L'apologia di Socrate/Capitolo XIII

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Capitolo tredicesimo

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Platone - L'apologia di Socrate (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Francesco Acri (XIX secolo)
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E per Giove ci di’, o Meleto, se è meglio abitare fra buoni, o fra malvagi cittadini... Caro! rispondi; non è niente difficil cosa quella che dimando. E i malvagi, a quei che tutto dí li accostano non fanno del male; e del bene i buoni?

- Sí.

- E ci è chi voglia essere da quelli danneggiato, con i quali conversa, piuttosto che giovato? rispondi, o buono uomo; dice anche la legge che si ha a rispondere; c’è chi voglia essere danneggiato?

- No.

- Su via, tu trai qua me come un che corrompe e fa malvagi i giovani volontariamente, o involontariamente?

- Volontariamente, dico io.

- Che, o Meleto? tu all’età tua sei tanto piú savio che non io all’età mia, che tu conosciuto hai che i cattivi sempre fanno del male a quelli che li accostano, e i buoni del bene; e io son cosí ignorante, che financo ignoro che se alcuno farò malvagio di quelli che conversano meco, starò nel pericolo di ricevere del male io da lui; cosí ignorante, che fo cotesto male come di’ tu, volontariamente? Non te lo credo, né io né nessun altro. Ma, o non corrompo, o, se mai, involontariamente; sicché in tutte e due i casi tu mentisci. E se involontariamente, per tali involontarii peccati non è di legge trarre qua alcuno, ma sibbene averlo a sé da parte, ammonendo e insegnando. Egli è chiaro che piú non farò quel che io fo involontariamente, quando avrò appreso. Ma ti sei scansato dallo starti con me e dall’insegnarmi; non hai voluto; e mi meni qua dove è di legge che coloro siano menati, i quali han bisogno di castigo, ma non d’insegnamento.