La FAO/6

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Conclusione

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6. CONCLUSIONI

L’esame svolto nelle pagine precedenti vuole offrire al lettore la possibilità di una riflessione storico-argomentativa che tenga presente i caratteri dell’evoluzione dell’Organizzazione. L’analisi finalistica conduce ad un duplice risultato ravvisabile negli sviluppi dei fattori interni e nelle attività della Fao, risultato che prevede come conseguenza necessaria un’antinomia della funzione dell’ Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura.

Ecco perché si parla di conclusioni e non di conclusione: l’ambiguità ontologica della bipartizione fra funzioni meramente tecnico-consultive ed operative dell’istituto costituisce l’essenza di questo lavoro.

La prima conclusione che si può trarre si fonda su una concezione prettamente ‘formale’ degli atti e degli obiettivi dell’organizzazione.

Il presupposto logico di questa prima tesi è dato dalle norme contenute nell’atto costitutivo, in special modo nel primo articolo. Un’attenta analisi conduce (e non potrebbe essere altrimenti) a ritenere che ci sia stata una piena realizzazione degli scopi e delle funzioni dell’ente dal momento che le manifestazioni di assistenza tecnica, di coordinamento, di indirizzo strategico, rispondono in pieno al dettato delle disposizioni predette.

Ma vi è di più. L’aver sviluppato piani di sviluppo agroalimentare nel medio e lungo periodo, l’aver ottenuto, da parte dei Stati membri, l’assunzione di precisi impegni economico-giuridici, sociali, umanitari, tratteggia la prova che la Fao non solo è riuscita a fornire quell’aiuto scientifico di cui si parlava prima, ma addirittura ha spinto gli Stati all’adozione di solenni dichiarazioni di principi cui sono seguite spesse volte assunzioni di dettagliati ed importantissimi obblighi.

Un lavoro che merita il plauso dell’intera comunità internazionale la quale, dopo lunghissimi anni di introspezione, ha trovato il coraggio e l’onestà di dichiarare, con cosciente sensibilità, la devastante situazione di insicurezza alimentare nella quale versano più di ottocento milioni di persone.

La responsabilità in capo ai singoli Stati dello status quo dei propri cittadini che combattono quotidianamente contro questa atrocità è l’emblema della nuova, sentita, razionale consapevolezza.

Questo cammino che è durato più di mezzo secolo può essere qualificato come una fondamentale tappa nel percorso evolutivo dell’organizzazione; a ben vedere, però, rappresenta unicamente l’inizio di una un nuovo percorso che la Fao si accinge ad intraprendere. Difatti, la seconda ed ultima conclusione che si può trarre insiste su di una concezione squisitamente ‘sostanziale’ degli atti e degli obiettivi di questo ente.

La percezione di una evoluzione condizionata sempre più da un nuovo ordine sociale ed economico dell’umanità ha fatto sì che la funzione pragmatica abbia esteso la sua portata all’interno degli obiettivi e delle finalità dell’Organizzazione: questo cambiamento ha profondamente modificato l’attitudine volta verso il compimento di studi tecnico-scientifici a favore di una matura attuazione di progetti destinati ad un tangibile miglioramento, inter alia, della sicurezza alimentare mondiale.

Ciò, si badi, non vuol dire che l’aver intrapreso piani di lavoro strutturati scientificamente abbia (sempre) comportato dei vantaggi effettivi per le popolazioni che soffrono una cronica insicurezza alimentare: se si campionasse lo stato di attuazione dei molteplici programmi della Fao e l’impegno intergovernativo - che avrebbe dovuto essere il ‘motore immobile’ aristotelico - non si potrebbe che rimanere profondamente amareggiati se non delusi dai minimi miglioramenti ottenuti.

Ho già detto che l’evoluzione degli obiettivi (ed a fortiori) l’attuazione dei medesimi dipende esclusivamente dalla volontà degli Stati di compiere il cammino da essi stabilito: come diceva Gandhi, bisogna catturare ‘i cuori’ delle persone, e, per traslato, degli Stati, per cambiare veramente il mondo, non sono sufficienti ‘le teste’, gli applausi, e, ancorché scritti, gli impegni.

L’uguaglianza sostanziale e la sicurezza alimentare sono valori che non possono più tollerare internazionalmente una colposa compressione talmente violenta da comportare addirittura la morte di un bambino a causa della fame ogni tre secondi. Non servono dichiarazioni di principi, convenzioni che tutelano diritti fondamentali dell’uomo, dei fanciulli, piani di aiuto alimentare, assistenza tecnica, sostegno tecnologico se non si capisce che senza un’effettiva ed ‘impegnata’ volontà di attuazione queste parole rimarrebbero mero flatus vocis, icone di una manifesta ipocrisia.

Questa seconda conclusione, seppur assai critica, non può prescindere e non trovare un contemperamento nei risultati descritti nella prima. Anche se essi rappresentano una goccia d’acqua nell’oceano di morte e sofferenza del mondo, il loro esempio è una luce che illumina prospetticamente un futuro in cui, spero, a nessuno sia più dato di soffrire il flagello della malnutrizione cronica e/o della fame.




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