Istorie fiorentine/Libro settimo/Capitolo 17

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Libro settimo

Capitolo 17

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Sedeva in quelli tempi gonfaloniere di giustizia Bernardo Lotti, uomo non confidente a Piero, in modo che non gli parve, mentre che quello era in magistrato, da tentare cosa alcuna, il che non giudicò importante molto, sendo propinquo al fine del magistrato suo. Ma venuta la elezione de’ Signori i quali di settembre e di ottobre seggono, l’anno 1466, fu eletto al sommo magistrato Ruberto Lioni; il quale, subito che ebbe preso il magistrato, sendo tutte le altre cose preparate, chiamò il popolo in Piazza, e fece nuova balia, tutta della parte di Piero; la quale poco di poi creò i magistrati secondo la volontà del nuovo stato. Le quali cose spaurirono i capi della fazione nimica; e messer Agnolo Acciaiuoli si fuggì a Napoli, messer Dietisalvi Neroni e Niccolò Soderini a Vinegia, messer Luca Pitti si restò in Firenze, confidandosi nelle promesse fattegli da Piero e nel nuovo parentado. Furono quelli che si erano fuggiti declarati rebelli, e tutta la famiglia de’ Neroni fu dispersa; e messer Giovanni di Nerone, allora arcivescovo di Firenze, per fuggire maggiore male, si elesse voluntario esilio a Roma. Furono molti altri cittadini, che subito si partirono, in varii luoghi confinati. Né bastò questo, che si ordinò una processione per ringraziare Iddio dello stato conservato e della città riunita; nella solennità della quale furono alcuni cittadini presi e tormentati, e di poi parte di loro morti e parte posti in esilio. Né in questa variazione di cose fu esemplo tanto notabile quanto quello di messer Luca Pitti; perché subito si cognobbe la differenza quale è dalla vittoria alla perdita, da il disonore all’onore. Vedevasi nelle sue case una solitudine grandissima, dove prima erano da moltissimi cittadini frequentate; per la strada gli amici, i parenti, non che di accompagnarlo, ma di salutarlo temevano, perché a parte di essi erano stati tolti gli onori e a parte la roba, e tutti parimente minacciati; i superbi edifici che gli aveva cominciati furono dagli edificatori abbandonati; i beneficii che gli erano per lo adietro stati fatti si convertirono in ingiurie, gli onori in vituperii; onde che molti di quelli che gli avieno per grazia alcuna cosa donata di grande prezzo, come cosa prestata ridomandavano; e quelli altri che solevono insino al cielo lodarlo, come uomo ingrato e violento lo biasimavano. Tal che si pentì, tardi, non avere a Niccolò Soderini creduto e cercò più tosto di morire onorato con le armi in mano, che vivere intra i vittoriosi suoi nimici disonorato.