Istorie fiorentine/Libro sesto/Capitolo 15

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Libro sesto

Capitolo 15

../Capitolo 14 ../Capitolo 16 IncludiIntestazione 31 agosto 2009 75% Storia

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Era quel re a Tiboli, e volendo seguire la impresa di Toscana, secondo che con Filippo aveva deliberato, parendogli che la guerra che si era già mossa in Lombardia fusse per darli tempo e commodità, desiderava avere un piè nello stato de’ Fiorentini, prima che apertamente si movesse; e per ciò tenne trattato nella rocca di Cennina, in Valdarno di sopra, e quella occupò. I Fiorentini, percossi da questo inopinato accidente, e veggendo il Re mosso per venire a’ loro danni, soldorono genti, creorono i Dieci, e secondo il loro costume si preparorono alla guerra. Era già condotto il Re con il suo esercito sopra il Sanese, e faceva ogni suo sforzo per tirare quella città a’ suoi voleri: non di meno stierono quelli cittadini nella amicizia de’ Fiorentini fermi, e non riceverono il Re in Siena, né in alcuna loro terra: provedevanlo bene di viveri, di che gli scusava la impotenza loro e la gagliardia del nimico. Non parve al Re entrare per la via del Valdarno, come prima aveva disegnato, sì per avere riperduta Cennina, sì perché di già i Fiorentini erano in qualche parte forniti di gente; e si inviò verso Volterra, e molte castella nel Volterrano occupò. Di quindi n’andò in quello di Pisa; e per li favori che gli feciono Arrigo e Fazio de’ conti della Gherardesca, prese alcune castella, e da quelle assalì Campiglia; la quale non possé espugnare, perché fu da’ Fiorentini e dal verno difesa. Onde che il Re lasciò, nelle terre prese, guardie da difenderle e da potere scorrere il paese, e con il restante dello esercito si ritirò alle stanze in nel paese di Siena. I Fiorentini intanto, aiutati dalla stagione, con ogni studio si providdono di gente, capi delle quali erano Federigo signore di Urbino e Gismondo Malatesti da Rimino; e benché fra questi fusse discordia, non di meno, per la prudenza, di Neri di Gino e di Bernardetto de Medici commissari, si mantennono in modo uniti che si uscì a campo sendo ancora il verno grande, e si ripresono le terre perdute nel Pisano e le Ripomerancie nel Volterrano; e i soldati del Re, che prima scorrevono le maremme, si frenorono di sorte che con fatica potevono le terre loro date a guardia mantenere. Ma venuta la primavera, i commissari feciono alto, con tutte le loro genti, allo Spedaletto, in numero di cinquemila cavalli e due mila fanti; e il Re ne venne con le sue, in numero di quindicimila, propinquo a tre miglia a Campiglia. E quando si stimava tornassi a campeggiare quella terra, si gittò a Piombino, sperando di averlo facilmente, per essere quella terra male provvista, e per giudicare quello acquisto a sé utilissimo e ai Fiorentini pernizioso; per ché da quel luogo poteva consumare con una lunga guerra i Fiorentini, potendo provederlo per mare, e tutto il paese di Pisa perturbare. Per ciò dispiacque a Fiorentini questo assalto; e consigliatisi quello fusse da fare, giudicorono che, se si poteva stare con lo esercito nelle macchie di Campiglia, che il Re sarebbe forzato partirsi o rotto o vituperato. E per questo armarono quattro galeazze avevono a Livorno, e con quelle messono trecento fanti in Piombino, e posonsi alle Caldane, luogo dove con difficultà potevono essere assaliti, perché alloggiare alle macchie, nel piano, lo giudica vano pericoloso.