L'Adramiteno dramma anfibio e le Favole di Esofago da Cetego/Avviso dell'Editore

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Avviso dell'Editore

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L'Adramiteno dramma anfibio e le Favole di Esofago da Cetego Che cosa sia una Trebaziata
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AVVISO DELL’EDITORE.




L’Adramiteno, Dramma unico nel suo genere, e d’un carattere originale, che risulta da una onesta, e liberale facezia, non d’altro fonte attinta, che dalla stravaganza, forma già pressochè da un secolo la delizia del Piemonte. Non v’è classe di persone nel nostro paese, distinte o per dottrina, o per gentilezza, e spirito di conversazione, a cui questo componimento non sia noto, che nol sappia in gran parte a memoria, e non si rechi a bel diletto di recitarne, all’occasione, i più bei passi in ogni piacevole adunanza; come (se s’ha paragone tra le cose grandi, e le piccole) dai Veneziani facevasi dei versi della Gerusalemme Liberata, e dalle innamorate donzelle si fa di quelli del Metastasio. [p. iv modifica]

Ma, siccome addiviene de’ componimenti, che passano d’una in altra mano scritti a penna, nella strabocchevole quantità delle copie, alle quali diede motivo la curiosità, che ognuno avea di leggerlo, in progresso fu questo così alterato, che non eravi oggimai persona, che potesse a buon diritto vantarsi di averne un esemplare giusto, e conforme al testo. In alcune copie intruse furono da mano straniera molte facezie parte triviali, e plebee, parte stiracchiate, e non naturali, tutte di ben altro colorito, che non di quel dell’Autore: Talchè ti par di vedere un quadro di eccellente pittore, nel quale, perchè alcun poco sfumato, altri pose temerariamente il pennello, e volendo raggiustarlo, il guastò. In parecchie altre o cambiato si scorge l’ordine delle scene, o vi sono esse mutilate, o mancano intiere, e in ispezie la 3.ª dell’atto secondo, che contiene il soliloquio di Ciborra così interessante, e di così bizzarra fantasia da far trottar la natura, non meno per gli spiritati concetti, che per lo bislacco maneggio di tutta l’orchestra. I balli altresì vi compajono d’altro abito, che del proprio vestiti: La loro descrizione (giacchè non son essi da eseguirsi, ma puramente fantastici; e il loro bello consiste in un complesso [p. v modifica]d’idee strane sì, ma che pur hanno una certa analogia, e dipendenza, come chiaro rilevasi dal confronto, ch’altri può fare, della descrizione legittima del ballo primo con quella degli esemplari apocrifi); La loro descrizione, dico, è di tali variazioni alterata, che più non rappresenta un solo tutto, nè riguardo all’unità del concetto, nè riguardo all’uniformità dello stile. Non parlerò della verseggiatura, e del bel linguaggio, che guasti ritrovansi, e culbuttati indegnamente nella più parte dei manoscritti. Nè va esente da questi difetti, e da molti altri ancora la meschina edizione, che ne fu fatta in Tortona l’anno 1790, nella quale si vede questa bella composizione andarsene sfigurata, cenciosa, e carica di farfalloni, accoppiata con un brutto almanacco.

Pertanto ragion volea, che, mentre ogni patria cerca di dar risalto alle proprie produzioni, e ai lavori e di mano, e d’ingegno de’ suoi, sebben talvolta di minor peso, e considerazione; vi fosse alfin qualche nazionale, che pur si adoperasse a ripurgare dalle infinite mende dei manoscritti, e a mettere in chiara luce questa non indegna operetta: Perciocchè, se non avesse l’Autore di lei altro titolo al privilegio accordato agli uomini illustri; senza [p. vi modifica]contrasto ha quello d’essere un genio inventore, e di avere colle sue Trebaziate (così chiamava egli questo singolar modo di piacevoleggiare a lui proprio 1) aperta la via a un nuovo genere di scrivere per facezia; Mercecchè sarà sempre vero quel, che il Poeta cantò:

Felix, qui primus posuit vestigia rerum.

Se l’Editore riuscito sia nell’impegno, se ne appella alle persone di giusto criterio, e di raffinato giudizio. Certo è, ch’egli ebbe per guida in questa edizione due copie a mano, le quali, antichissime ch’elle erano, ed uscite dalla casa stessa dell’Autore, che ancor vivea, meritavano certo la prerogativa su tutte l’altre: E, comecchè non fossero ben purgate esse pure, quanto alla nettezza del linguaggio, e alla verseggiatura; ad ogni modo, perciocchè eran fra loro pienamente concordi, escludevano ogni dubbio, che non fosse quella la lezion vera, e legittima, quale di prima idea l’avea concepita il Poeta: Infatti, di queste due copie l’una l’avemmo dallo stesso erede dell’Autore, signor Avvocato Patrizio Gavuzzi, Archivista [p. vii modifica]Imperiale dei Dipartimenti al di là delle Alpi, che ce la diede in proprietà per la stampa; L’altra è quella, che si conserva tutt’ora dal Segretario della Comunità di Vinovo, signor Falenzio, che gentilmente ce la favorì pel confronto, d’antica data ancor essa, ed uscita pur dalla casa del Poeta. Alla prima di queste due copie maggiore autenticità accresceva ancora il vista dell’Inquisitore Carras segnato infin del quaderno, dal quale si presume, che quello fosse insomma l’esemplare stato già di lunga mano preparato per la stampa. Ma questi caratteri d’autenticità risultarono anche più chiari all’Editore dal confronto, ch’ei potè fare di que’ due manoscritti cogli altri, che girano attorno. Perocchè fra i tanti, ch’egli esaminò per rilevarne la differenza, due oltre ai suddetti non ne trovò, che fra loro, e neppur uno, che coi medesimi convenissero intieramente; indizio certo, che gli altri tutti erano spurii, e fatti alla macchia: Nella qual credenza fu egli vieppiù confermato dall’autorità eziandio d’uomini d’ottimo intendimento, che conobbero questa operetta già quasi fin dal suo nascere. Ma una novella prova della vera lezione seguita in questa impressione si è il confronto, che l’Editore potè farne con altro ottimo [p. viii modifica]esemplare, che si conserva tra i manoscritti della Biblioteca della Regia Università di Torino. E comecchè ivi non si legga la scena 3.ª dell’atto secondo, nè la seconda strofa della cantilena pastorale, che va dopo la scena prima dell’atto terzo, nè la scena 5.ª dello stesso atto; E state siano aggiunte alcune facezie nel fin delle scene intorno al partir, o al restar degli Attori; Ad ogni modo, perchè vi sono alcuni passi migliorati dal canto della dizione, e del verso, affinchè nulla mancasse a render perfetta la presente Edizione, e i Leggitori vi avessero e la genuina facezia dell’Autore, e le variazioni, che furono poi introdotte, si è divisato a maggior soddisfazione d’ognuno di aggiugnervi anco le più curiose tra le varianti lezioni di quel Codice.

Ora per dir poche cose sulle Favole d’Esofago da Cetego, parto son elleno del medesimo ingegno, onde era ben conveniente, che unite comparissero alla luce col lepidissimo Dramma. Non son elleno così note, come l’Adramiteno, e rare copie se ne ritrovano; il che dee forse attribuirsi al non aver esse l’allettamento della poesia: Conservarono però almeno la natia loro purezza, e non furono col moltiplicarsene gli esemplari sfigurate, come quello, e malconce. [p. ix modifica]Ma non, perchè meno sparse, o scritte in prosa, son esse meno pregevoli: Che anzi coniate sono del marchio medesimo, e van distinte d’un solo carattere di stile col Dramma; e le arguzie, delle quali ridondano, scaturiscono dalla stessa sorgente, e sono sempre originali, e proprie: Dove tra le idee, che pajono le più disparate, e sconnesse, chi ha mezzana coltura, ed è alcun poco pratico della curia, e del foro, vi scopre una certa consociazione, e corrispondenza affatto singolare per mille stranissime allusioni, che arrivano impensate, e nuove: dalle quali sorpresi chi legge, non può non sentirne l’effetto, e non dare in uno scoppio di riso, fosse anche immerso nella più profonda tristezza. Queste pure esistono nel manoscritto della suddetta Biblioteca, e convengono interamente con quello, salvochè manca ivi la 5.ª della Fortuna, e del Corno, e la 3.ª di Zenobia, e del Protomedico, che dopo varie ricerche la sorte pur ci presentò per altra mano gentile.

Niuno è oggimai in Piemonte, che ignori da quanto ragguardevole soggetto uscite sieno queste due Operette; fu egli il sig. Avvocato Stefano Giuseppe Antonio Gavuzzi, Presidente del Reale Senato di Torino, che morì ottuagenario [p. x modifica]nel maggio del 1783 in Vinovo, dove solito era di recarsi a villeggiare; Le cui rare qualità potrebbono esser materia di ben lungo ragionamento a chi ozio avesse per tesserne la vita e raccoglierne gli aneddoti, e i detti spiritosi, che di lui si narrano. Ma non sono qui da ommettere quelle notizie almeno, che giovano a meglio intendere questi suoi scritti, a gustarne vieppiù la facezia, e a render ragione, perchè ricavato abbia la medesima dal fondo suo proprio, anzichè dal fonte comune, donde gli altri d’ordinario l’attingono: Giacchè si sa, che nel parlare, e nello scrivere suol ciascuno cavare espressioni, e fogge di dire dall’arte, ch’egli professa; Talchè dai discorsi anco indifferenti di chicchessia è facile chiarirsi, s’egli sia uomo d’armi, o di legge, se musico, o pittore, o di qual altra siasi professione. Era dunque l’Autore persona grave non men per impiego, che per carattere; E, come dice egli stesso nel sonetto, che va infine della presente edizione (sonetto, che può tener luogo di prefazione), andava componendo questi scritti per suo innocente sollievo. Dotato egli di uno spirito vivace, ed inclinato alla lepidezza anzi che no, dotto in varie scienze, filarmonico eziandio, chiamò a contribuzione le sue [p. xi modifica]cognizioni scientifiche, le pratiche, e i termini del foro, del teatro, e della musica in un coi vocaboli, e i modi di dire del vernacolo Piemontese, per far nascere all’improvviso la barzelletta, e lo scherzo, e così mettere graziosamente in canzora le sconvenevolezze, ed anco forse qualche individuo de’ tempi suoi, accoppiando idee piacevolmente stravaganti in guisa del tutto originale: Per modo, che nuova sorgente egli trovò, da cui derivare il burlesco, e non men bella, è forse più difficile, che quella non è, donde la trassero i Berni, i Lasca, i Varchi, i Firenzuola, i Casa, i Bertini, i Molza, i Bronzini, gli Aretini, i Martelli, e s’altri furono, che la burla cercarono, ed il ridicolo nell’arte de sofisti, e nei verisimili.

Or mentre procurò l’Editore di obbligarsi i leggitori Piemontesi con pubblicar queste opere di un lor paesano; voile, perchè gustate fossero anche dagli esteri, aggiugnervi poche note, ed osservazioni, opportune principalmente a spiegare gl’idiotismi del paese; dichiarando, che con questa nuova produzione delle sue stampe non si propose soltanto l’altrui diletto, ma l’utile, ancora, con far sì che tra la folta nebbia de’ grossi, e tenebricosi volumi, che [p. xii modifica]inondano d’ogni parte a solo ingombro degl’intelletti umani apparisse un libricciuolo di lieto viso, e di fronte chiara, e serena, atto a ricrearli. Fu giudicato degno di essere annoverato tra i luminari della Greca sapienza quel filosofante, che la sua vita passò fra le convulsioni d’un riso schernitore: Quanto il sarà maggiormente, chi saprà trovare per gli altri mezzo, e via da mantenersi costantemente in una soave ilarità, e di ridere qualche volta fra le tante noje della vita, dello stato, e dell’impiego? E se si apprezzano, e con soddisfazione si leggono gli scherzi, e le baje di que’ capricciosi cervelli, che

Per passar ozio, e per fuggir mattana,

le lodi cantarono della peste, degli orinali, dei debiti, della stizza, del disonore, della carestia, delle bugìe, della sete, della galea, della zanzara, delle gotte, della tossa, dello sputo, e persin dei proprii escrementi: non si leggerà con piacere, e non si avrà caro un libretto, che in modo più decente, e con attrativa maggiore cava materia di riso da vena più purgata, più nobile, e più doviziosa! Te ne approfitta, o Lettore, e sii felice.

Note

  1. Vedi dopo l’Avviso dell’Editore la nota, Che cosa sia una Trebaziata.