L'autobiografia, il carteggio e le poesie varie/II. Carteggio/XV. Di Goffredo Filippi a Paolo Mania Doria

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II. Carteggio - XV. Di Goffredo Filippi a Paolo Mania Doria

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troppo gelosa del mio instituto; ma ben tosto al mio scrupoloso timore è succeduto il ragionevol contento di vedere con tanta onestá e decoro trattata una passione alla nostra inferma natura anche troppo pericolosa, che, sii trasportata l’anima dall’altezza de’ sentimenti e dalla signoria dell’espressioni, perde di vista affatto ciò che è terra e fango. La piú parte di questa lode deesi a Vostra Signoria, mio signore, per la scelta non meno da voi fatta di muse cosi savie e pudiche, che per essersi infra di esse segnalata a meraviglia la vostra nel rischiarare con tanta grazia e bellezza il buio piú folto della poetica teologia, innestando cosi a soggetto ameno cotanto e festevole, con magistero degno di voi, il serio e ’l grave della piú riposta erudizione. Que’ virtuosissimi signori, i cui nomi a rendere, com’è dovere, immortali, celebraste voi per la lingua di un nume, sapran fare al valor vostro quella giustizia che ogni amatore delle buone lettere dee interessarsi a farvi per fomentare in voi quel sublime felicissimo genio onde ricevono novello pregio e splendore le lettere e i letterati. Del rimanente io, che sono obligato a Vostra Signoria assai piú che non sa tollerare la mia picciolezza, vi userò giustizia e gratitudine col pregarvi da quel Signore, che vi ha data anima cosi nobile, a riempiervela di que’ doni onde divien l’uomo santo non meno che savio. E qui, col solito profondissimo rispetto, mi dico, ecc.

Arienzo, i® marzo 1721.

XV

DI GOFFREDO FILIPPI

A PAOLO MATTIA DORI A (*)

Si vale dell’autoritá del Vico per una controversia su una forinola latina.

Nei giorni caduti passò all’altra vita un cavaliere spagnolo, il quale, dopo parecchie funzioni d’inviato e d’ iinbasciatore, ha

(1) Ad illust rissi muní Paultum Matthiam Doriam, virum sublimis philosophi fama per universatn ferme Europam satis ampliter pervagata [V.]. [p. 159 modifica]

fatto piú volte la sua dimora in questa cittá, aspettando gli ordini della corte per qualche altro ministero. Mercé le grandi sue virtú e meriti tanto in risguardo del pubblico quanto del privato, egli è stato compianto universalmente; ed alcuni suoi amici, ottimati genovesi, gli hanno fatto porre sulla tomba l’epitafio che qui acchiudo e che per l’appunto mi fornisce l’occasione d’ importunarla con questa lettera. La quistione sta in sapere se «ordo populusque genuensis» significhi latinamente ed elegantemente «la nobiltá e il popolo genovese». Alcuni hanno preteso che «ordo», trovandosi solitario e da altro epiteto distintivo sprovveduto, non importi piú l’ordine dei nobili che di un altro genere di persone. L’autore all’ incontro pretende che, parlandosi di una repubblica di ottimati, «ordo» in compagnia di «populusque» non possa arrecare a una mente accorta altra idea che quella di nobiltá. Ma quello che piú d’ogni altra cosa il conferma nel suo sentimento si è l’autoritá dell’eccellentissimo espositore del ius universale, Giovan Battista del Vico, il quale nel suo stimabilissimo trattato De imiversi iuris uno principio et fine uno ben venti volte si serve della voce «ordo» in quella significanza, principalmente alla carta 123: «romana civitas erat ordo et plebs: ordo qui imperaret, plebs quae pareret».

Per vero dire, questa sola autoritá corroborata dalla ragione è bastata all’autore e a quei cavalieri che hanno fatto scolpire l’epitafio. Supplico ora umilmente Vostra Signoria di avvertirmi se io avessi preso abbaglio, per disingannarmi con la cortese sua risposta. E, baciandole riverentemente la mano, mi dedico d), ecc.

Genova, 11 maggio 1721.

(1) Cui, uti et amplissimi genuatibus patriciis, qui me eo suo preclarissimo iudicio exornarunt, per ipsum clarum virum Paullum Doriam gratias egi magnas et heic habeo maximas [V.].