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Iuvenilia (Galilei)/Avvertimento

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Quaestio prima - Quid sit id de quo disputat Aristoteles in his libris De caelo.

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AVVERTIMENTO.





Le scritture scolastiche, che, coll’appellativo di «Iuvenilia», noi diamo qui, seguendo l’ordine cronologico propostoci,1 per la prima volta alla luce, può dirsi rimanessero fino ai nostri giorni quasi del tutto ignorate; chè Domenico Berti vi accennò soltanto per lamentare che fossero state omesse dagli editori dell’opere di Galileo,2 e ad un breve saggio si ridusse quello che, or non ha molto, ne venne portato a conoscenza degli studiosi.3

Dalla famosa dispersione dei manoscritti raccolti già da Vincenzio Viviani, si salvarono queste scritture unite allora in un medesimo codice con alcuni elementi di dialettica, da Galileo stesso copiati nella sua adolescenza:4 ne vennero separate nel riordinamento eseguito da Vincenzio Antinori per commissione del granduca Leopoldo II; ed oggidì tra i Manoscritti Galileiani della Biblioteca Nazionale di Firenze costituiscono il Tomo I della Parte III, la quale, insieme con la IV, comprende tutti i lavori astronomici del nostro Filosofo. Il Codice5 è indicato contenere: «L’esame dell’opera d’Aristotele «De Caelo» fatto da Galileo circa l’anno 1590»; ma vedremo fra poco come l’età di queste scritture e l’indole loro possano essere determinate con maggiore esattezza. Esse risultano di due [p. 10 modifica]frammenti distinti anche materialmente, poichè occupano due fascicoli messi insieme soltanto da chi ordinò l’attuale rilegatura del Codice. Il primo frammento, che nella presente edizione è compreso dalle pagine 15-110, è mutilo alla fine; e quantunque abbia un proprio principio, pure vi si accenna ripetutamente ad altri studi che dovevano precedergli, e dei quali si ignorano le sorti: esso abbraccia una introduzione generale, divisa in due questioni, sull’argomento e sul titolo dei libri di Aristotele De caelo, la Tractatio prima De mundo in quattro questioni, e la Tractatio De caelo della quale abbiamo cinque questioni ed una parte abbastanza notevole della sesta. Il secondo frammento, mutilo in principio ed in fine, comprende pure due trattati. Del primo (pag. 111-122) rimangono le ultime linee d’una questione prima, la questione seconda De intensione et remissione mancante di una conchiusione, e intera la terza ed ultima De partibus sive gradibus qualitatis. Il secondo trattato De elementis (pag. 122-177) comincia con una breve introduzione, alla fine della quale è annunziata la divisione del trattato in quattro parti: la prima si suddivide in quattro questioni, delle quali le due ultime presentano qualche lacuna; e della Secunda disputatio restano le prime tre e parte della quarta, con che l’opera rimane interrotta.

Con tale ordine trovansi oggidì riuniti insieme i due frammenti, e noi abbiamo stimato opportuno di conservarlo: perchè, se da un lato vi sono ragioni le quali persuaderebbero a far precedere il secondo, non mancano gli argomenti per mantenerlo a suo luogo; non ultimo fra’ quali il trovarne citate nel primo alcune parti con un «probabitur suo loco»,6 che non ammette dubbi intorno all’ordine della respettiva precedenza.

Gli «Iuvenilia» occupano le prime cento carte del codice, con interruzioni che al proprio luogo saranno indicate, e sono dalla prima all’ultima linea autografi di Galileo: nè vogliamo nascondere che questa circostanza capitale valse grandemente a togliere di mezzo le incertezze che rispetto alla pubblicazione di dette scritture ci si erano affacciate; anzi, ci affrettiamo a soggiungerlo, non ci volle meno dei larghissimi criteri che ci siamo prefissi di seguire, per indurci ad allogarle nella presente edizione. Tali incertezze avevano per principale fondamento il non potersi in alcun modo fornire la prova squisita che cosiffatte scritture, quantunque stese di pugno di Galileo, siano parto della sua mente, non mancando anzi gravi indizi per credere che in esse non ispetti al nostro Filosofo se non la troppo modesta parte di amanuense.

E, di vero, la nitidezza stessa del Codice esclude fin da principio che si tratti di un primo originale: la erudizione sparsavi in così larga misura permette difficilmente di pensare queste scritture opera d’un giovane; mentre, che Galileo le esemplasse da altro manoscritto lascerebbero argomentare alcuni errori affatto materiali, che si troveranno esattamente indicati appiè di pagina, e i quali, meglio [p. 11 modifica]che con altre ipotesi, si spiegano come inavvertenze di chi trascrive.7 Chiari segni di trascrizione sarebbero pure i luoghi nei quali si trascorre (sebbene poi siasi corretto) da una data parola al passo di qualche linea più sotto, dove la parola medesima trovasi ripetuta.8 Osservabili sono pure alcuni passi guasti e privi di senso, ed alcune lacune, le quali sembrano non potersi attribuire se non al fatto che chi trascriveva non capiva il carattere dell’originale. Notevolissimi poi ci sembrarono i casi di lacune lasciate e, con tutta evidenza, posteriormente riempiute, nei quali lo spazio rimasto bianco non essendo bastato a contenere tutte le parole omesse, sebbene si scrivessero in carattere più minuto, il di più dovette aggiungersi in margine.9 Ma non mancano i luoghi i quali indurrebbero a credere che Galileo, pur trascrivendo, compilava, ossia esprimeva in altri termini il senso del testo che aveva sotto gli occhi.10

Egli era soprattutto da evitarsi che queste scritture, le quali noi avessimo date per Galileiane, si fossero trovate poi stampate ed attribuite ad altro autore; e per ischivare questo massimo pericolo abbiamo usata la maggior diligenza possibile, sia cercando noi stessi, per quanto lo consentivano le cognizioni nostre, sia ricorrendo al parere degli uomini in tali specialissimi studi maggiormente competenti. E poichè l’esame di queste scritture scolastiche pone in evidenza che non differiscono di molto dai consueti commentari coi quali a que’ tempi si esponevano dalla cattedra le dottrine d’Aristotele, ci parve, fino a prova contraria, di poter assumere che tale origine sia ad esse da attribuirsi, come conforterebbero a credere un «ut videtis», e un «adverte me loqui», cattedratico per eccellenza, che vi si riscontrano.

In tali conchiusioni ci conferma l’età di queste scritture, la quale da un luogo d’esse rimane perfettamente determinata. Discutendo la questione «Quid sentiendum sit de origine mundi secundum veritatem», si divide il tempo passato [p. 12 modifica]dalla creazione del mondo in vari periodi, e si scrive che dalla nascita di Cristo fino all’eccidio di Gerusalemme trascorsero 74 anni, «illinc usque ad praesens tempus 1510».11 Senza dubbio alcuno, dunque, ciò scriveva Galileo durante l’anno 1584. Ma in detto anno era egli scolaro nello Studio di Pisa, presso il quale, essendosi immatricolato fra gli artisti,12 attendeva agli studi di filosofìa e di medicina. Quindi le indagini, che noi ci eravamo proposti di istituire, avrebbero potuto trovare in questa circostanza un elemento prezioso, se la quasi completa dispersione dei manoscritti contenenti le lezioni dei professori di filosofia al tempo di Galileo scolaro non ci avesse fatto ricadere nei dubbi e nelle incertezze.

Abbiamo dal Fabbroni,13 che nel tempo durante il quale Galileo fu scolaro di Pisa, Francesco Verini vi lesse filosofia straordinaria; Clemente Quarantotto da Montecatini, filosofia e medicina; Francesco Buonamici, pisano, filosofia; Giulio Libri, fiorentino, la fisica d’Aristotele; Giuseppe Capannoli, pisano, filosofia straordinaria; Rodrigo Fonseca, portoghese, logica: ma delle opere di questi lettori pervenute fino a noi, quella sola del Buonamici De motu,14 la quale noi sappiamo essere stata da Galileo posseduta,15 anzi, più tardi, fatta da lui segno ad aspre critiche,16 contiene parti che presentino una certa affinità con alcuni luoghi di queste scritture scolastiche. E ciò abbiamo voluto espressamente avvertire, perchè la ipotesi, la quale a noi sembra presentare maggiori caratteri di verosimiglianza, è quella appunto che alle lezioni del Buonamici farebbe risalire le prime origini di questi «Iuvenilia».

Le battaglie sostenute da Galileo contro la fisica aristotelica sono note ad ognuno: ma però non s’avevano ancora in pubblico documenti certi, dai quali apparisse che, prima di combatterla, egli l’avesse a fondo studiata. Qualunque sia pertanto il valore che voglia attribuirsi a queste scritture scolastiche, non potrà dirsi privo d’importanza un documento che siffatta prova ci fornisce. Grandi rivoluzioni scientifiche non operarono mai coloro che, ricevuto un buono avviamento, in esso perseverarono; quelli invece che, iniziati in una disciplina e [p. 13 modifica]riconosciutine gli errori, adoperarono nella ricerca del vero gli stessi criteri che li avevano guidati alla scoperta del falso, aprirono alla scienza nuovi orizzonti.

Giustificata per tal modo la pubblicazione di tali scritture, resta che noi diciamo del metodo seguito nel riprodurle. Trovandoci in possesso dell’autografo, credemmo nostro dovere d’attenerci ad esso con la più stretta e costante fedeltà. L’ossequio all’autografo non ispingemmo però fino allo scrupolo di lasciare intatti gli errori di scrittura puramente materiali, i quali correggemmo costantemente. Ci parve pure doveroso, non che lecito, tentar di sanare alcuni passi evidentemente guasti e che nella lezione del Codice in niun modo potevano reggere: questa però cercammo che fosse alterata il meno possibile. E avendo in mira di presentare agli studiosi un testo, che, mentre rendesse immagine esattissima dell’autografo, potesse tuttavia esser letto il meno sgradevolmente che l’ispida materia lo permettesse, ci credemmo autorizzati, massime trattandosi di scrittura latina, cioè non di lingua viva, a ridurre in generale l’ortografia medievale e italianeggiante alle forme più corrette. Tranne però questi casi, nei quali tutti rendemmo conto scrupoloso della lezione del manoscritto, registrandola appiè di pagina, non ci parvero acconsentite altre mutazioni; e il lettore dovrà attribuire all’aver noi voluto allontanarci il meno possibile dall’autografo, anche alcune difformità di grafia che potrà avvertire qua e là. Una speciale cura ponemmo nell’interpunzione, che ci sembrò di dover adottare assai frequente e forte, perchè, obbligando il lettore a frequenti pause, servisse meglio all’intelligenza e tenesse quasi le veci d’un commento perpetuo.

Quanto alle difficoltà d’ogni maniera che dovettero superarsi per la diligente cura del testo secondo queste norme, crediamo fermamente non possa formarsene un adeguato concetto chi non si faccia a confrontare col Codice la nostra edizione; e stimiamo di esser nel vero, aggiungendo che in tali gravissime difficoltà debba ravvisarsi uno dei motivi, per i quali queste scritture scolastiche non furono prima d’ora date alla luce.

Note

  1. Per la edizione nazionale delle Opere di Galileo Galilei sotto gli auspicii di S. M. il Re d’Italia. Esposizione o Disegno di Antonio Favaro. Firenze, tip. di G. Barbèra, 1888.
  2. Storia dei Manoscritti Galileiani della Biblioteca Nazionale di Firenze ed indicazione di parecchi libri e codici postillati da Galileo; nota del socio Domenico Berti: negli Atti della Reale Accademia dei Lincei; Ser. II, Tomo III, pag. 100.
  3. Alcuni acritti inediti di Galileo Galilei tratti dai Manoscritti della Biblioteca Nazionale di Firenze pubblicati ed illustrati da Antonio Favaro: nel Bullettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze Matematiche e Fisiche; Tomo XVIII, pag. 4-24.
  4. Biblioteca Nazionale di Firenze, Indice dei Manoscritti della Biblioteca Nelli, car. 10 v. — Cfr. Intorno ad alcuni Documenti Galileiani recentemente scoperti nella biblioteca Nazionale di Firenze per Antonio Favaro: nel Bullettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze Matematiche e Fisiche; Tomo XIX, pag. 30.
  5. Veggasene una particolareggiata descrizione in Favaro, Alcuni scritti inediti di Galileo Galilei, ecc., pgg. 4-8.
  6. Cfr. pag. 70, lin. 22. Il rimando si riferisce agli argomenti trattati a pag. 170 e seg.
  7. Vedi, p. e., il caso avvertito a pag. 18, nota 3. Notevole è pure che a car. 97 r., alle parole «Secundum, id quod connotative» (pag. 171, lin. 24), secundum, numerale, non è già scritto 2um, come di solito, e come subito appresso, e in questo stesso passo, 3um; ma è scritto im, che è l’abbreviazione costantemente adoperata ad indicare la preposizione secundum.
  8. Veggasi, p. e., il luogo della c. 5 r., avvertito nella nota 1 della pag. 17. Così pure a c. 4 r., dopo lo parole «Albertus Magnus ponit obiectum» (pag. 16, lin. 5), fu scritto «totius Physicae» e poi fu cancellato; ed è dovuto al «totius Physicae» della linea seguente. A car. 18 r. dopo le parole «eiusdem climatis, respectu» (pag. 41, lin. 18) si saltò alle parole «eosdom aspectus successive»; poi fu cancellato o ripreso.
  9. A car. 75 v., lin. 7, era stata lasciata una lacuna corrispondente alle parole «aquae ut patet experientia est minime activus; ergo non potest refrangere» (pag. 136, lin. 32-33); la quale non essendo stata sufficiente a contenere tutto il passo, le parole «ergo non potest refrangere» si aggiunsero marginalmente, richiamandole con relativo segno al loro luogo nell’interno del testo. Egualmente a car. 5 r., lin. 8, le parole «consecutive et per accidens, sed per se» (pag. 17, lin. 10-11) sono scritte in margine e richiamate poi nel testo; e qui l’indizio che l’amanuense non aveva calcolato bene lo spazio bianco da riempire con le parole tralasciate, è tanto più evidente, in quanto della parola «consecutive» le prime due sillabe sono nel testo e le altre tre nel margine.
  10. A car. 70 r., dopo «sed hoc est contra experientiam: ergo» (pag. 130, lin. 31), era scritto: «Tertium argumentum: si qualitas non est forma elementi», le quali parole furono poi cancellate: cioè si ripeteva, in termini poco diversi, l’argomento esposto nel periodo precedente.
  11. Pag. 27: cfr. anche pag. 36.
  12. Galileo Galilei e lo Studio di Padova per Antonio Favaro. Volume I. Firenze, Successori Le Monnier, 1883, pag. 10.
  13. Historiae Academiae Pisanae, volumen II. Auctore Angelo Fabronio, ejusdem Academiae Curatore. Pisis, MDCCXCII, excudebat Cajetanus Mugnainius in aedibus auctoris; pag. 469.
  14. Francisci Bonamici De motu libri X; quibus generalia naturalis philosophiae principia summo studio collecta continentur; nec non universae quaestiones ad libros De physico auditu, De coelo, De ortu et interitu, pertinentes explicantur; multa item Aristotelis loca explanantur; et Graecorum, Averrois, aliorumque doctorum, sententiae ad theses peripateticas diriguntur. Accessit index capitum rerumque memorabilium. Florentiae, apud Bartholomaeum Sermartellium, 1591. Cfr. in particolare i Cap. 22, 23 del Libro VIII di quest’opera con le pag. 119-122 delle scritture qui appresso pubblicate.
  15. La Libreria di Galileo Galilei descritta ed illustrata da Antonio Favaro: nel Bullettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze Matematiche e Fisiche; Tomo XIX, pag. 242.
  16. Discorso al Serenissimo Don Cosimo II Gran Duca di Toscana intorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono di Galileo Galilei ecc. Seconda editione. In Firenze, appresso Cosimo Giunti, MDCXII. — Citiamo questa seconda edizione, la quale, del resto, vide la luce nell’anno stesso della prima, perchè in essa gli attacchi al Buonamici sono più numerosi: cfr. infatti a pag. 18-25.