Istorie fiorentine/Libro settimo/Capitolo 15

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Libro settimo

Capitolo 15

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Questo esemplo fece la parte di Piero più gagliarda; e gli amici suoi più nella speranza si confermorono, e quelli che erano neutrali a Piero si aderirono; tal che, essendo le cose pareggiate, più mesi sanza altro tumulto si temporeggiorono. Non di meno la parte di Piero sempre pigliava più forze; onde che gli inimici si risentirono e si ristrinsono insieme, e quello che non avevono saputo o voluto fare per il mezzo de’ magistrati e facilmente, pensorono di fare per forza; e conclusono di fare ammazzare Piero, che, infermo, si trovava a Careggi; e a questo effetto fare venire il marchese di Ferrara con le genti verso la città; e morto Piero, venire armati in Piazza, e fare che la Signoria fermassi uno stato secondo la volontà loro; perché, sebbene tutta non era loro amica, speravano quella parte che fusse contraria farla per paura cedere. Messer Dietisalvi, per celare meglio lo animo suo, vicitava Piero spesso, e ragionavali della unione della città, e lo consigliava. Erano state a Piero rivelate tutte queste pratiche; e di più messer Domenico Martelli gli fece intendere come Francesco Neroni, fratello di messer Dietisalvi, lo aveva sollecitato a volere essere con loro, mostrandogli la vittoria certa e il partito vinto. Onde che Piero deliberò di essere il primo a prender le armi; e prese la occasione dalle pratiche tenute da’ suoi avversarii con il marchese di Ferrara. Finse per tanto avere ricevuta una lettera da messer Giovanni Bentivogli principe in Bologna, che gli significava come il marchese di Ferrara si trovava sopra il fiume Albo con gente, e che publicamente dicevono venire a Firenze. E così, sopra questo avviso, Piero prese l’arme, e in mezzo d’una grande moltitudine di armati ne venne a Firenze. Dopo il quale tutti quelli che seguivono le parti sue si armorono; e la parte avversa fece il simile; ma con migliore ordine quella di Piero, come coloro che erano preparati, e quegli altri non erano ancora secondo il disegno loro a ordine. Messer Dietisalvi, per avere le sue case propinque a quelle di Piero, in esse non si teneva securo; ma ora andava in Palazzo a confortare la Signoria a fare che Piero posasse l’arme, ora a trovare messer Luca, per tenerlo fermo nelle parti loro. Ma di tutti si mostrò più vivo che alcuno Niccolò Soderini, il quale prese l’arme, e fu seguitato quasi che da tutta la plebe del suo quartiere, e ne andò alle case di messer Luca, e lo pregò montasse a cavallo e venisse in Piazza a’ favori della Signoria, che era per loro; dove senza dubio s’arebbe la vittoria certa, e non volesse, standosi in casa, essere o dagli armati nimici vilmente oppresso, o dai disarmati vituperosamente ingannato; e che a ora si pentirebbe non avere fatto, che non sarebbe a tempo a fare; e che, se e’ voleva con la guerra la rovina di Piero, egli poteva facilmente averla; se voleva la pace, era molto meglio essere in termine da dare, non ricevere, le condizioni di quella. Non mossono queste parole messer Luca, come quello che aveva già posato lo animo, ed era stato da Piero, con promesse di nuovi parentadi e nuove condizioni, svolto; perché avevano con Giovanni Tornabuoni una sua nipote in matrimonio congiunta. In modo che confortò Niccolò a posare l’armi e tornarsene a casa; perché e’ doveva bastargli che la città si governasse con i magistrati; e così seguirebbe, e che le arme ogni uomo le poserebbe, e i Signori, dove loro avevono più parte, sarebbono giudici delle differenze loro. Non potendo adunque Niccolò altrimenti disporlo, se ne tornò a casa; ma prima gli disse: - Io non posso, solo, fare bene alla mia città; ma io posso bene pronosticarle il male: questo partito che voi pigliate farà alla patria nostra perdere la sua libertà, a voi lo stato e le sustanze, a me e agli altri la patria.