Istorie fiorentine/Libro terzo/Capitolo 14

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Libro terzo

Capitolo 14

../Capitolo 13 ../Capitolo 15 IncludiIntestazione 31 agosto 2009 75% Storia

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Mentre che costoro ad occupare la republica si preparavano, questo loro disegno pervenne a notizia de’ Signori: per la qual cosa ebbono uno Simone dalla Piazza nelle mani, da il quale intesono tutta la congiura, e come il giorno seguente volevono levare il romore. Onde che, veduto il pericolo, ragunorono i Collegi e quelli cittadini che insieme con i sindachi delle Arti l’unione della città praticavano (e avanti che ciascuno fusse insieme era già venuta la sera), e da quelli i Signori furono consigliati che si facessero venire i consoli delle Arti: i quali tutti consigliorono che tutte le genti d’arme in Firenze venire si facessero, e i gonfalonieri del popolo fussero la mattina, con le loro compagnie armate in Piazza. Temperava l’oriolo di Palagio, in quel tempo che Simone si tormentava e che i cittadini si ragunavano, uno Niccolò da San Friano; e accortosi di quello che era, tornato a casa, riempié di tumulto tutta la sua vicinanza; di modo che, in un subito, alla piazza di Santo Spirito più che mille uomini armati si ragunorono. Questo romore pervenne agli altri congiurati; e San Piero Maggiore e San Lorenzo, luoghi deputati da loro, di uomini armati si riempierono. Era già venuto il giorno, il quale era il 21 di luglio, e in Piazza, in favore de’ Signori, più che ottanta uomini d’arme comparsi non erano; e de’ gonfalonieri non ve ne venne alcuno, perché, sentendo essere tutta la città in arme, di abbandonare le loro case temevono. I primi che della plebe furono in Piazza furono quelli che a San Piero Maggiore ragunati s’erano; allo arrivare de’ quali la gente d’arme non si mosse. Comparsono, appresso a questi, l’altra moltitudine; e non trovato riscontro, con terribili voci i loro prigioni alla Signoria domandavano; e per avergli per forza, poi che non erano per minacce renduti, le case di Luigi Guicciardini arsono; di modo che i Signori, per paura di peggio, gli consegnorono loro. Riavuti questi, tolsono il gonfalone della giustizia allo esecutore, e sotto quello le case di molti cittadini arsono, perseguitando quelli i quali o per publica o per privata cagione erano odiati. E molti cittadini, per vendicare loro private ingiurie, alle case de’ loro nimici li condussero: perché bastava solo che una voce, nel mezzo della moltitudine: - a casa il tale! - gridasse, o che quello che teneva il gonfalone in mano vi si volgesse. Tutte le scritture ancora dell’Arte della lana arsono. Fatti che gli ebbono molti mali, per accompagnarli con qualche lodevole opera, Salvestro de’ Medici e tanti altri cittadini feciono cavalieri, che il numero di tutti a sessantaquattro aggiunse; intra i quali Benedetto e Antonio degli Alberti, Tommaso Strozzi e simili loro confidenti furono; non ostante che molti forzatamente ne facessero. Nel quale accidente, più che alcuna altra cosa, è da notare lo avere veduto a molti ardere le case e quelli poco di poi, in un medesimo giorno, da quelli medesimi (tanto era propinquo il beneficio alla ingiuria) essere stati fatti cavalieri, il che a Luigi Guicciardini gonfaloniere di giustizia intervenne. I Signori, intra tanti tumulti, vedendosi abbandonati da le genti d’arme, dai capi delle Arti e dai loro gonfalonieri, erano smarriti; perché niuno secondo l’ordine dato gli aveva soccorsi, e di sedici gonfaloni solamente la insegna del Lione d’oro e quella del Vaio, sotto Giovenco della Stufa e Giovanni Cambi, vi comparsono; e questi poco tempo in Piazza dimororono, perché, non si vedendo seguitare dagli altri, ancora eglino si partirono. Dei cittadini dall’altra parte, vedendo il furore di questa sciolta moltitudine, e il Palagio abbandonato, alcuni dentro alle loro case si stavano, alcuni altri la turba degli armati seguitavano, per potere, trovandosi infra loro, meglio le case sue e quelle degli amici difendere: e così veniva la potenza loro a crescere e quella de’ Signori a diminuire. Durò questo tumulto tutto il giorno; e venuta la notte, al palagio di messere Stefano, dietro alla chiesa di San Barnaba, si fermorono. Passava il numero loro più che seimilia, e avanti apparisse il giorno, si feciono dalle Arti, con minacce, le loro insegne mandare. Venuta di poi la mattina, con il gonfalone della giustizia e con le insegne delle Arti innanzi, al palagio del podestà ne andorono; e ricusando il podestà di darne loro la possessione, lo combatterono e vinsono.