La Costa d'Avorio/10. La repubblica dei Popos

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10. La repubblica dei Popos

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Capitolo X

La repubblica dei Popos


La repubblica dei Popos, formata dal Grande e Piccolo Popo è uno staterello che occupa una porzione della Costa d’Avorio compresa fra Whydah all’est e la regione dei Togo all’ovest, lungo il canale costiero che unisce le due lagune di Nokue e di Togo.

Questa repubblichetta, sfuggita miracolosamente ai potenti vicini, è di formazione quasi recente, poichè non conta che sessanta o settant’anni di esistenza. Verso il 1815, alcuni minalotos d’Elmina, stanchi della crudele tirannia di alcuni capi della Costa d’Oro, emigrarono verso la foce del Mono, fondando successivamente le cittadelle di Grande e Piccolo Popo, di Sabbe, [p. 67 modifica]di Aguè, di Abananquen e d’Abanakwe, spingendosi fino a Porto Seguro e sulle rive della laguna dei Togo, aiutati da non pochi dahomeni che avevano abbandonato il loro paese natìo per sottrarsi alle infamie di quei re sanguinari.

Ben presto lo staterello prosperò, altri negri accorsero per godere la libertà che non potevano avere nei loro paesi ed oggi si può citare come uno dei più civili della Costa, quantunque quel minuscolo popolo molto abbia conservato dei suoi antichi costumi e usi, e si può anche considerare come il più industrioso, trafficando largamente cogli europei che vi hanno fondato, nei centri più popolosi, parecchie fattorie.

La carovana fece la sua entrata nel territorio della repubblica senza subire alcuna molestia, cosa assai rara in Africa, essendo abituati i capi a far pagare dei diritti di passaggio sulle terre da loro dipendenti e quasi sempre disastrosi per le carovane, le quali sono costrette a lasciare nelle mani di quegli insaziabili tirannelli buona parte dei loro carichi.

Alfredo però si tenne lontano dalle cittadelle, non avendo nessun interesse a visitarle e si limitò a costeggiare le sponde settentrionali del canale, per giungere più rapidamente nel Togo.

Il paese non era più disabitato come prima. Si vedeva che la libertà concessa agli abitanti del piccolo stato e la sicurezza che godevano, avevano dato buoni resultati.

Popolosi villaggi apparivano sulle sponde del canale e sui terreni meno paludosi; campi coltivati con grande cura e ubertose praterie dove pascolavano dei grossi bestiami si vedevano dovunque, mentre sulle acque scorrevano numerosi canotti montati da negri rumorosi e carichi di derrate d’ogni specie, diretti verso le cittadelle della Costa od al Piccolo Popo che dista circa venticinque miglia da Porto Seguro.

— Pare d’essere in un’altra regione ben lontana dalla Costa d'Avorio, — disse Antao che guardava, meravigliato, quel movimento e quell’attività insolita nei paesi popolati dai negri.

— È la libertà che godono questi abitanti, che ha dato così buoni risultati anche in questi paesi esposti all’atmosfera snervante dell’equatore.

— Ma anche la sicurezza.

— È vero, Antao. Ormai questa piccola repubblica più nulla ha da temere dalle invasioni dei suoi potenti vicini.

— È sotto la protezione delle potenze europee?... [p. 68 modifica]

— Sì, Antao, e meglio sotto la protezione degli antichi forti, qui costruiti dagl’Inglesi, dai Danesi e dai Portoghesi per la soppressione della tratta degli schiavi.

— Mi hanno detto che una volta queste coste erano assiduamente visitate dai vascelli negrieri.

— Si calcola che si esportassero centomila negri all’anno, destinati alle piantagioni americane. Quando però gli Olandesi eressero il forte d’Elmina, i Portoghesi quello di S. Jago, gli Inglesi quello di Cape Coast Castle e d’Aura ed i Danesi quelli di Christianburg e di Friendsburg, la tratta a poco a poco cessò ed ora più nessuna nave negriera osa comparire su queste spiagge. Alle foci del Vecchio Calabar però, so che si esportano ancora negri per l’Oriente.

— Bisognerebbe cannoneggiare quei furfanti, ma..., cosa fanno quegli uomini che s’affannano sulle rive del canale?

— Vedi quegli alberi che sorgono in mezzo a quel campicello tenuto con grande cura?...

— Quelle palme?...

— Sì, ed infatti sono palme, ma palme che dànno l’olio di elais, le più pregiate e le più coltivate su tutta la Costa.

— Desidererei vedere quegli alberi famosi, se ne parla ormai tanto.

— Vieni, così ti farò vedere come si ottiene l’olio.

Lasciarono la carovana che continuava la sua marcia sulla via aperta fra i terreni paludosi, e spronati i cavalli, si spinsero verso la piantagione di palme, la quale occupava uno spazio ristretto d’una terra nerastra e molto grassa, a quanto sembrava.

Quelle piante, che formano la ricchezza principale dei reami e delle repubblichette della Costa d’Avorio, avevano l’aspetto grazioso e pittoresco delle palme, con grandi foglie piumate e una altezza di dieci a dodici metri.

Dal tronco pendevano degli enormi grappoli, pesanti almeno dodici o quindici chilogrammi, cogli acini grossi come noci, alcuni rossi, ed altri, che erano completamente maturi, di colore nerastro, ma a riflessi rossastri.

— Ecco le palme d’elais, — disse Alfredo, — quelle palme che producono quell’olio così ricercato dai profumieri europei per la fabbricazione dei saponi di lusso, ma che qui viene adoperato in luogo del burro. [p. 69 modifica]

Come vedi, queste piante non hanno bisogno di grandi cure: basta levare attorno ai tronchi le erbe cattive. Si adattano a qualunque terreno, anche a quelli sabbiosi o argillosi e perchè il raccolto sia abbondante non occorre che dell’acqua e qui ne cade perfino troppa durante la stagione delle piogge.

— Producono una sola volta all’anno?

— No, Antao, due. La prima raccolta, che è piuttosto scarsa, la si fa in novembre e la seconda dal febbraio a giugno ed è la più abbondante.

— E come sono quelle frutta?...

— Sono composte d’una polpa fibrosa, assai grassa e densa, la quale racchiude un nocciolo contenente una mandorla, che però è piuttosto difficile a staccare.

— Ma l’olio da dove si ricava?...

— Quello detto di palma si ottiene colla polpa del frutto. Dapprima si stacca dalla mandorla, la si comprime e la si macera entro una tinozza e se ne cava una specie di polpa di pomodoro, di odore tutt'altro che gradevole, ma che pure viene mangiata avidamente da tutti i negri, anzi si può dire che costituisce il principale nutrimento di questi popoli.

I noccioli invece si lasciano seccare due o tre mesi poi si levano le mandorle che sono nere e che hanno il gusto della saponaria e servono per fabbricare certi saponi; ma in Europa si adoperano per ricavare un olio finissimo, molto ricercato dai profumieri.

Dalle scorze e dalla polpa si ricava anche, facendole bollire, una specie di burro verdastro, abbastanza gradevole, il quale contiene trentun parti di stearina e sessantanove d’olio di oliva.

— È quello che si esporta in Europa?

— Sì e l'esportazione rimonta al 1817, cioè da quando un inglese cominciò ad adoperarlo, con grande successo, nella fabbricazione dei saponi profumati. Oggi se ne manda tanto in Europa, che la sola Inghilterra ne acquista per duecento milioni di lire.

— Morte di Giove!... Che alberi preziosi!

— Oh!... Ma non credere che i prodotti di questi alberi si limitino all’olio ed al burro. Colle scorze secche e colla polpa si accende rapidamente il fuoco e le adoperano pure per [p. 70 modifica]procurarsi un eccellente sapone nero; colle foglie si coprono le case ed intrecciandole si fabbricano delle ottime stuoie ed incidendo la cima del tronco dell’albero, si procurano giornalmente un litro di quel liquore biancastro che fermenta rapidamente, che è un buon rinfrescante e che tu hai bevuto con molto piacere.

— Il vino di palma?...

— Sì, Antao.

— E quei negri che lavorano sulla sponda del canale stanno preparando l’olio?

— Le frutta sono mature ed è giunto il momento di raccoglierle. Raggiungiamo la carovana o la notte ci sorprenderà lontani dai nostri uomini. —

Spronate le loro cavalcature, un quarto d’ora dopo raggiungevano Asseybo il quale marciava alla testa, dinanzi alle mule che portavano la lettiga dell’amazzone.

Essendo il sole tramontato e non essendo prudente continuare la marcia fra quei terreni paludosi che potevano celare delle sabbie mobili, la carovana s’accampò a breve distanza dal canale, in un luogo che sembrava deserto.

I soliti fuochi furono accesi per cercare di tener lontane le feroci zanzare, poi essendo tutti stanchi s’affrettarono a ritirarsi sotto le tende, mentre Asseybo montava il primo quarto di guardia: ma avevano appena gustata qualche ora di sonno che furono svegliati da un concerto assordante, da un baccano tale da svegliare anche un ubriaco.

Erano urla acute, poi ululati che salivano al cielo, poi latrati rauchi. Tacevano un istante, poi ricominciavano con maggior vigore, come se presso al campo si fossero radunate dieci dozzine di animali dotati di polmoni di grande potenza.

— Morte di Giove e di Saturno!... — esclamò il portoghese svegliato di soprassalto. — Chi sono queste canaglie che si permettono di farci simili serenate?... Il diavolo se li porti tutti nel canale!...

— Sono sciacalli, — rispose Alfredo, che si era pure svegliato.

— Pretenderebbero di assalirci?

— Non oseranno tanto.

— Ma devono essere almeno cento.

— Fossero anche di più, non avrebbero tanto coraggio d’aggredire il nostro campo. Io credo invece che vi sia qualche carogna presso il canale e che se la disputino. [p. 71 modifica]

— Che se la mangino, ma che lascino tranquille le persone che hanno sonno. Ieri sera le zanzare ed ora gli sciacalli! Dannato paese!...

— Turati gli orecchi e cerca di riaddormentarti. Bisogna abituarsi a tutto. —

Antao cercò di mettere in pratica il consiglio del cacciatore, ma senza riuscirvi, perchè tutta la notte quel diabolico concerto durò, senza un minuto d’intervallo.

Gli uomini di guardia tentarono a più riprese di spaventare quegli animali sparando parecchi colpi di carabina, ma senza buon esito. Pareva che nelle vicinanze del canale esistesse qualche carnaio.

Antao, furioso per non aver potuto chiudere gli occhi un solo istante, appena cominciò ad albeggiare svegliò l’amico, per andare a cacciare quegli importuni.

Armatisi delle carabine e chiamato Asseybo che stava facendo l’ultimo quarto di guardia, si diressero verso il canale che distava sei o settecento passi dal campo.

All’incerta luce che biancheggiava verso oriente, la quale però si tingeva rapidamente di riflessi rossastri, scorsero presso le sponde del canale delle bizzarre costruzioni, disposte su di una lunga fila e che pareva si prolungasse indefinitamente.

Sembravano tettoie quadrangolari o meglio ancora palchi sorretti da quattro pali e sopra i quali si sporgevano confusamente delle masse informi, dalle quali pendevano degli stracci biancastri che il vento mattutino agitava disordinatamente.

Sotto quelle costruzioni si vedevano numerose bande di animali rassomiglianti ai lupi, lunghi dai sessantacinque agli ottanta centimetri, alti circa mezzo metro, col corpo robusto, le gambe alte, il muso da lupo, gli orecchi corti, la coda lunga e villosa ed il pelame giallo grigiastro a riflessi fulvi.

Tenevano i musi volti verso quegli strani palchi, e ululavano o urlavano con una costanza incredibile.

— Sono curioso, — esclamò Antao, — di vedere a chi fanno quella diabolica serenata quei dannati sciacalli.

— Credo d’indovinarlo, — disse Alfredo. — Asseybo, siamo ancora nel Gran Popo o siamo passati sul territorio del Piccolo Popo?...

— Nel Piccolo, padrone, — rispose il negro.

— Allora so di che si tratta, — disse Alfredo, ridendo. [p. 72 modifica]

— Spero che me lo dirai.

— Sì, Antao. Gli sciacalli hanno fatto una serenata ai morti.

— Mille pescicani!... Ai morti?...

— Sì, Antao. Quelle masse nere che vedi coricate su quelle piattaforme, sono negri morti.

— Ti credo, poichè comincio a sentire un certo odore che mi rivolta lo stomaco. Faremo bene a ritornare al campo.

— Aspetta un po’ che si alzi il sole. Dovrai abituarti a questi odori, perchè incontreremo molte tombe, essendo numerosi, nel Piccolo Popo, i negri che muoiono senza aver potuto pagare i loro debiti.

— Cosa vuoi dire? — chiese il portoghese, stupito. — Cosa c’entrano i debiti dei negri con queste tombe?...

— C’entrano per qualche cosa, poichè i negri esposti in tale modo agli insulti delle intemperie ed al becco degli uccelli, sono quei poveri diavoli che non hanno potuto pagare i loro debiti.

Quando un negro muore in questa piccola repubblica, i parenti, prima di dare onorevole sepoltura al defunto, devono assicurarsi se ha pagato tutti i suoi creditori.

Se era in regola, si fanno feste in onore del morto, poi la salma viene sotterrata nella capanna abitata dalla sua famiglia ad una profondità di circa ottanta centimetri.

— Che piacere per la famiglia!...

— E che miasmi si sviluppano durante i grandi calori! Se invece il defunto non ha lasciato tanto da saldare i suoi debiti ed i suoi parenti si trovano nell’impossibilità di raggranellare la somma necessaria, niente danze, niente fracasso coi tam-tam o coi cachere,1 niente fiumi di acquavite. Si fa il meno rumore che sia possibile, si vanno a piantare quattro pali sulle rive del canale, si uniscono con una piattaforma alta dal suolo un metro e ottanta centimetri, si avvolge il cadavere in due o tre pezzi di stoffa e ve lo si colloca sopra col capo un po’ rialzato ed avvolto in una pezzuola bianca pendente ai lati.

Ciò fatto si allontanano, lasciando la misera spoglia esposta ai soli brucianti, alle piogge, ai venti, agli uccelli, alle mosche ed alle formiche.

— Bel modo di costringere i debitori a pagare i creditori, — [p. 73 modifica]disse Antao. — È un sistema che bisognerebbe adottare dappertutto. Ma dimmi, non si toccano più i morti?

— Le leggi del paese proibiscono severamente che vengano levati ed il fanatismo e la superstizione dànno a quel divieto un carattere sacro.

— Sarà un’onta per la famiglia del defunto.

— Un’onta ed un grande dolore, perchè questi negri credono che i debitori siano condannati alla loro uscita da questo mondo, a rimanere eternamente alle porte dell’altra vita senza mai potervi entrare.

— Un bello spauracchio in fede mia! Ora che ne so abbastanza alziamo i talloni e lasciamo che quei morti profumino gli sciacalli. Ne ho abbastanza di questi odori nauseabondi.

— Quest’oggi attraverseremo anche il Piccolo Popo e questa sera ci accamperemo sulle rive del Sio. Colà non incontreremo altri morti.

— Desidero le grandi foreste, Alfredo.

— Le ritroveremo fra un paio di giorni.

— E spero che cacceremo della grossa selvaggina.

— Anche degli elefanti, Antao.

— E dei rinoceronti?...

— Anche quelli.

— Ripartiamo presto. Il clima della Costa d’Avorio non mi conferisce troppo e sospiro il momento di ritrovarmi fra il profumo selvaggio delle grandi foreste. Ma... toh!... Hai veduto, Alfredo?

— Che cosa?...

— Un uomo sorgere fra le erbe del canale e poi subito a scomparire?...

— Sarà un negro che prende un bagno.

— È sparito troppo presto per crederlo un onesto nuotatore.

— Sarà una delle spie.

— Morte di Urano!... Che ci seguano ancora?...

— Lo sospetto.

— Ciò comincia a diventare seccante. Se ci seguissero anche nel paese dei Togo?...

— Ce ne sbarazzeremo, — disse Alfredo, battendo sulla canna della carabina, ma con un gesto minaccioso. — Nei grandi boschi le ritroveremo presto. —


Note

  1. Bottiglia di vimini contenente dei sassolini ed adorna di conchiglie bianche.