L'anno 3000/Capitolo Settimo

Da Wikisource.
Capitolo Settimo

../Capitolo Sesto ../Capitolo Ottavo IncludiIntestazione 28 settembre 2015 100% Da definire

Capitolo Sesto Capitolo Ottavo
[p. 165 modifica]

Capitolo Settimo.


Il Palazzo della Scuola. — La prima scuola. — La scuola media. — La scuola degli alti studi. — Lezione sull’influenza della passione sulla logica del pensiero.


[p. 167 modifica]Dirimpetto al Ginnasio s’innalza severo e grande un gigantesco edifizio, composto di tre palazzi riuniti da una galleria comune e da giardini.

Sul vestibolo di architettura greca si leggono queste parole:

Volere è potere, ma a patto di sapere.

Maria lesse questo motto con sorpresa e con ammirazione e volta a Paolo gli disse:

— Oh quanta sapienza in queste poche parole! Mi pare che in esse è riposta tutta la scienza della vita. Esse possono servire di pietra fondamentale all’arte di esser felici e a tutta la pedagogia. E chi le avrà pensate? [p. 168 modifica]

— Credo che le avranno pensate tutti quanti gli uomini di buon senso, dacchè il germe di tutte le grandi verità è riposto in ogni cervello ben organizzato; ma chi le pronunziò per la prima volta fu un cittadino di Firenze, che visse verso la fine del secolo XIX; che fu deputato, sindaco della sua città ed anche ministro. Si chiamava Ubaldino Peruzzi, e fu arguto, attivo, pieno di attico sale e di buon senso. E a provarlo basterebbero queste sante parole, che oggi vediamo scolpite in caratteri d’oro sul Palazzo della Scuola. —

Al Palazzo della Scuola si sale per una larga scalinata, alla cui sommità proprio nel mezzo si vede una statua colossale, che rappresenta la Scienza.

Quella statua è fusa in elettro, metallo fatto d’una lega d’argento, di palladio e di alluminio, che vince in bianchezza la neve e in splendore supera tutti i metalli più sfolgoranti conosciuti nell’antichità. Quando il sole la illumina, brilla di tanta luce, che appena si può guardarla [p. 169 modifica]e nella notte splende ancor più, illuminata sempre dalla luce elettrica.

La statua ha due grandi occhi fatti di diamante, che col sole e colla luce elettrica paiono due stelle. Guarda verso il cielo sorridendo, come se spiasse il lontano orizzonte, e col braccio destro rivolto in alto tiene una fiaccola, che coll’artifizio di diverse luci, dei colori dell’iride, sparge tutto all’intorno come tanti raggi sfolgoranti.

Il Palazzo della Scuola è in una piazza posta ad una certa altura, per cui quella statua veduta nella notte da ogni punto della città sembra un faro.

E infatti è il faro di Andropoli, è la luce della scienza, che dalla capitale del nostro pianeta sembra illuminare tutto il mondo.

E non fu forse la scienza, quella che guidò gli uomini alla ricerca del vero e del buono?

E non fu forse la scienza, che trasformò il selvaggio irsuto e feroce, preda delle belve e degli uragani, nell’uomo bello e [p. 170 modifica]potente, che guida il fulmine, trafora i continenti, e che lo ha fatto padrone assoluto del suo pianeta e gli fa sperare nell’anno 3000 di far sentire la sua voce ai suoi colleghi planetarii?

Paolo e Maria, entrati nel vestibolo del palazzo, seppero che i tre edifizii dei quali è composto sono dedicati alle tre grandi branche dell’insegnamento:

La prima scuola.

La scuola media.

Gli alti studii.

Vollero visitare la prima scuola accompagnati da uno dei maestri, che si offerse loro come guida.

Percorsero rapidamente le ampie sale ben ventilate, innondate di luce e di aria pura e dove siedono gli scolaretti; uno separato dall’altro e seduti in comoda sedia col rispettivo scrittoio.

I maestri circolano fra banco e banco, badando al compito assegnato, dando consigli e ammonizioni secondo il caso.

In una delle scuole gli scolari stanno [p. 171 modifica]scrivendo. Non è la scrittura antica durata fino al secolo XXI, nella quale vocali e consonanti dovevano esser tutte quante rappresentate da una lettera; ma era una stenografia, in cui le vocali eran tutte ommesse o indicate da segni semplicissimi; per cui la scrittura era dieci volte più celere dell’antica.

Il maestro, che serviva di guida ai nostri viaggiatori, disse loro che in quelle scuole elementari giungono i ragazzi dopo i sei anni e che quasi tutti hanno già imparato nelle loro famiglie il leggere e lo scrivere.

— Qui noi insegniamo praticamente la morale, l’aritmetica, un po’ di storia, l’arte di esprimere i proprii pensieri nella lingua cosmica, gli elementi di fisica, di chimica e di scienze naturali, che possono riuscire più indispensabili alla pratica della vita. Nessun insegnamento religioso, perchè ogni famiglia ha la propria religione, e i genitori, secondo le loro idee, istruiscono i figliuoli in quella religione che hanno adottato.

[p. 172 modifica]In questa prima scuola ragazzi e ragazze studiano insieme e i maestri son maschi e femmine senza distinzione e i genitori però hanno diritto di scegliere un maestro o una maestra a loro piacimento.

L’istruzione elementare non dura che tre anni. Gli scolari pagano quasi tutti l’insegnamento, che è loro conferito. Non è che ai poverissimi che provvede lo Stato. Le lezioni non durano che tre ore al giorno, con due giorni di vacanza per settimana. —

Dalla prima scuola passarono i nostri pellegrini alla Scuola media, che corrisponde alla Scuola secondaria del mondo antico.

Vi si insegna tutto ciò che serve alla coltura generale e l’insegnamento è diviso in due grandi branche.

Gli studii scientifici.

Gli studii letterarii.

Nessuna lingua antica: si studiano soltanto gli scrittori della lingua cosmica e nell’analisi critica delle loro opere si cerca di educare il sentimento del bello.

[p. 173 modifica]La storia e la geografia si insegnano a tutti e formano lo scheletro dell’insegnamento.

La filosofia è scomunicata da un pezzo, perfino nel nome, ed è stata sostituita dalla psicologia e dall’antropologia.

Negli studii scientifici è data una parte maggiore all’insegnamento delle scienze naturali, delle matematiche elementari, della meccanica, della fisica e della chimica.

Laboratorii e officine sono annessi ad ogni insegnamento e gli scolari, che devono avere almeno dodici anni di età, completano il corso dei loro studii in quattro anni.

Finito il corso, un esame molto rigoroso dà la patente di coltura generale e di questa si accontentano tutti coloro, che non volendo esercitare alcuna professione speciale, non hanno altra aspirazione che quella di essere uomini colti, di amministrare i proprii beni e di perfezionarsi poi da sè, seguendo liberamente le lezioni dei corsi superiori.

[p. 174 modifica]La Scuola media dà una patente letteraria e una patente scientifica.

La prima è necessaria per chi voglia darsi alla professione di giudice o di scrittore, la seconda per chi voglia divenire ingegnere (di qualunque delle tante branche dell’ingegneria) o medico.

La Scuola degli alti studii ha corsi distinti per i professionisti e per la scienza pura e corrisponde all’Università degli antichi. Non c’è obbligo di iscrizione per nessun scolaro e l’esame finale non è necessario che per coloro che desiderano un diploma professionale.

Anche qui uomini e donne siedono sugli stessi banchi e dalla cattedra dettano lezione anche parecchie donne.

Per esser professore nella prima scuola o nella media si deve avere una patente, che non si concede che dopo un esame lungo e molto severo.

Per dettare lezioni nell’Alta scuola non si esige alcun esame, ma si devono presentare opere stampate. [p. 175 modifica]

Le cattedre sono infinite di numero, perchè ognuno, che siasi dedicato a una ricerca speciale, può aprire un corso sull’argomento prediletto, purchè ne abbia fatto dimanda al Consiglio superiore delle Scuole, composto di tre soli individui, che rappresentano le tre branche dell’insegnamento.

Paolo e Maria ebbero voglia di assistere ad una delle tante lezioni, che si facevano in quel giorno, e entrati a caso in una sala, videro annunziato l’argomento, che tratterebbe il professore in quel giorno.

L’annunzio diceva:

Storia degli errori umani. Influenza delle passioni sulla logica del pensiero.

La lezione non durò che un’ora e diede ai nostri viaggiatori un grandissimo diletto.

L’oratore era molto dotto, aveva la parola facile, abbondante, e colla sua arguzia talvolta mordace rendeva piacevole anche la più arida dottrina e la storia documentata degli errori umani.

[p. 176 modifica]Tutto il corso di quell’anno e del successivo doveva essere dedicato alla storia degli errori umani; ma in quel giorno il professore dedicava la sua eloquenza all’esame dell’antica avvocatura e degli errori, nei quali era trascinata un tempo la ragione umana dai periti scientifici, che i tribunali assegnavano alla difesa o all’accusa dei delinquenti.

“Vi fu un tempo (diceva egli) di lontanissima barbarie, in cui a forza di voler rischiarare i problemi della colpa, a furia di voler portare troppa luce nei giudizii onde la verità ne uscisse limpida e chiara, si abbagliavano talmente gli occhi dei giudici, da portarli alle sentenze più assurde.

“I giudici, che avrebbero dovuto essere soli competenti, avevano di contro un pugno di uomini trovati per strada, medici o ingegneri o commercianti, che non avevano mai studiato neppure l’alfabeto della scienza giuridica e che pure in ultimo dovevano sentenziare, assolvere o condannare. [p. 177 modifica]

“E i poveri giurati, innocenti nella loro ignoranza, paurosi della loro immeritata responsabilità, si volgevano ai periti tecnici, agli uomini di scienza, che avrebbero dovuto illuminarli, e la luce sovrapposta alla luce produceva invece tenebre sempre più dense.

“I periti della difesa dicevano:

“Non vi è veleno nelle viscere della vittima.

“E i periti dell’accusa dicevano invece:

“Vi è veleno.

“E i poveri giurati davanti a così sfacciate contraddizioni, abbagliati e confusi dal cozzo dell’eloquenza avvocatesca, dalle liriche invettive dei giudici, sballottati fra la scienza che negava da sè stessa la propria efficacia colle flagranti contraddizioni e perduti nel labirinto dei sofismi, dei paradossi, della dialettica, che cadevano sulle loro spalle come tanti proiettili in un dì di battaglia, finivano per abbandonarsi alla suggestione del sentimento; il più infido dei giudici nel campo della giustizia, [p. 178 modifica]e sentenziavano col cuore, invece che colla ragione.

“E in ultima analisi, non era la scienza giuridica, non la scienza dei periti che dava il supremo giudizio, ma era l’egoismo o la compassione.

“Il primo diceva ai giurati:

“Quell’uomo ha rubato: lasciato libero, potrà rubare ancora e mettere le sue mani anche nelle tue tasche.

“Dunque in prigione, alla galera.

“Quella donna bella e giovane ha peccato in amore. Quanto volentieri avrei diviso il peccato con lei!

“Poveretta! Le sia data la libertà.

“E quando invece la compassione compariva o scuoteva le fibre sensibili dei giurati, era assolto il colpevole, quando la compassione per lui era più forte che per la vittima. Era invece condannato, quando gli avvocati eran riusciti a far sentire più forte la compassione per la vittima.

“Come vedete, — diceva il professore, — era un problema di affinità elettiva, era una [p. 179 modifica]lotta del sentimento colla ragione e la povera giustizia andava sommersa troppo spesso in queste lotte molto disuguali.

“Ecco che cosa era la giustizia dieci secoli or sono. Ma non vogliamo essere troppo superbi noi altri uomini del secolo XXXI, perchè anche noi non sappiamo sempre disgiungere e separare nettamente il cuore dal pensiero, nei nostri giudizii.„

La lezione, spesso interrotta da risate di approvazione, fu fragorosamente applaudita al suo fine e i nostri viaggiatori lasciarono il Palazzo della Scuola, molto contenti della loro visita.