<dc:title> L'apologia di Socrate </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Platone</dc:creator><dc:date>IV secolo a.C.</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation></dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=L%27apologia_di_Socrate/Capitolo_XI&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20110418175059</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=L%27apologia_di_Socrate/Capitolo_XI&oldid=-20110418175059
L'apologia di Socrate - Capitolo undicesimo PlatoneFrancesco AcriIV secolo a.C.
E questa difesa, quanto alle colpe delle quali mi hanno accusato i primi miei accusatori, basta. Da Meleto ora mi proverò di difendermi; il buono, l’amante della città, come dice; e dagli altri venuti poi. E dacché questi accusatori son diversi da quelli, la loro giurata querela ripigliamola. Su per giú dice : «Socrate è reo verso ai giovani, guastandoli; e verso agl’Iddii, in quelli non credendo ne’ quali la città crede, ma sí in strane cose demoniache, e nuove». Tale è l’accusa: esaminiamola capo per capo. Dice che io sono reo verso i giovani, perché li guasto; e io dico che reo è Meleto, perché scherza pensatamente, trae in tribunale le persone leggermente, e dà a vedere di curarsi molto di cose delle quali nulla non si curò mai. Ch’ella è cosí, mi proverò di mostrarvelo.