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Istorie fiorentine/Libro settimo/Capitolo 16

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Libro settimo

Capitolo 16

../Capitolo 15 ../Capitolo 17 IncludiIntestazione 31 agosto 2009 75% Storia

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La Signoria, in questo tumulto, aveva chiuso il Palazzo, e con i suoi magistrati si era ristretta, non mostrando favore ad alcuna delle parti. I cittadini, e massimamente quegli che avevano seguite le parti di messer Luca, veggendo Piero armato e gli avversarii disarmati, cominciorono a pensare, non come avessino a offendere Piero, ma come avessino a diventare suoi amici. Donde che i primi cittadini, capi delle fazioni, convennono in Palazzo, alla presenza della Signoria, dove molte cose dello stato della città, molte della reconciliazione di quella ragionorono. E perché Piero, per la debilità del corpo, non vi poteva intervenire, tutti d’accordo deliberorono andare alle sue case a trovarlo, eccetto che Niccolò Soderini, il quale, avendo prima raccomandato i suoi figliuoli e le sue cose a messer Tommaso, se ne andò nella sua villa, per aspettare quivi il fine della cosa, il quale reputava a sé infelice e alla patria sua dannoso. Arrivati per tanto gli altri cittadini da Piero, uno di quelli, a chi era stato commesso il parlare, si dolfe de’ tumulti nati nella città, mostrando come di quelli aveva maggiore colpa chi aveva prima prese l’arme; e non sapendo quello che Piero, che era stato il primo a pigliarle, si volesse, erano venuti per intendere la volontà sua, e quando la fusse al bene della città conforme, erano per seguirla. Alle quali parole Piero rispose come, non quello che prende prima le arme è cagione degli scandoli, ma colui che è primo a dare cagione che le si prendino; e se pensassero più quali erano stati i modi loro verso di lui, si maraviglierebbono meno di quello che per salvare sé avesse fatto: perché vedrebbono che le convenzioni notturne, le soscrizioni, le pratiche di torgli la città e la vita lo avevono fatto armare; le quali arme non avendo mosse dalle case sue, facevano manifesto segno dello animo suo, come per difendere sé, non per offendere altri, le aveva prese. Né voleva altro, né altro desiderava che la securtà o la quiete sua; né aveva mai dato segno di sé di desiderare altro; perché, mancata l’autorità della balia, non pensò mai alcuno estraordinario modo per renderliene, ed era molto contento che i magistrati governassero la città, contentandosene quelli. E che si dovevono ricordare come Cosimo e i figliuoli sapevono vivere in Firenze, con la balia e sanza la balia, onorati; e nel ’58, non la casa sua, ma loro la avevano riassunta; e che, se ora non la volevono, che non la voleva ancora egli; ma che questo non bastava loro, perché aveva veduto che non credevono potere stare in Firenze standovi egli. Cosa veramente che non arebbe mai, non che creduta, pensata, che gli amici suoi e del padre non credessero potere vivere in Firenze con lui, non avendo mai dato altro segno di sé, che di quieto e pacifico uomo. Poi volse il suo parlare a messer Dietisalvi e ai fratelli, che erano presenti, e rimproverò loro, con parole gravi e piene di sdegno, i beneficii ricevuti da Cosimo, la fede avuta in quelli e la grande ingratitudine loro. E furono di tanta forza le sue parole, che alcuni de’ presenti in tanto si commossono, che, se Piero non li raffrenava, gli arebbono con l’arme manomessi. Concluse alla fine Piero, che era per approvare tutto quello che loro e la Signoria deliberassero, e che da lui non si domandava altro che vivere quieto e securo. Fu sopra questo parlato di molte cose, né per allora deliberatone alcuna, se non generalmente che gli era necessario riformare la città e dare nuovo ordine allo stato.