La Perla Sanguinosa/Parte prima/10 - La principessa di Karnicobar

Da Wikisource.
../9 - Le isole Nicobare

../11 - I prigionieri IncludiIntestazione 29 luglio 2016 75% Da definire

Parte prima - 9 - Le isole Nicobare Parte prima - 11 - I prigionieri

10 — La principessa di Karnicobar


All'intimazione minacciosa del quartiermastro, ogni rumore cessò bruscamente e le fronde, che poco prima si agitavano come se qualcuno cercasse di aprirsi un passaggio, riacquistarono la loro immobilità.

Will, per niente rassicurato da quell'improvviso silenzio, fece alcuni passi innanzi, mentre il macchinista armava la pistola ed il malabaro si muniva d'un tizzone fiammeggiante.

«Chi vive? — ripeté il marinaio, arrestandosi a quindici passi dal margine della foresta. — Rispondete, dunque, o faccio fuoco!»

«Che sia stata qualche scimmia? — chiese Jody. — Se fosse stato un isolano, a quest'ora si sarebbe mostrato, conoscendo la potenza delle armi da fuoco.»

«Le scimmie non abbandonano gli alberi, specialmente di notte, — rispose il quartiermastro. — Ho udito bisbigliare là, in mezzo a quel cespuglio.»

«Giacché non osano mostrarsi, andiamo a scovarli noi, — disse il pescatore di perle, soffiando sul tizzone. — Siamo armati e non siamo uomini da lasciarci scannare come cinghiali.»

S'avanzarono verso il cespuglio ed il malabaro allargò le fronde, proiettandovi dentro la luce del tizzone.

«Che cosa fate qui e perché vi nascondete?» chiese subito.

Due uomini stavano rannicchiati sotto le foglie, l'uno accanto all'altro, e parevano più spaventati che disposti a giocare qualche brutto tiro ai tre forzati, tanto più che non avevano nessuna arma in mano.

«Venite fuori, non avete nulla da temere, — disse il pescatore, in lingua indiana. — Anzi, se avete fame, possiamo offrirvi una copiosa cena.»

I due isolani si scambiarono uno sguardo, poi si alzarono fissando tosto i loro occhi sul quartiermastro che teneva sempre la carabina spianata.

«Non uccideteci,» disse finalmente uno dei due, con voce tremante.

Poiché anche Will e Jody conoscevano la lingua indiana, che viene parlata, salvo qualche variante, su tutte le isole che si estendono a levante ed a ponente della grande penisola indostana, il primo rispose subito: «Non vogliamo farvi alcun male; non vi siamo nemici.»

«Purché vi fermiate con noi,» aggiunse il macchinista.

«Seguiteci, — riprese Will. — C'è posto anche per voi accanto al fuoco e c'è anche dell'arrosto per saziarvi.»

I due isolani non si fecero pregare e quantunque tremassero di spavento, si lasciarono condurre senza protestare verso la colossale tartaruga.

Erano due omiciattoli, non più alti d'un metro e mezzo, assai magri, tanto anzi che mostravano le costole, colla pelle quasi nera, le labbra piuttosto grosse, il naso schiacciato, il mento invece prominente e gli occhi un po' obliqui come quelli dei mongoli. Non avevano alcun ornamento intorno al collo e alle braccia, ed il loro vestito consisteva in un sottanino formato di fibre vegetali.

«Mangiate e poi parlerete,» disse Will, vedendoli guardare con occhi ardenti l'enorme rettile.

Stava per dare loro una conchiglia piena di carne, quando in mezzo alla boscaglia s'alzò un clamore immenso, tosto seguito da grida e da urla che risuonavano stridenti, alternate ad un canto che pareva funebre, salmodiato su un ritmo monotono ed a colpi di gong e di tam-tam.

I due isolani si alzarono di colpo, guardando verso la foresta. Parevano in preda ad un vivissimo spavento e tremavano come se avessero la febbre.

«Che cosa accade laggiù?» chiese il quartiermastro, che si era pure levato, tosto imitato dal macchinista e dal malabaro.

«È morto il capo del villaggio,» disse uno dei due isolani, che cercava di nascondersi dietro l'inglese come se fosse minacciato da qualche pericolo.

«E gli fanno i funerali?»

«Sì, uomo bianco.»

«Ma perché tremi?»

L'isolano rimase un istante perplesso, poi disse:

«Noi siamo schiavi del capo.»

«E che vuol dire ciò?» chiese il quartiermastro.

«Come tali dovevamo essere sepolti vivi col capo per scortarlo e servirlo nell'altra vita.»

«E siete fuggiti?»

«Sì, signor uomo bianco.»

«Chi era quel capo?»

«Un uomo potente, padrone di quattro villaggi.»

«E i suoi eredi volevano seppellirvi con lui?»

«Tale è l'uso, signore.»

«Avete lasciato dei compagni?»

«Quattro, fra cui due donne, ma a quest'ora saranno stati uccisi.»

«Sono dei bricconi! — gridò Will indignato. — Vi hanno veduto fuggire?»

«No, signore, ma non tarderanno a cercarci,» disse l'isolano che non cessava di tremare.

«Vengano a prendervi qui nel nostro campo se l'osano, — disse Palicur. — Jody, spegni il fuoco e porta la legna nella scialuppa.»

«E teniamoci pronti a partire, — aggiunse Will. — Non permetterò mai che uccidano questi poveri diavoli. Scannino dei maiali se vogliono fornire una scorta al morto.»

«Che gli saranno più utili, potendo fornirgli dei prosciutti,» disse Jody, ridendo.

Spensero il fuoco per non attirare l'attenzione degli uomini lanciati ormai sulle tracce dei fuggiaschi, caricando la scialuppa con grossi rami raccolti sul margine del bosco, poi dopo aver dato da mangiare ai due schiavi, si ritrassero verso una folta macchia per non venire facilmente scoperti.

Senza un'estrema necessità, non intendevano pel momento lasciare quell'isola prima di essersi bene assicurati della rotta del Nizam, poiché si tenevano sicuri che quella nave non avesse interrotta la caccia, e poi volevano imbarcare viveri sufficienti per poter compiere la traversata dell'oceano senza correre il pericolo di morire di fame e di sete. Era bensì vero che più al sud le isole non mancavano, ma in tal caso avrebbero dovuto perdere parecchi giorni ed anche esporsi al pericolo di venire raggiunti e catturati dal Nizam prima di raggiungerle.

«Se verremo scoperti, — aveva detto il quartiermastro, — ci imbarcheremo senza troppo allontanarci e andremo a cercare qualche rifugio verso le coste meridionali.»

I canti e le urla non erano cessati. Si udivano sempre anche i colpi di gong e di tam-tam, i quali si propagavano con un fragore infernale sotto la foresta.

«Quando lo seppelliranno, il morto?» chiese Palicur ad uno dei due isolani, il quale ascoltava con angoscia quelle grida.

«Domani, allo spuntare del sole.»

«Urleranno tutta la notte?»

«Sì, signore. Hanno molto arak da bere, messo a disposizione degli abitanti dalla vedova del capo.»

«Sarà allora un po' difficile schiacciare un sonnellino,» disse Jody.

«Cacciati un po' di canapa negli orecchi, — disse il quartiermastro. — Devi averne nella tua cassa.»

«Preferisco aspettare che quei cantanti siano completamente ubriachi o che non abbiano più fiato. Immagino che questi isolani non avranno delle gole foderate di rame o di ottone.»

«Per parte mia dormirò egualmente. Sono abituato ai grandi rumori del mare e ai sibili del vento e non aprirò gli occhi prima del mio quarto. Chi vuol fare il primo?»

«Lo farò io, signor Will,» rispose il macchinista.

«Apri bene gli occhi e spingi qualche sguardo anche sul mare; il Nizam non deve tardare a comparire, malgrado le sue macchine asmatiche. Buttati giù, Palicur, e lascia riposare il tuo dorso che deve averne gran bisogno, dopo le carezze del gatto a nove code.»

Mentre il macchinista si armava della carabina, il quartiermastro e il malabaro si stesero su un denso strato di foglie fresche e chiusero gli occhi, senza preoccuparsi delle urla diaboliche degli isolani. I due schiavi, che erano ancora in preda ad una profonda angoscia, quantunque le parole dell'uomo bianco li avessero un po' rassicurati, si erano invece accoccolati dietro al mulatto, spiando sempre ansiosamente il margine della foresta.

Pareva che i sudditi del capo non si fossero ancora accorti della fuga dei due disgraziati, poiché le grida echeggiavano sempre lontane. Occupati ad ubriacarsi, non dovevano essersi ancora mossi, così almeno la pensava Jody, non vedendo comparire nessuno, né dalla parte della boscaglia, né da quella del mare. Infatti il suo quarto trascorse senza incidenti e quando, verso la mezzanotte, svegliò l'indiano, ancora nessuno si era fatto vedere nei dintorni dell'accampamento e le grida, un po' meno acute di prima, si udivano sempre lontane.

«Io credo che questi due ometti si siano spaventati a torto, — disse al pescatore di perle. — Nessuno pensa più a loro; tuttavia veglia attentamente, Palicur.»

«Dalla parte del mare hai veduto nulla?» chiese il malabaro.

«Nessun punto luminoso è comparso. O il Nizam ha le macchine completamente sconquassate ed è ancora lontano, o ha rinunciato all'inseguimento. Buona notte.»

Il malabaro fece una breve perlustrazione, spingendosi fino al margine del bosco e poi verso la scialuppa e, rassicurato, tornò all'accampamento dove i due schiavi, nonostante le loro angoscie, avevano finito per addormentarsi.

Le grida degl'isolani a poco a poco si affievolivano. Solo si udivano, di quando in quando, i suoni acuti del gong e dei tam-tam. L'arak doveva aver trionfato sui cantori, togliendo loro la lingua e le gambe insieme. Nondimeno l'indiano, sospettoso e diffidente come tutti i suoi compatrioti, vegliava attentamente, e forse con maggior attenzione del macchinista, facendo sovente delle passeggiate verso la foresta e fermandosi parecchi minuti ad ascoltare.

Appunto in una di quelle perlustrazioni notò un fatto che lo preoccupò. Stava per tornare verso il campo, quando udì in mezzo ai folti cespugli un chiocciare improvviso e subito dopo scorse parecchi grossi volatili, dei sarab, alzarsi precipitosamente e volar via.

Chiunque altro non vi avrebbe fatto gran caso, ma il malabaro invece se ne allarmò. Quei volatili, che non sono notturni, dovevano essere stati spaventati da qualcuno, per lasciare nel cuore della notte i loro nidi.

«Può essere stato un animale a levarli o meglio qualche serpente, — mormorò, — e potrebbe anche essere stato un uomo.»

Ripiegò prudentemente verso l'accampamento che, come dicemmo, era mascherato da un folto gruppo di banani selvatici, e si pose in ascolto. Non erano trascorsi che pochi minuti, quando nella medesima direzione si udirono echeggiare le note di un cuculo, uccello tipico di quelle isole.

«Canta di notte, — mormorò il malabaro. — Ciò non è naturale. Anche quello è stato spaventato.»

Si curvò su Will e lo svegliò, scuotendolo vigorosamente.

«Prepariamoci ad andarcene, signore, — disse. — Torneremo qui più tardi a completare le nostre provviste, se ci saremo ingannati.»

«Chi ci minaccia dunque?» chiese il quartiermastro.

«Sono certo che gl'isolani hanno scoperto il nostro accampamento e la prudenza ci consiglia di imbarcarci. Il Nizam può comparire da un momento all'altro e gl'isolani potrebbero avvertire il suo comandante della presenza d'un uomo bianco su queste coste.»

«Sveglia tutti.»

Il malabaro aveva già fatto alzare il macchinista e i due schiavi, quando ad un tratto una banda d'uomini armati di asce, di vecchi fucili e di mazze, sbucò dalla foresta e si diresse correndo verso la macchia occupata dai forzati, urlando spaventosamente. Era troppo tardi per fuggire verso la scialuppa, che si trovava semi-arenata a un centinaio di metri.

«Mettetevi dietro di me!» gridò il quartiermastro agli schiavi che mandavano urla strazianti, come se già avessero i coltelli sul collo. Strappò a Palicur la carabina e la puntò risolutamente verso gli isolani,.gridando in lingua indiana: «Fermi o faccio fuoco!»

La banda si arrestò. Si componeva d'una cinquantina di selvaggi, quasi tutti di statura più elevata dei due schiavi e di corporatura assai più robusta, con ornamenti di conchigliette bianche intorno al collo e alle braccia e pettini di bambù altissimi infissi nei capelli cresputi, la pelle tinta di ocra rossa.

Dalla foresta uscirono allora altri sette od otto indiani, che portavano dei rami resinosi fiammeggianti a guisa di torce e scortavano una donna di bassa statura, giovane ancora e dai lineamenti bellissimi; infatti le nigobiane godono fama di essere le più graziose isolane dell'Oceano Indiano.

Dalla sua camicia di stoffa finissima, trapuntata in oro, dai larghi braccialetti d'argento e dal diadema formato di rupie e di perle che le ornava il capo, il quartiermastro capì subito che quella donna doveva appartenere a qualche alta casta.

«Chi siete? — le chiese quando ella gli fu vicina, — e che cosa volete? Io sono un europeo e perciò sono inviolabile.»

La donna lo guardò con una certa curiosità, mentre i suoi guerrieri allargavano rispettosamente le file, poi rispose:

«Io vengo a reclamare i due schiavi che sono fuggiti dal mio villaggio: essi devono seguire mio marito, il gran capo Kanai-Tur, che verrà sepolto all'alba.»

«Quei due uomini sono sotto la mia protezione e non li cederò a chicchessia, — disse il quartiermastro con voce ferma. — Quando un europeo tocca colle sue mani una persona d'altro colore, quella diventa inviolabile.»

La donna aggrottò le sopracciglia, stupita forse di non vedersi immediatamente obbedita, poi riprese:

«Questa non è la tua patria e nessuno ti ha chiamato qui, dunque sei uno straniero e come tale devi obbedire alle leggi del paese. Quei due schiavi m'appartengono e li avrò.»

Fece ai suoi guerrieri un rapido cenno. Tosto l'orda, con una mossa fulminea, inaspettata, si rovesciò come un sol uomo sui tre forzati, mandando urla selvagge.

Will, credendo di spaventarli, scaricò la carabina al di sopra delle loro teste, ma quel colpo di fuoco non fece altro che renderli più furibondi. Quattro guerrieri si gettarono sul quartiermastro tenendolo fermo, mentre gli altri circondavano il macchinista e il pescatore di perle. I due schiavi, invece di approfittare del tumulto per salvarsi nei boschi, si erano tenuti dietro all'inglese sperando forse ancora nella sua protezione, quando furono afferrati da venti mani.

«Guai a chi li tocca!» urlò Will, cercando invano di liberarsi da coloro che lo trattenevano.

La sua voce si perdette fra le urla e i clamori furibondi degl'isolani. I due schiavi vennero trascinati a qualche passo di distanza, poi furono fatti stramazzare l'uno sull'altro con due formidabili colpi di mazza che fracassarono le loro teste.

Il malabaro, temendo che egual sorte toccasse anche all'inglese, con una scossa irresistibile si sbarazzò di coloro che lo stringevano da presso.

«A me, Jody! — gridò. — Spazziamo queste canaglie e liberiamo il signor Will.»

Se ciò era possibile a quel gigante che, come abbiamo detto, possedeva una forza più che erculea, non lo era affatto pel mulatto, che non era molto robusto e che già si era visto strappar di mano la pistola, prima di aver potuto servirsene.

Quantunque non seguito nella riscossa, il pescatore di perle non esitò un momento ad impegnare la lotta. Con due pugni terribili fulminò due guerrieri che tentavano di chiudergli il passo, poi si avventò contro il grosso, cercando di sfondare i ranghi. Stava per riuscirvi, quando si sentì cadere addosso una rete che lo imprigionò da capo a piedi paralizzandolo completamente.

«Siamo fritti, — disse il quartiermastro, vedendo i selvaggi precipitarsi addosso all'ercole e stringerlo con delle funi. — Come finirà ora questa avventura? Che ci facciano subire la stessa sorte toccata ai due schiavi per onorare vieppiù la memoria del defunto capo?»

Comprendendo che ormai ogni resistenza sarebbe stata inutile, tanto più che anche il povero Jody era stato imprigionato fra le maglie di un'altra rete, si lasciò legare i polsi dietro il dorso, senza nemmeno protestare.

Gl'isolani, dopo aver caricato i cadaveri degli schiavi su delle barelle frettolosamente costruite con rami, si cacciarono nuovamente sotto il bosco, conducendo con sé i tre disgraziati forzati. La vedova del capo precedeva la truppa, scortata dagli uomini che portavano le torce.

Un quarto d'ora dopo, l'orda giungeva in una vasta radura, in mezzo alla quale s'innalzavano due o trecento capanne di bella apparenza, colle pareti formate di bambù e i tetti coperti di foglie di cocco, e munite tutte di piccole verande. La popolazione vegliava ancora, sdraiata attorno a dei giganteschi falò su cui arrostivano dei quarti di bue, cantando e bevendo arak a garganella.

I tre forzati furono fatti passare quasi di corsa fra la folla, poi introdotti in una di quelle dimore. La vedova, che li aveva preceduti, li aspettava sulla porta.

«Che cosa vuoi fare di noi? — le chiese Will, appena la vide. — Bada, io sono un europeo e i due uomini che mi accompagnano sono miei amici, e non dimenticare che fra poco giungerà nella baia dei Saoni la mia nave, la quale ha dei cannoni.»

«Prima assisterete ai funerali di mio marito, — rispose l'isolana, — poi i sotto-capi dei quattro villaggi che dipendono da me, decideranno della vostra sorte.»

Dopo averli fatti liberare dalle corde e dalle reti fece loro cenno di entrare e chiuse la porta alle loro spalle, facendola inoltre barricare con alcuni tronchi d'albero, per impedire loro la fuga.