bardi, non piaceva il sonare, allegando non essere bene per ogni leggier cosa fare armare il popolo, perché la autorità data alla moltitudine non temperata da alcuno freno non fece mai bene; e che gli scandoli è muovergli facile, ma frenargli difficile; e però essere migliore partito intendere prima la verità della cosa, e civilmente punirla, che volere, con la rovina di Firenze, tumultuariamente, sopra una semplice relazione, correggerla. Le quali parole non furono in alcuna parte udite; ma con modi ingiuriosi e parole villane furono i Signori a sonare necessitati: al quale suono tutto il popolo alla Piazza armato corse. Dall’altra parte, i Bardi e Frescobaldi, veggendosi scoperti, per vincere con gloria o morire sanza vergogna, presono le armi, sperando potere la parte della città di là dal fiume, dove avevano le case loro, difendere; e si feciono forti ai ponti, sperando nel soccorso che dai nobili del contado e altri loro amici aspettavano. Il quale disegno fu loro guasto dai popolani i quali quella parte della città con loro abitavano, i quali presono le armi in favore de’ Signori: di modo che, trovandosi tramezzati, abbandonorono i ponti e si ridussono nella via dove i Bardi abitavano, come più forte che alcuna altra, e quella virtuosamente difendevano. Messer Iacopo d’Agobio, sappiendo come contro a lui era tutta questa congiura, pauroso della morte, tutto stupido e spaventato, propinquo al palagio de’ Signori, in mezzo di sue genti armate si posava; ma negli altri rettori, dove era meno colpa, era più animo; e massime nel podestà, che messer Maffeo da Carradi si chiamava. Costui si presentò dove si combatteva; e senza avere paura di alcuna cosa, passato il ponte Rubaconte, intra le spade de’ Bardi si misse, e fece segno di volere parlare loro: donde che la reverenzia dell’uomo, i suoi costumi e le altre sue grandi qualità feciono ad un tratto fermare le armi, e quietamente ascoltarlo. Costui, con parole modeste e gravi, biasimò la congiura loro; mostrò il pericolo nel quale si trovavano, se non cedevono a questo popolare impeto; dette loro speranza che sarebbono di poi uditi e con misericordia giudicati; promisse di essere operatore che alli ragionevoli sdegni loro si arebbe compassione. Tornato di poi a’ Signori, persuase loro che non volessero vincere con il sangue de’ suoi cittadini, e che non gli volessero, non uditi, giudicare; e tanto operò, che, di consenso de’ Signori, i Bardi e i Frescobaldi, con i loro amici, abbandonarono la città, e senza essere impediti alle castella loro si ritornarono. Partitisi costoro e disarmatosi il popolo, i Signori solo contro a quelli che avevano della famiglia de’ Bardi e Frescobaldi prese le armi procederono; e per spogliarli di potenza, comperorono dai Bardi il castello di Mangona e di Vernia, e per legge providono che alcuno cittadino non potesse possedere castella propinque a Firenze a venti miglia. Pochi mesi di poi fu decapitato Stiatta Frescobaldi, e molti altri di quella famiglia fatti ribelli. Non bastò a quelli che governavano avere i Frescobaldi e i Bardi superati e domi; ma come fanno quasi sempre gli uomini, che quanto più autorità hanno peggio la usano e più insolenti diventano, dove prima era uno capitano di guardia che affliggeva Firenze, ne elessono uno ancora in contado, e con grandissima autorità, acciò che gli uomini a loro sospetti non potessero né in Firenze né di fuora abitare; e in modo si concitorono contro tutti i nobili, ch’eglino erano apparecchiati a vendere la città e loro, per vendicarsi, e aspettando la occasione, la venne bene, e loro la usorono meglio.