La Donna e i suoi rapporti sociali/La donna e la religione

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La donna e la religione

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LA DONNA E LA RELIGIONE


Regi, monarchi, potentati, sacre maestà, vi ho nominate con tutti i vostri nomi? grandi della terra, altissimi, potentissimi e forse ben presto anche Onnipotenti Signori, noi, uomini, abbisogniamo, per le nostre messi, d’un po’ di pioggia, di qualche cosa meno anche, d’un po’ di rugiada. Fate della rugiada, mandateci sulla terra una goccia d’acqua!

Una sola cosa, Lucilio, mi fa pena. Questi grandi corpi sono così costanti ed esatti nel loro cammino e nei loro rapporti, compiono con ordine così invariabile le loro evoluzioni, che un piccolo animale, rilegato in un àngolo di questo immenso spazio che si ’ chiama mondo, avendoli osservati, s’è fatto un sistema infallibile di predire a qual punto del loro corso tutti questi astri si troveranno da oggi a due a quattro a ventimila anni. Ecco il mio scrupolo, Lucilio; s’egli è per caso, ch’essi osservano leggi così invariabili, che cos’è l’ordine, che cos’è la regola?

LA BRUYÉRE.          

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Dilicatissimo e difficoltoso argomento è questo che imprendo a trattare, e tanto più oggidì in cui, questioni vitali si agitano nel paese in cui io scrivo, questioni di vita e di morte per tutta una casta, che il proprio parziale carattere ne ritrae, questione interessantissima ad ogni regione del globo, ad ogni popolo, ad ogni intelletto che si travagli nelle filosofiche disquisizioni ad ogni cuore che palpiti nella incertezza degli umani destini oltre la tomba.

Come procedere senza sollevare obiezioni, senza sconcertare credenze, senza urtare suscettibilità, senza, sconcertare interessi? Come non cozzare qui colla sistematica negazione, là colla gratuita asserzione, a diritta colle astrazioni di Fouriere, di Leroux, a manca con De l’Orgue e De Maître, davanti con Reynaud, dietro con tutta la miriade degli ascetici? E davvero assai peritosa e timida stonami del come mi condurrò, del punto da cui partirò nel vastissimo terreno che mi si apre a discorrere, della scelta che far convienmi fra le idee che copiose invadono la mente, dell’arte con cui eviterò l’urto dei triboli e la puntura delle spine in una strada che, tutta l’umanità percorre, eppure, più fu battuta, e meno si fa praticabile a chi non voglia sollevarsi di fronte una guerra di scandali e di pregiudizi che più lacera il cuore, che non guerra di spade.

Pure già lo dissi nelle prime pagine, e giovami qui ripeterlo. Io preparo la donna dell’avvenire, ai quell’avvenire che ogni intelletto, sazio di gratuito, ogni spirito esasperato dalla lotta che, dalle cieche passioni e dagli inverecondi interessi è combattuta alla verità ed alla morale, deve necessariamente affrettare coll’opera e col desiderio.

E ferma in questo proposito, smessa ogni peritanza, m’innoltro alla libera sposizione delle idee. [p. 57 modifica]È assai possibile che il debole intelletto non abbia saputo, neppur dallo assiduo e pertinacie studio di grandi autori, estrarre il vero, ed è ancor più possibile che la insufficienza della dialettica’, e la poca facondia del dire, mi facciano irremissibilmente impotente a persuadere; ma mi resterà pur sempre chiaro e confortante testimonio la coscienza di avere, con ogni calma dello Spiritò e lealtà d’intelletto cercato il vero, e la mia fatica rivolta a presentarlo altrui, senza spirito di fazione, senza sistema preconcetto, senza fine secondo. E la donna, alla quale io parlo, accolga i miei sforzi con quella benevolenza che, se poco è meritata dallo intrinseco della mia fatica, libri sarà certo sciupata invano dal buon volere, che mi ho, di porgere al mio sesso la sempre utile comunione delle idee.

Essendo più pratico che teorico lo assunto mio, ed essendo io in ben altra situazione che quella d’un salerò oratore, il quale, od in un tempio di cattolici parli, o sermoneggi in una adunanza di fratelli, od il Cofano commenti in una Moschea, sempre sa di parlare a chi Come lui crede e sente, ed è già con esso lui d’accordo prima che parli, non mi è permesso saltare a piè pari nell’argomento, ma dobbiamo prima fondare di comune accordo le premesse.

Non si tratta per me di persuadere ad altrui le Convinzioni mie; non intendendo fare nè polemiche nè controversie. Io parlo alla donna d’ogni paese, ma specialmente italiana, e parlo alte alla indipendente ragione, al suo libero intelletto, per cui, a partire da basi concordi ed a meglio comprenderci, dal fatto partiremo e dallo assioma.

La religione, metafisicamente considerate, è il sentimento innato della divinità. Essa fu siccome tale sentita da tutti i popoli e da tutti i tempi; e che ciò sia stato, lo provano gli innumerevoli [p. 58 modifica]monumenti e le tradizioni che la primigenia unanità legava alle posteriori generazioni; le quali poi a loro volta, anziché sperdere quelle tradizioni e quei monumenti della fede dei padri loro, come fatto avrebbero quando non ne avessero ampiamente accolto il legato, altri ne aggiunsero, ed ogni generazione accrebbe così alle vegnenti il patrimonio delle credenze.

Questo fatto che, siccome basato sulla semplice autorità, poco proverebbe se chiamato fosse a stabilire la verità d’una scientifica sposizione, od a convalidare la solidità d’un raziocinio che a sé stesso non basti (avvegnachè e storia e filosofia cospirino a non ammettere l’umanità degradata sibbene primitivamente ignorante) questo fatto, dico, diviene categorico e perentorio quando a provare la generalità e costanza di tal sentimento lo indiriziamo.

Ora, siccome è vero che, l’effetto non nasce che dalla causa, la conseguenza tradisce la premessa, lo edificio rivela l’architetto, così l’universo predica una ragion prima. 11 caso, che l’ateo volle a ragione di questo fatto, se è per lui ragione sufficiente, per lui il caso è Dio, e non v’è Ira lui e il generai sentimento che una questione di vocaboli; ma s’egli la considera siccome ragione accidentale egli da sé bene inesperto si proclama, avvegnacchè, sopra qualunque cosa egli esperimenti le combinazioni del caso, sempre le avrà avvertite, vaghe, disordinate e sopratutto incostanti; cosicché il comun senso definisce col vocabolo caso ogni combinazione, che manca affatto d’ordine, di durata e di leggi; il chè senza impugnare il testimonio della scienza (che va ogni dì scoprendo la ragion delle forze nel meccanismo universo, e potentemente le applica) senza rifiutare in ogni filosofia il supremo emanato della ragione fatto eminentemente ordinato, senza [p. 59 modifica]accagionare di allucinazione i nostri sensi tuttodì colpiti dall’armonia inalterabile della natura, sarebbe deplorabile follia diniegare.

Meno evidente è all’intelletto l’immortalità e la vita futura, sebbene anch’essa non vada sprovvista di possenti ragioni, e ricca e forte della coscienza dei popoli.

Come l’artefice elaborando l’arnese considera l’uso a cui lo destina, e le parti ne informa, e le forze e le misure ne proporziona, in vista di quello; altrettanto veggiamo aver natura praticato in tutte le sue produzioni, e questa saggia economia dell’universo è dalla scienza, ognor progressiva, ogni dì constatata su più late dimensioni; non altrimenti, tutte le facoltà ed attribuzioni dell’anima, siccome le parti tutte e tendenze del corpo, debbono necessariamente rispondere ad una data destinazione. Ora le facoltà dell’anima nostra eccedono sotto ogni aspetto la destinazione qualunque che aver potressimo circoscritta alla presente vita. Eccede l’insaziabile curiosità di tutto investigare, il tempo, i mezzi, le forze che all’investigazione abbisognano. 11 senso morale, che l’uomo spinse fino agli estremi dello scrupolo delicato, non sarebbe che un’ironia in faccia ai pochi giorni di gioia e di vita che ci sono accordati. Nè si dica, che questo senso non sarebbe che una provvidenza di natura posta a tutela dei reciproci interessi; questo confine sarebbe d’assai soverchiato da un senso morale che limita gli atti anche intimi, anche indipendenti della vita umana. Il vivo desiderio dell’infinito, il cui soddisfacimento constatiamo impossibile nella esistenza che conosciamo, l’orrore dei nulla così profondo, così sentito che non può esser domato dal terror dell’ignoto; tutti problemi sono questi, ai quali non è possibile che una soluzione, l’immortalità.

Altro senso innato nell’uomo e profondamente [p. 60 modifica]sentito è il senso d’equità e di giustizia. Ora non potendo egli appagarlo, avversato qual’è dall’ignoranza, vinto dalle passioni, soggiogato dalla forza, immolato agli interessi, e sentendone tuttavia la somma ragione, trovò il dogma del premio e della pena, o meglio, lo sentì, ed in questo fondò la ragione della virtù e l’odio del vizio. Laonde l’esistenza della divinità creatrice, ordinatrice e provvidenziale, l’immortalità, il premio del bene e la punizione del male; ecco i tre dogmi che furono base alle teogonie tutte, e che ogni ragionevole intelletto può e deve ammettere.

Ammessa l’esistenza della divinità, l’uomo le deve omaggio e riconoscenza, ed ecco sorgere la religione donde i culti ed i riti; ammessa l’immortalità ecco sorgere con essa l’infinito, e l’aspirazione all’infinito, donde l’indefinito progresso; ammesso il premio e la pena, ecco sorgere la ragione della morale, donde la sociale felicità.

Premesse queste poche parole a prevenire le nostre lettrici del punto da cui partiamo, nè potendo noi più inoltrarci nelle religiose teorie senza specializzare, epperò renderci a molte impossibile (e non trovando pur necessario il farlo dacché abbiam già trovato la ragione religiosa), passiamo a disquisirne i caratteri, segnalarne le viziose applicazioni e le vere.

Essenzial carattere dell’ossequio, che F uomo prestar deve alla divinità, è l’essere questo ragionevole, essendo ragionevole chi lo presta, e verità assoluta, e ragion d’ogni cosa, l’essere supremo a cui è rivolto; perciò l’assurdo è insulto a Dio, nè può essere scusato che dall’invincibile ignoranza. Assurdo perciò non potea ch’essere, a mo’ d’esempio, il sacrificio, il quale intendeva onorar Dio col distruggere la sua fattura: ciò non potea scusarsi che dall’ignoranza, ma il Sacerdote il quale godeva le parti comestibili delle [p. 61 modifica]vittime sacrificate, epperò eccitava continuamente i popoli ai sacrifico, non era più ignorante, era furbo; e l’iterato fumo de’ suoi incensi non era che un insulto a Dio, ch’egli faceva servire a suoi interessi.

Più d’una vedrà forse altra cosa, che l’infanzia dello spirito umano, in questi riti dell’umanità primitiva, ma noi risponderemo con una sola osservazione. I sacrificii cruenti, criminosi, se di vittime umane, assurdi se di ostie brutali, cessarono sotto l’impero di due autorità. La prima fu il Van, gelo, che promulgò la più razionale delle religioni; la seconda fu il progresso della civilizzazione, che chiarì allo spirito umano la vanità di cotali ossequi e la loro assurdità. Ora se i progressi della ragione resero incompatibile il sacrificio, ciò basta per dare il nome alla cosa.

Dovendo l’umano ossequio alla Divinità essere razionale, ne emerge di natural conseguenza, che non debbano le esterne sue manifestazioni superchiare agli occhi nostri in importanza l’intimo sentimento che li produce. Che se al riconoscente affetto, che verso Dio ci porta e delle leggi imperscrittibili della morale ci fa teneri osservatori, come sendo dallo stesso suo dito scritte ne’ cuori nostri, anteponiamo gli atti esterni e convenzionali del culto che, orbi per sé stessi d’ogni morale valore, altro non sono che l’espressione di quello, noi adopreressimo come chi il vetro anteponesse al diamante, il bacio all’affetto.

Eppure, se poniamo a disamina lo zelo, con cui tutti gli ascetici scrittori moltiplicarono in ogni confessione, e classificarono in infinite categorie mille pie pratiche, e di quale importanza vollero circondarle e con quale entusiastico fervore le vollero raccomandate e praticate; davvero, non intendo calunniare le intenzioni loro, ma credo altro non s’avessero in vista che di soffocare il [p. 62 modifica]religioso sentimento ed imporgli silenzio onde lasciar luogo alla moltitudine delle parole, non dissimili dai sacerdoti di Baal (de' quali tanto si rideva il profeta Elia) che gridando con quanta forza era possibile ai loro polmoni, e continuando in tal baccano tutto l’intero giorno, se ne tornavano convinti che la loro sonnacchiosa Divinità li avesse alla perfine intesi e compresi.

Il Cristo, che primo diede all’umanità l’idea del culto perfetto, stringeva e riassumeva, in una formola, quanto affettiva altrettanto razionale, l’espressione del religioso sentimento. Egli, che aveva l’un dopo l’altro attaccati e combattuti tutti i pregiudizii, si dichiara anche contro questo là dove dice: «Non vogliate essere come i gentili, che impiegano ad onorar Dio molte parole, e credono per la moltitudine di quelle esser meglio esauditi. In quanto a voi, quando volete pregare a Dio, chiudete l’uscio della vostra camera, e nel segreto pregate al padre vostro ch’è ne’ Cieli».

V’hanno però di molte le quali tutte assorbite dalli esterni atti del culto, moltiplicandoli ogni giorno senza ragione, e senza misura, facenti assidua lettura di libri che insegnano colla Divinità un cotal linguaggio floscio ed affettivo, tutt’affatto profano ed indegno dei rapporti che intende di esprimere, portano l’intelletto nei campi vaporosi d’una dottrina; la quale assorbe le lunghe ore nel render l’anima timorosa di tutto, nel toglierle ogni generoso slancio, nel freddare ogni generosa passione, nell’atrofizzare più che sia possibile il cuore, nel rompere ogni suo più sacro e soave legame, nell’avezzarla ad una tensione morale di tanta forza da non sapersi più scernere fra il bene ed il male assoluto, il bene ed il male relativo e li atti tutti, che orbi sono di morale valore epperò all’uomo di libera scelta. Essi insegnano una dottrina tutta di distacco, d’ [p. 63 modifica]isolamento, di meditazione e d’espiazione: essi nulla ammettono di spontaneo nello svolgimento della vita morale; tutti i menomi moti del cuore e della mente vengono vigilati, sorpresi, classificati più o men logicamente, e non persi di vista mai, dovendo essi tutti esser fedelmente riportati ad un cotale che l’incarico s’è assunto di avviar quest’anima alla perfezione; e, mediante le cure sue, ed i suoi lucidissimi precetti, si è ridotta a tale d’aversi di lui per ogni cosa stretto bisogno, di nulla veder senza li altrui occhi, di nulla giudicare senza l’altrui cervello, e di non potersi ristare dal mettere altrui in terzo fra sè ed i più intimi, e nè più gelosi, segreti,


«Come se far non possa i fatti sui
Se in opera non pon gli organi altrui».


E questa assolute insufficenza dell’individuo queste perpetua minorità, dura fino alla morte; anzi va, queste forza astringente ed assorbente, sempre più incalzando fino a che, di quest’anima, che cammina alla perfezione, più non reste che un cadavere ed un automa che, di vite propria, non si ha che la parte fisica e vegetativa.

Non volendo io per nulla affatto scendere nei penetrali dell’uman cuore per cercarvi le cause di questo ritrovato, che non mancò per avventura di appoggiare numerosi e forti interessi (non essendo nè la satira nè la storia l’assunto mio) io proseguirò nelle ragionate teorie prendendo dovunque il buono, e sceverando il falso ed il gratuito, guidate quale sono dallo schietto amore della verità e della luce.

Accennavo, che quelle dottrine, che si propongono d’avviar l’anima alla perfezione, predicano il distacco, l’isolamento, la meditazione, e l’espiazione; e taluna avrà portato avviso, che troppo leggermente io condannassi teorie, che fini sì [p. 64 modifica]altamente spirituali si recano a programma. Spero di giustificare il mio verdetto, rifacendo un po’ fa storia morale dell’umanità; e come questa svolge fa sua progressiva vita in diverse fasi tutte logiche ed inevitabili, così lo individuo, ch’è una frazione di questo gran corpo, deve seguirla e recare l’opera sua al collettivo lavoro; che se ciò non fosse, e non dovesse essere, il progresso delle idee e dei costumi non potrebbe aver luogo; e l'umana storia in luogo di presentare all’occhio del filosofo un complesso armonico, logico, ordinato, ed a gran fine diretto, non mostrerebbe che un aggiramento, senza forma e senza nome, di forze eterogenee, discordanti, ed elidentisi, un caos insomma senza ragionevole principio, che non altro verosimile fine presenterebbe che un universale sterminio ed esaurimento.

Ora puossi egli ammettere, dietro l'ordine che vediamo nella creazione tutta, che tale, esser possa il morale concetto di Provvidenza? Certo che no Laonde camminando, noi individui, siccome le generazioni, in una via di progressivo sviluppo, c’incombe di studiare il tempo e la fase ch’esse percorrono a non inceppare ed anzi assecondare il comune lavoro.

L’umanità bambina che, simile all’uomo di poco tempo, era, incapace d’un lavoro affatto speculativo, ma trovavasi tuttavia sotto il dominio, delle sensazioni, avendo col senso morale l’idea della virtù, ammirava però maggiormente quelle doti di natura e di fortuna, per le quali un uomo sugli altri aquista materiale e sensibile superiorità. Laonde meglio che la mitezza era stimato il coraggio, meglio che il generoso perdono la valorosa vendetta, più che la sublime lealtà dell’anima, l’astuzia feconda di mezzi e ricca di successi, più che riverenza dei diritti, il feroce sterminio, e la prepotente conquista; più che la castigata [p. 65 modifica]verecondia, la dissoluta e facile bellezza. Di tal maniera di giudizio dell’antica ‘umanità hassi pena più presto a sceverarne le troppe prove che ad adunarle. Tutto ce lo insegna, dall'Iliade d’Omero fino ai sontuosi monumenti alle ceneri di Pitionice, fino agli incensi bruciati ad Alessandro, fino al divinizzamento dei Cesari.

Queste dottrine vellicanti le passioni, e così ben maritate agli interessi, non potevano che condurre di ragione il mondo ad una generai corruzione di cuore e depravazione di mente, di cui la storia non ci ripete il racconto dalla caduta della Romana Reppubblica in poi.

Era ben logico e voluto dalla natura delle cose che là come dovunque, il riparo ormeggiasse dappresso il male; e sorsero in allora le dottrine a cui accennavamo; dottrine che lottavano colle passioni corpo a corpo, e disputavano palmo a palmo il terreno agli interessi, isolando l’uomo dal contagioso contatto dei suoi simili, livellando le caste, staccando dalle perniciose ricchezze mezzi di feroce dispotismo, e sforzandosi di spiritualizzare l’uomo degradato per corruzione fino ai bruti tutta la sua vita concentrando nell’espiazione di un male divenuto ormai sì radicale ed universo, che impotente affatto era contro di lui l’opera dello individuo. Nulla di meglio infatti resta a farsi al sano, frammezzo alli appestati, che trarsi in disparte fin quando la scienza non ha ancor provvisto ai malati.

Quelle dottrine ci vennero dall’Oriente e più precisamente dalle Indie, e dal loro istitutore si chiamarono Buddismo.

Nell’epoca in cui le leggi e le istituzioni dei bramini erano in maggior forza, e s’erano diffuse in tutto il paese senza eccezione, sorse dalla casta dei guerrieri, e dalla famiglia dei Sackija, Gautarna, detto poi Budda, (lo suscitato) figlio di Re. [p. 66 modifica]Nacque egli nel 628 avanti Cristo. Si unì, secondo il costume del paese, a tre mogli; ma a 29 anni abbandonò padre, mogli ed un figlio, non che ogni diritto di successione- al trono, e si ritirò nel deserto per darsi tutto a penitenza alla guisa dei Bramini. Rimase colà 6 anni e superò nella rigidezza della vita tutti coloro. A 36 anni sorse a predicare, e scorse fino agli 85 tutta l’India.

Educato nella solitudine dei deserti, alla meditazione ed alla penitenza, dotato di sommi talenti, concepì l’ardito pensiero che il Braminismo, d’assurdi ripieno, se forse bastava fino allora all’India, non certo al resto del mondo. Primo nell’antichità superò i pregiudizi della nazionalità, e concepì l’idea dell’universale rigenerazione del mondo corrotto, e parlò di partecipare altrui il proprio bene.

Il Buddismo sorse circa nel tempo in cui la Giudea diveniva provincia romana e con essa si eclissava la Mosaica religione.

«In quel tempo (dice Costantino Hofler nella Storia universale), si nota nell’Oriente un sentimento di dolore e direi quasi di disperazione come se la sua vita fosse finita».

Nell’India la predicazione di Budda addita al mondo la cagione di tal disperazione nella nullità delle cose, e riduce lo scopo della vita alla distruzione di noi stessi. — (A chè altro si riduce l’ascetica cattolica dei nostri giorni?)

In massima le sue dottrine non differivano punto da quelle dei Bramini; ma differivano in questo, doversi da tutti, senza distinzione, raggiungere lo scopo della vita, come avendo egli pel primo superato i pregiudizi di caste e di nazionalità.

Non occorrevano per Budda le divisioni di quelle (prima politica braminiana), nè le opprimenti leggi ch’erano di quella politica i naturali [p. 67 modifica]corollarii; tutti, senza eccezione, erano chiamati alla cognizione della verità, a tutti libero quindi di togliersi al giogo bramitico.

Egli poi, Budda, era stato dal Cielo mandato a segnarne la via.

«La vita è un sogno, dicea Budda. Quanto più l’uomo lavora colla propria distruzione alla propria santificazione, e tanto più scioglie il legame che tiene avvinto il mondo alla colpa.» — Notisi il desolante ed antifilosofico concetto che il mondo sia fatalmente portato alla colpa, quasi l’umano arbitrio, donde l’umana responsabilità, non esistesse. — Senza questo concetto dominante sarebbe stato impossibile chiamare l’uomo all’isolamento ed alla propria distruzione. Solo l’universale corruzione dei tempi, la ferocia dei costumi, il degradamento cui era scesa l’umana progenie, poteva ispirare una simile filosofia. «Il matrimonio, dicea Budda, si tollera come un male ch’è forza permettere; ma non dovrebbero esservi carnali relazioni, dovendo il mondo al più presto finire. Tutto è inganno quaggiù; e se pur qualche cosa v’ha che non sia mendace, quest’è ciò appunto di ritenere tutto inganno, di liberarsi e staccarsi da tutto».

Budda si volse anzi tutto a quella parte del popolo indiano, che la legislazione Bramitica lasciata aveva in completa miseria, persuadendola a disertare la dottrina ed i costumi di quella per abbracciare la sua, in cui solo era la via di salute. La condizione di quel popolo era sì misera sotto i Bramini, che una dottrina sì sconfortante fu riguardata siccome dottrina di libertà. I seguaci di Budda non temevano la morte, da loro riguardata siccome liberatrice dei mali. Esso li educava alla pazienza, alla mitezza, all’assoluta abnegazione, a riguardar siccome ingiusta ogni [p. 68 modifica]distinzione sociale, ad invitare tutti, senza eccezione di persona, alla redenzione per opera di lui, ossia allo scioglimento finale della materia primitiva nel nulla.

Le sue dottrine produssero gran sensazione in Oriente, e furono nell’India argomento di gravi dissensioni; e malgrado le persecuzioni, alle quali furono bersaglio allorché i Greci vi penetrarono col Magno Alessandro, vi si tenevano salde, specialmente nel nord-ovest del paese.

Certo le dottrine Buddistiche erano un gran passo in quei tempi oltre misura materializzati e corrotti, ed ebbero appunto in quelle condizioni la loro ragion d’essere; ma venne il Cristo ad aprire all’umanità una nuova fase, ed allora principiarono ad essere spostate e retrive.

Chiamati gli uomini ad amarsi ed a soccorrersi, iniziata la dottrina della giustizia e del perdono, costituita l’umanità in una repubblica di fratelli che altro dottore, altro maestro, altro signore non riconosce che la verità predicata dal Cristo colla luce della ragione, colla mite ma vittoriosa forza della persuasione; eguagliati i doveri ed i diritti, chiamati tutti al lavoro ed alla cooperazione al comun bene, proclamato ogni uomo al suo simile solidale col precetto dell’amore e della diffusione; chiamato l’amico a dar per l’amico la vita, ed a beneficare al nemico; udita, ammirata ed accolta questa dottrina dal mondo, tenuta salda contro le lotte, uscita vittoriosa da secolari battaglie, la vecchia dottrina dell’isolamento, e della distruzione dell’uomo, non aveva più ragion d’essere ed era condannata a perire. Dopo aver demolito era ben d’uopo riedificare.

Il risorgimento, la vita, la libertà, lo sviluppo, di tutte le forze morali, i collettivi conati delle masse verso il bene comune, ecco il programma del Cristo, ed ecco la fase che ora percorre l’umanità. [p. 69 modifica]L’amore universale, precetto unico e nuovo, nel quale quella dottrina si compendia, importa a natural conseguenza il compatimento, la tolleranza, la vicendevole riverenza, e pone al bando dell’umanità ogni dispotismo di fatto e di sistema, ogni autorità che si erge al dissopra della forza delle cose, dell’unanime consenso, del generale interesse.

Ora la cattolica ascetica, che tante forze isola e paralizza, che tante intelligenze riduce a schiavitù, che tanti fervori raffredda, che tanti nobili slanci raffrena, che tanti generosi entusiasmi riveste delle grette forme del partito, che tante esistenze si tiene eternamente oscillanti e dubitative sul grave problema d’un moto primo, d’un estemporaneo escogitato, orbo di conseguenza perchè intimo, di un motto oziosamente ed innavvertemente sfuggito, d’uno svagamento intempestivo anche, ma tutto proprio della mobilità dell’organo pensante, tutto questo sistema non vi par egli, ditelo voi, roba da bambini e compassionevole miseria?

L’analisi sistemata è studio pericoloso se da grandi e leali intelligenze non venga esercitato. La massa delle mediocrità, impotente già per sè stessa ad accogliere in uno sguardo tutti i lati d'un concetto, se per sovrappiù venga sistematicamente applicata ad un dettaglio, non ne diverrà che sempre più gretta e microscopica. Gl’interessi poi studiano il sofisma, le passioni cercano il cavillo, il dispotismo s’allieta dello scisma, e lo spirito debole, tratto in tortuoso e smarrito sentiero, sente più che mai il bisogno d’una guida, alla quale è costretto affidarsi ad occhi bendati, sia che al bene lo conduca ed al meglio, o sia che al peggio lo trascini, e nel suo proprio male lo immerga.

Noi perciò vorressimo che la donna [p. 70 modifica]specialmente, che tanto è a religione inchinevole, e che al sentimento di essa sinceramente e sublimemente sposata può tanto bene produrre, la mente informata ai lucidi precetti di quella, meno gretta ed analitica fosse nella manifestazione di quel sentimento, meno oscillante, meno dubitativa nel giudizio del bene e del male, del convenevole e della sconvenevole; vorremmo che dai chiari precetti della verità derivasse dei criterii sicuri a giudicare più sanamente di sè, d’altrui e delle cose tutte; vorremmo abborrisse da certi facili scandali, figli d’ignoranza e di pregiudizio, da certe intolleranze che, violenti e feroci, vertono sopra opinioni e riti, dottrine e cerimonie che finalmente non sono che svariati modi di esprimere un unica ed universal sentimento.

Deplorevole cosa egli è questa, che cioè l’intolleranza più feroce, più esclusiva si mostri presso chi di molta pietà fa special professione; e non s’avveggono, codesti, che per essa più danneggiano la causa che intendono servire. E ben se lo sapeva il Cristo quando, reduci i suoi discepoli da Samaria e pregandolo dessi che implorasse fuoco dal cielo su quelle genti, che la predicazione loro aveano spregiata, rispose loro; davvero; io non so da quale spirito siate condotti.

Le religiose intolleranze in ogni tempo, in ogni popolo generarono i danni più atroci, le guerre più sterminatrici, le passioni più violenti che abbiano mai inferocito l’anima umana. Testimonii le babiloniche barbarie contro gli Ebrei, gli stermina di questi sopra i vicini popoli incirconcisi, le secolari persecuzioni del gentilesimo sul cristianesimo nell’Europa e nell’Asia, i sanguinosi scismi d’Oriente, la cattolica inquisizione dell’Evo Medio, le guerre di Maometto, le lotte dei Mori e della Spagna, le crudeltà che accompagnarono e compirono lo scisma Anglicano, le stragi degli [p. 71 modifica]Ugonotti e di Zuinglio, l’ostracismo dalla civil società degli Ebrei tuttora vigente in molti Stati della civilissima Europa.

Che se l’intolleranza e l’esclusivismo, in sè stessi viziosi e maligni, fanno deplorevole mostra di sè in uno Stato, in una casta, nel viril sesso, come sendo la negazione d’ogni ragione, d’ogni filosofìa, d’ogni umanità; nella donna poi, per natura mite, misericordiosa e diffusiva, son più che altrove mai spostati ed inopportuni. Tanto più se trattasi di religiose credenze, le quali naturalmente suppongonsi norma di costumi? come dovendo l’uomo per natura e per Cagione essere conseguente. Laonde se voi l’altrui religiosa convinzione spregiate, voi stupirete altresì che gente di altra credenza, che non la vostra, possa essere onesta e rispettabile; e questo giudizio è puerile, è ingiusto, è falso, è superbo.

Lo esclusivismo di tre cagioni è lo effetto; o di suprema ignoranza, o di massimo orgoglio, o d’interessi personali o di casta. La prima ragione vi farebbe torto, le altre vi farebbero immorali; nell’un caso e nell’altro il sentimento religioso sarebbe erroneo ed ippocrita, sendo non già l’Ente Supremo l’oggetto del vostro culto, ma il pregiudizio; non già la Divinità oggetto di vostra fede, ma pretesto di passioni, strumento d’interessi.

Laonde, tutto il fin qui detto in poche parole riassumendo; il culto che alla Divinità si debbe, vuol essere razionale, come sendo il rapporto d’un ente ragionevole colla ragion suprema di tutto: dignitoso, come lo esige riverenza dell’essere infinitamente superiore; intimo, siccome trovando nello spirito la sua ragione, nel cuore l’innato suo sentimento.

Sendo la religiosa credenza norma di costume, non può questa condurci che alla carità dei [p. 72 modifica]nostri simili, che figli tutti d’un medesimo padre, effetti d’una stessa causa, camminando tutti ad un unico fine, d’un solo lavoro tutti incaricati, ad una stessa perfezione tutti vocati, nell’onorar Dio tutti concordi, non hawi differenza fra noi che d’espressione, come v’ha moltiplicità di linguaggi, varietà di costumi, individualismo di caratteri, diversi gradi d’intelligenza, molte fasi di civiltà, mille e mille combinazioni di luogo, di tempo, di persona, di circostanze, che mutano, alterano, modificano o determinano in mille sensi diversi, l’espressione di quest’unico, universale, innato sentimento dell’umana natura.

Ma io vi parlava fin ora siccome a gente profondamente e sentitamente religiosa, nulla supposizione fin qui facendo che taluna possa non esserlo; e certo, troppo porto alta opinione dell’intelligenza vostra, e della gentil conformazione del cuore, che in seno vi batte, per supporre altrimenti. Ma in forza di quelle combinazioni, alle quali accennavamo poco dianzi, non sarebbe impossibile che taluna fra voi atea si credesse. E dicevo credesse, perchè fuori del natural corso delle cose ella sarebbe, se lo fosse sostanzialmente. E come supremo degli oltraggi si è il negare a taluno alcuno degli istinti o delle potenze che il corpo umano esige ad esser perfetto e ben organizzato nell’interne e nell’esterne sue parti, ed a tutte esercitare le sue naturali funzioni; altrettanto e non minore insulto sarebbe il supporre che a taluna di voi difetti questo nobilissimo fra i sentimenti; tanto più che nella femminile natura ogni sentimento siede come in suo trono, sendo la donna, in ogni fasi della sua vita, accompagnata, guidata, sostenuta da quelli, per quelli capace d’ogni sacrificio, forte per quelli nelle abnegazioni, vittoriosa nelle lotte, indomita nelle difficoltà, d’ogni ardua impresa capace, [p. 73 modifica]perseverante nell’azione, tanto che, ciò considerando, un filosofo ebbe a dirsi, che la donna pensa, ragiona e decide col cuore, sentenza che, se per avventura un cotal poca speciosa e non certo matematicamente esatta, non arriva certo ad offenderci, per quanto poco caso sembra farsi della nostra potenza intellettiva.

Ma posta per un istante questa ipotesi, che vi fosse un’atea fra voi che mi leggete, io non farò che riportarvi ai semplici ed elementari raziocinii che vi facevo negli esordii di questo capitolo, sondo la verità religiosa di tal natura a non esigere lunghe disquisizioni, nè raffinate teorie.

Aprite gli occhi e vedete succedersi da tanti secoli il giorno e la notte, alternarsi con ordine eterno le stagioni, ripetersi senza fine dalla stessa causa gli effetti stessi; studiate i diversi climi co’ loro diversi generi di vegetazione, colle diverse specie d’animali, investigatene l’ordine e le ragioni; studiate le scienze esatte coi loro infallibili assiomi: misurate nelle scienze speculative la potenza d’astrazione dell’umana intelligenza procedente con ordine invariabile di premessa in conseguenza e giunta con assiduo lavoro all’attual civiltà; vedete nella storia la logica dei fatti, sempre generati ed a lor volta generatori con ordine sì indeclinabile da non essere impossibile la profezia; nelle arti estetiche cercate le ragioni del bello, che tanto ci affascina lo spirito ed i sensi vellica sì piacevolmente, e voi le troverete e le riprodurrete subordinando l’azione vostra a regole ed a linee.

Se quest’opera permanente, logica, ordinata, ch’è la creazione colle sue forze agenti sotto leggi invariabili, vi sembra lealmente l’opera delle combinazioni, allora vi chiederò con La Bruyère che cos’è l’ordine? che cos’è la regola? Qualunque ipotesi si faccia l’uomo per giungere a spiegarsi questo [p. 74 modifica]fatto che è l’universo, tutte sono mille volte più difficili a concepirsi dallo spirito, che quella assai più semplice dell’esistenza d’una causa prima, intelligente e volente.

Egli è perciò che i progressi della ragione e delle scienze naturali hanno screditato la scuola atea e sulle rovine di quella nacque la razionalista, la quale giunge per diversa via ad un egual meta. Quella negava ridendo, e negava per sistema e per progetto; ed a quella scuola viziosa per la sua maniera, immorale pel suo sistema preconcetto, il mondo deve però la demolizione del Medio Evo. Ma quell’abile demolitrice non valeva a nulla edificare, ed ella lasciava l’umana ragione come una carta sulla quale nulla v’era di scritto; ella dunque dovea finir di regnare, e moriva, lasciando a succeditrice nell’opera della emancipazione della intelligenza umana, la scuola razionalista, la quale cangiò il Caso in Etere Cosmico, nella necessità di dare alla vita universale una ragione sufficiente. Ma essa pure ci conduce davanti a quel dilemma che ne accusa la debolezza. L’Etere Cosmico, il fluido vitale dell’universo è desso intelligente e volitivo? in questo caso siamo ancora una volta d’accordo; ma se non lo è, e non lo può essere, allora questo fatto dell’intelligenza e della volontà resta un’altra volta effetto senza causa, e la ragione si trova in bocca un osso più duro da rosicchiare, che non l’esistenza divina.

La scienza di tutti i tempi ha ammesso le ipotesi, e di quelle si serve con una frequenza ed una fiducia ch’è talora eccessiva. In questo problema solo, ch’è pure fra tutti vitale ed importantissimo, non sarà lecito e logico fra le molte ipotesi delle diverse scuole quella accettare, e ritenere, che soddisfa maggiormente alle esigenze della ragione? [p. 75 modifica]Conservando però profonda riconoscenza per tutti i sistemi che per iscopo finale delle loro fatiche si proposero la libertà della mente, noi propugniamo il principio religioso risultante dall’universale coscienza, voluto dalla ragione, aiuto poderoso alla sociale moralizzazione, donde il benessere universale.

È duopo dunque questo scopo si raggiunga, epperò, ciò che maggiormente importa, ch’è di massima gravità e di vitale interesse, si è, che il sentimento religioso si manifesti in voi in maniera che non degeneri a vestir le forme dello spirito debole, della ragione inferma, dell’esclusivismo orgoglioso, dell’inumana intolleranza.

Parlando Cristo colla donna di Samaria, questa gli diceva: «Tu sei giudeo e come tale crederai che Dio debba adorarsi in Gerusalemme, e non su quel monte ove l’adorarono i padri nostri» — (Notate che l’intolleranza ed il pregiudizio erano tali, ch’ella non sapeva figurarsi che un giudeo potesse transigere dall’esclusivo orgoglio del tempio di Gerusalemme — Ed egli rispose: «In verità ti dico, che verrà un giorno che nè in Gerusalemme, nè in Garizim si adorerà Iddio, ma il Padre avrà adoratori in ispirito e verità».

Due cose meravigliano in questa risposta e ne fanno, secondo noi, uno dei punti più salienti di quella meravigliosa dottrina, per la quale professiamo una sconfinata ammirazione.

Alla specie di sfida che gli getta la donna, attribuendogli come giudeo tutti i pregiudizi! della sua nazione, egli non risponde affatto e non se ne chiama offeso, dando in ciò somma prova di tolleranza; abbraccia quindi la forma della questione, e pone in un posto accessorio il grave problema di località sollevato dalla donna come non essendo vero culto, ma pura forma di culto, tutto chè con esterni atti si esprime; formola [p. 76 modifica]finalmente, con una frase sublime, il culto vero, dando ad ogni cosa il suo proprio carattere; chiama padre l’oggetto del culto, ch’è quanto dire Causa e Provvidenza, e richiama con ciò il sentimento al quale la donna non pensava; chiama adorazione in ispirito e verità quel culto razionale e sentito che dal cuore e dall’intelletto partito non Garizim, o Gerusalemme, ma l’universo considera siccome il tempio di Dio; e dalla sublime vôlta del Cielo fino al brulichìo dell’esile verme, dai fecondi e scienti conati della ragione fino all’umile fiorellino ignaro di sè (inconscio delle meraviglie che in sè raccoglie); ovunque ode cantare le sue lodi, narrare i portenti della sua benefica è paterna munificenza; ed i riti diversi delle genti, e le più o men logiche cerimonie, con che l’uomo esprime il bisogno del culto, considera siccome sfoghi di natura vuoti affatto di senso se difettosi di sentimento, sempre forme e vesti, corpi e sostanza non mai.

E veramente quel giorno preconizzato dal Cristo è giunto, e quelle sue parole, allora incomprese, sono nel nostro secolo un aperto programma.

Lo ridestarsi dei popoli oppressi, la caduta imminente d’ogni tirannide, l’affermazione di tutti i diritti, lo sollevarsi delle caste, la coscienza dei doveri, il progresso dell’umanitarismo, la emancipazione delle intelligenze, l’amplesso fraterne che lega gli uomini d’ogni regione, la nausea del gratuito, il culto profondo del vero, questi dogmi del nostro secolo hanno staccato l’uomo dalle illusorie e speciose dottrine, dal culto della forza e dell’autorità., dai vieti pregiudizi di caste, di nazionalità, di confessioni e lo portano potentemente e fatalmente al vero, all’equo, al morale, alla sintesi del divino concetto creativo, al culto in ispirito e verità.

Ed ecco il programma che deve la donna [p. 77 modifica]capire ed abbracciare e a non inceppare il comune lavoro, a non disconoscere il concetto della Provvidenza, a discostare egualmente e l’ipocrisia ed il pregiudizio, che, emanati da diverse fonti, sì accordano, in questo; nel preferire la forma all’ente, la corteccia al midollo.

«Non è egli il cibo men che la vita, ed il corpo da più che il vestimento?»                 (S. MATTEO)

Nè chiamando la donna ad associarsi nell’adesione a cotali concetti, intesi chiamarvela per solo entusiasmo dei tempi e perchè a lei si compete eziandio l’assidersi con tutta l’umanità al desco fraterno che la religione del Cristo apparecchiava a dirigere i voti inconsci, e le aspirazioni indefinite e tormentose della umana filosofia. Mai no. Mi rivolsi alla donna perchè, più dell’uomo inchinevole a religione, più data a pietà, recandosi seco pregiudizio di pessima educazione la forzata cecità della mente, fu e sarà sempre lo elemento nel quale l’errore religioso sposato agli interessi di casta troverà il suo naturale veicolo.

Mentre la donna ogni studio rivolge a dominare ogni più onesto impulso di natura riguardando le passioni siccome nemici, anziché siccome costituenti la potenza dell’essere morale; mentre s’affanna a comprimere la innata sensibilità per sostituirvi quel glaciale indifferentismo gesuitico che vince in ispudore le ciniche utopie; mentre gl’interessi della patria; i reclami della civiltà, l’amore del consorte, e la tenerezza dei figli pospone con eroica abnegazione che il cuore le insanguina e l’anima le strazia e tutto sacrifica ed immola sull’ara di quella spietata divinità, che s’imbriaca di sangue e delle carni abbrustolite degli uomini fa al sozzo ventre delizioso orrendo pasto; la donna al certo, nella cecità della sua mente, nello [p. 78 modifica]entusiasmo della sua fede, crede che Dio esiga da lei tuttociò; pensando forse aver egli tutte cose create e ab eterno assoggettate con leggi fatali ad un ordine prestabilito per poi darsi il crudo e scipito piacere di obbligarle tutte a camminare a ritroso di quello impulso ch’egli stesso loro imprimeva. Ed ecco perciò miserevole e frequente spettacolo vedere la donna vittima di quell’infernale sistema ed insieme suo appoggio ed istrumento, consigliare e procurare nella prole la stessa sua cecità, distogliere il consorte, e il fratello, e l’amante dalla lotta generosa contro un principio, che il solo trasnaturamento della ragione e del sentimento le fanno riguardar siccome santo, e che tanto più deve incitare alla vendetta ogni spirito generoso, in quanto che vile lavora nelle tenebre d’un morale segreto, forte del sonno dello intelletto, che sopraffà, e del morale sentimento che narcotizza, simile a Dalila, che sorrider dovea seco stessa satanicamente ad ogni ciocca di capelli, che le vili forbici sottraevano alla testa di Sansone dormente.

La donna così evirata di mente, dimentica tutta l’umanità per non vedere che sè e Dio; il Dio del dispotismo, il Dio, che canna labile dal capriccio d’ogni zeffiro agitata, appoggiando per sistema e per natura ogni autorità costituita, china il supremo suo scettro a salutare ogni sole che nasce, postergandosi continuamente il dì che tramonta; il Dio che impotente davanti allo avvicendarsi delle sconfitte e dei trionfi dei popoli e dei sistemi, viene ad arcano parlamento con tutte le sovranità che si contrastano il bel paese, oggi Franca, ieri Teutona, ed Ispana domani, e poi successivamente Greca, Turca e Cosacca, e dei suoi lumi divini li irradia, siccome le serve faci sfilano sui profanati lari le vinte popolazioni; il Dio che spolvera i fulmini del Vaticano e [p. 79 modifica]controfirma le sentenze di morte ai sovrani per la grazia di Dio; il Dio che scerne i Paria dalle nobili caste; sdegna gli Iloti e predilige i forti e li avventurati; il Dio che dei mali dell’uomo s’allieta, e suprema virtù ne esige di una inerte rassegnazione, nè la lotta generosa gli permette contro un male che può vincersi.

Questi è il Dio formidabile e capriccioso che gli uomini hanno escogitato tutto simile a loro: troppo simile, perchè una ragione vergine da errori preconcetti possa accettarlo seriamente.

Meno l’uomo è civilizzato e più il terrore agisce sulle sue fibre, e più presta egli spontaneo e profondo il suo culto alla forza, si manifesti pur essa colle forme ’dell’arbitrio, dell’ingiustizia e della crudeltà. Forzato egli dalla ragione ad attribuire a Dio una potenza assoluta, giudicandolo da sè non credette potesse Egli non abusarne, donde filtrò nell’anima sua lo indicibile terrore di trovarsi inerme nelle mani di un Onnipotente, giuoco de’ suoi capricci da niuna legge determinati.

Servi d’un Dio crudele e terribile, gli uomini si fanno a loro volta feroci e sanguinarli. A placare la sdegnata deità Omerica, ecco sotto la scure la vergine Polissena; le torve divinità di Cartagine trovano voluttuoso orrendo pasto nelle morbide carni degli arsi bambini; l’ebreo popolo a niuno perdona per onorar Dio, che punisce fin la pietà; il religioso terrorismo dell’Evo Medio accende i roghi in tutta la cristianità, il moderno consacra l’oppressione e vieta agli uomini di togliersi ai mali che li premono.

Questo funesto errore contaminò tutti i popoli e tutte le religioni, talchè non puossi meglio questo culto che quello accagionarne; tutti ne furono infetti, perchè nel tristo animo umano si giace ingenito il selvatico istinto della tirannia. [p. 80 modifica]Gli è perciò che, coll’animo perfettamente sgombro da passioni e da ire contro caste, o sette, o sistemi, ferma sempre ai principii, parlando alla donna d’ogni culto le dico; alza, se ti è possibile, la tua ragione verso Dio, e non voler chinare Iddio fino a te; sforzati di ormeggiare la sua bontà, e non trascinare lui ad appoggiar le tue ire od i tuoi amori; ricordati ch’Egli, padre di tutti i viventi, se può scegliere fra il giusto e lo ingiusto, non ha che una misura ed un pese pel grande e pel pìccolo — Tutto quaggiù è mutabile per lo impulso, che Dio stesso imprimeva alla umana ragione. Chiamandola a progredire, egli le comandava il moto e le rivoluzioni; cammini l’uomo al meglio, e non tema; Dio è con lui, e le leggi scritte dal suo dito sono fatali.

Cadono e sorgono popoli ed imperi, fra loro contrastano i principi e le genti, leggi e sistemi veggono la luce a tempo loro, regnano e muoiono; grandi unità, unità colossali attraversano qua e colà l’orizzonte della storia, segnandovi come luminose meteore una striscia di luce, e frattanto Iddio vede dall'alto svolgersi il dramma umano, conta i dolori e le gioie, compatisce agli errori, ed il suo sole sui buoni fa risplendere e sui malvagi, la terra tutta del suo fervido raggio rallegra, e tutti i viventi paternamente riscalda.

Imitiamolo, anziché imporre leggi alla sua giustizia, segnar confini alla sua bontà e farci appo i nostri simili feroci zelatori di interessi che gli supponiamo, od interpreti di passioni che son tutte nostre.

L’amore unisce ed armonizza, il terrore divide ed uccide; la bontà compra, seduce, trascina; lo esclusivismo discosta, irrita, reagisce; la religione può far gli uomini nemici e può farli fratelli; [p. 81 modifica]tocca alla nostra ragione ed al nostro cuore giudicare quale Iddio voglia di questi due risultati, e quale dei due l’umanità conduca al benessere ed alla perfettibilità.