L'amor coniugale e le poesie d'argomento affine/De amore coniugali/Libro II

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Libro II

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LIBRO II


Questo libro contiene molte elegie che non ànno con l’amore coniugale attinenza alcuna. Non avendo esse speciali pregi letterari da giustificare la loro versione, abbiamo preferito, anche per l’economia del volume, tralasciarle. Diamo quindi solo l’elegia terza e le dodici nenie (VIII-XIX).

Ecco in breve l’argomento delle poesie omesse.

I. Contro il lusso eccessivo delle signorine. Il P. invoca Melpomene a cantar seco. Ricorda l’età felice in cui vagavano per le campagne pacifiche Pietà, Pudicizia, e Astrea (Giustizia) insegnando agli uomini gli usi della vita. Parla quindi Melpomene alle signorine. La bellezza è piú caduca di un fiore, ella dice, e deve esser curata per quello che merita, non piú. Gli ornamenti eccessivi sono superflui per chi è bello, e sconvengono a chi non lo è. E narra come le Sirene, donne di liberi costumi e di smodata eleganza, entrate un giorno sfacciatamente scollacciate, imbellettate ed acconciate con ogni artificio nel tempio della Pudicizia, furono dalla dea mutate in mostri marini. Melpomene ripete poi le lodi della semplicità analoghe a quelle dell’elegia IX del libro I e termina con l’elogio di Laodamia, la fedele moglie di Protesilao. La lunga elegia (158 versi) à brani assai belli, come la trasformazione delle Sirene e il dolore di Laodamia.

II. Saluta la sua villa di ritorno dal servizio militare. Breve e gioiosa elegia d’ispirazione analoga al carme XXXI di Catullo. Paene insularum, Sirmio. Il P. ritorna dalla Toscana e vuol cacciare col vino il ricordo di una bella fanciulla che aveva fatto innamorare il già vecchio poeta. “Ma è proprio vero che son giunto a casa? Oh giorno per me felice! Empimi, o servo, il bicchiere, getta legna sul fuoco, metti una corona di mirto sui miei bianchi capelli e dimmi: non pensi tu agli amori toscani di Margherita, della rosea Grecinna e della scherzosa Terinna? Io penso alla dolce Ginevra: questa bella fanciulla accende di nuovo amore me, vecchio e [p. 48 modifica]lontano. Ah lasciami, Ginevra, indulgi alla mia vecchiaia ed al mio già freddo cuore.” Questa in breve, la II elegia, tutt’altro che coniugale.

IV. Si diletta della sua villa e de’ suoi giardini. Gioie della vita rustica e de’ campicelli del P. Descrizione dell’età dell’oro alla quale pose fine la sfrenata Cupidigia sfuggita dall’Erebo. Il P. è felice della sua semplice vita e degli ozi della campagna. L’elegia è diretta alla moglie col semplice vocativo coniux, spesso ripetuto.

V. Consacrazione a Bacco. Dedica insieme alla moglie dei tini a Bacco e la ninfa Antiniana (la villa del poeta) invita lascivamente il Dio al suo amore.

VI. Ad un contadino. Consiglia un contadino di lavorare meglio il campo e di onorare con maggior devozione gli dèi protettori delle campagne.

VII. L’origine e la nascita delle Amenità. Il P. cantando alle fanciulle narra come la ninfa Dulcidia (da lui, come al solito, inventata) trovandosi un giorno sulle rive del Sebeto, fu seguita da Mercurio (Tegea) e con lui si uní. Ne nacquero i due gemelli Lepores (le Amenità, le Piacevolezze). Finge da ostetrico Mercurio stesso che unge Dulcidia con un unguento rubato a Giunone. Venere fa gli auguri al neonato, che vorrà sempre seco, simbolo della gioia perenne, presso la felice Partenope.


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