Istorie fiorentine/Libro terzo/Capitolo 26

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Libro terzo

Capitolo 26

../Capitolo 25 ../Capitolo 27 IncludiIntestazione 31 agosto 2009 75% Storia

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Posate le armi, i Signori prima armorono la Piazza; scrissono di poi dumila cittadini confidenti allo stato, divisi ugualmente per gonfaloni, i quali ordinorono fussero presti al soccorso loro qualunque volta gli chiamassero; e ai non scritti lo armarsi proibirono. Fatte queste preparazioni, confinorono e ammazzorono molti artefici, di quelli che più feroci che gli altri si erano ne’ tumulti dimostri; e perché il gonfaloniere della giustizia avesse più maestà e reputazione, providono che fusse, ad esercitare quella dignità, di avere quarantacinque anni necessario. In fortificazione dello stato ancora molti provedimenti feciono, i quali erano contro a quelli che si facevano insopportabili, e ai buoni cittadini della parte propria odiosi, perché non giudicavano uno stato buono o securo, il quale con tanta violenza bisognasse difendere. E non solamente a quelli degli Alberti che restavano nella città, e ai Medici, ai quali pareva avere ingannato il popolo, ma a molti altri tanta violenza dispiaceva. E il primo che cercò di opporsegli fu messer Donato di Iacopo Acciaiuoli. Costui, ancora che fusse grande nella città, e più tosto superiore che compagno a messer Maso degli Albizzi, il quale per le cose fatte nel suo gonfalonierato era come capo della republica, non poteva intra tanti mali contenti vivere bene contento, né recarsi, come i più fanno, il comune danno a privato commodo; e per ciò fece pensiero di fare esperienza se poteva rendere la patria agli sbanditi, o almeno gli uffici agli ammuniti. E andava negli orecchi di questo e quell’altro cittadino questa sua opinione seminando, mostrando come e’ non si poteva altrimenti quietare il popolo e gli umori delle parti fermare; né aspettava altro che di essere de’ Signori, a mandare ad effetto questo suo desiderio. E perché nelle azioni nostre lo indugio arreca tedio e la fretta pericolo, si volse, per fuggire il tedio, a tentare il pericolo. Erano de’ Signori Michele Acciaiuoli suo consorte e Niccolò Ricoveri suo amico, donde parve a messer Donato che gli fusse data occasione da non la perdere, e gli richiese che dovessero preporre una legge a’ Consigli, nella quale si contenesse la restituzione de’ cittadini. Costoro, persuasi da lui, ne parlorono con i compagni, i quali risposono che non erano per tentare cose nuove, dove lo acquisto è dubio e il pericolo certo. Onde che messer Donato, avendo prima invano tutte le vie tentate, mosso da ira fece intendere loro come, poi che non volevono che la città con i partiti in mano si ordinasse la si ordinerebbe con le armi. Le quali parole tanto dispiacquero che, comunicata la cosa con i principi del governo, fu messer Donato citato; e comparso, fu da quello a chi egli aveva commessa la imbasciata convinto, tale che fu a Barletta confinato. Furono ancora confinati Alamanno e Antonio de’ Medici, con tutti quelli che di quella famiglia da messer Alamanno discesi erano, insieme con molti artefici ignobili, ma di credito appresso alla plebe. Le quali cose seguirono duoi anni poi che da messer Maso era stato ripreso lo stato.