La Perla Sanguinosa/Parte prima/11 - I prigionieri

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11 — I prigionieri


Solo quando si videro rinchiusi e ben guardati al di fuori, poiché potevano scorgere attraverso le fessure delle pareti parecchi isolani disposti intorno alla capanna, i tre forzati cominciarono a considerare sotto il suo vero aspetto quell'avventura a cui prima non avevano annesso grande importanza.

Quantunque fossero sicuri che la vedova non avrebbe spinto le cose fino a sacrificarli in onore del defunto, essendo i nicobaresi piuttosto rispettosi verso gli stranieri e soprattutto verso gli europei, quell'inaspettata prigionia li preoccupava. Ciò che soprattutto li spaventava era sempre l'arrivo del Nizam, che non poteva forse tardare.

Se quella nave, come era da supporre, gettava le àncore nella baia dei Saoni prima di continuare le sue ricerche verso il sud, essi correvano il pericolo di venire catturati e ricondotti al penitenziario da cui erano fuggiti con tanti rischi.

La notizia dello sbarco d'un uomo bianco doveva ormai essersi sparsa nelle borgate della vedova e non era improbabile che il comandante del Nizam ne venisse avvertito.

«Non credevo che la finisse così, — disse il quartiermastro, che girava e rigirava intorno alla capanna come un leone in gabbia. — Ecco una buona azione che avrebbe dovuto venir ricompensata ben diversamente.»

«Signor Will, — disse Palicur, che non era meno furioso. — Lasciate che con un colpo di spalla rovesci queste pareti, e scappiamo.»

«Senz'armi? — disse Jody. — Questi isolani non ci lascerebbero andare senza contrastarci il passo. E poi troveremo ancora la nostra scialuppa nella piccola cala? È impossibile che non sia stata scoperta e rimorchiata alla baia dei Saoni.»

«Dove essa ci tradirà! — esclamò Will stringendo i pugni. — Se il comandante del Nizam la vede, imporrà, magari coi cannoni, a codesti dannati selvaggi di consegnarci a lui.»

«Che cosa vorrà da noi quella vedovella? — chiese Jody. — Sarei curioso di saperlo.»

«Non credo che osi alzare le mani su di noi, — rispose il quartiermastro, — tuttavia desidererei trovarmi lontano da qui.»

«Abbiamo commesso una sciocchezza ad accogliere nel nostro accampamento quei due schiavi, signor Will,» disse il pescatore di perle.

«Qualunque europeo avrebbe fatto altrettanto, — rispose il marinaio. — D'altronde ormai è troppo tardi per pentircene e dobbiamo pensare invece a cavarci da questo imbroglio. L'alba sta per sorgere, quindi fra poco si faranno i funerali al capo. Se poi la vedova si opporrà alla nostra partenza, daremo battaglia, magari a pugni ed a calci.»

«Zitto,» disse Palicur in quel momento.

Alcuni isolani si erano radunati dinanzi alla porta della capanna e parevano occupati a togliere i tronchi d'albero che la barricavano esternamente.

«Stanno per cominciare i funerali, — disse Jody, accostatosi ad una fessura che gli permetteva di scorgere la piazza. — Vedo la popolazione lasciare i falò e avviarsi verso una grande capanna.»

In quell'istante la porta si aprì e quattro guerrieri, armati di vecchi moschettoni a pietra, lasciati probabilmente loro un secolo prima dai coloni danesi od austriaci, entrarono, invitando i forzati a seguirli.

«Dove volete condurci?» chiese Will.

«Dalla vedova di Kanai-Tur, — rispose uno di loro. — I funerali stanno per cominciare.»

Non desiderando inasprire quella donna che pareva esercitasse un potere assoluto su gran parte degl'isolani, essi seguirono la scorta.

La piazza era gremita di popolo silenzioso, raccolto intorno ad una montagna di tronchi d'albero, sulla cui cima si scorgeva una specie di palanchino coperto da una tenda di seta. Doveva quella essere la pira funebre, poiché i nicobaresi sogliono bruciare i loro morti al pari degl'indiani della grande penisola indiana.

I tre forzati furono condotti nella casa della vedova, una bella e vasta abitazione che sorgeva all'estremità della piazza, col tetto a punta, simile a quello dei bungalow indiani, e una spaziosa veranda che le correva intorno, protetta dai raggi solari da belle stuoie variopinte e fiancheggiata, lateralmente, da splendidi alberi del cocco.

La vedova stava seduta sulla veranda, assieme a due vecchie nicobaresi, probabilmente due dame d'onore. Tutte e tre indossavano delle lunghe camicie bianche di guipure indiana e non avevano indosso alcun ornamento.

Will, che ci teneva a mostrarsi deferente verso la potente donna, la quale poteva giocare a tutti e tre qualche brutto tiro, le baciò la mano che ella gli porgeva, ciò che sembrò fare molto piacere alla vedova, la quale pareva si fosse già consolata della sventura toccatale, a giudicare dalla placida serenità del suo viso. I tre forzati furono fatti sedere su delle comode sedie di bambù; fu messo però dietro a ciascun un guerriero armato di moschetto. Poi la vedovella fece un segno con una pezzuola bianca che teneva in mano. Tosto urla acutissime s'alzarono nella folla che gremiva la piazza, accompagnate da un fracasso spaventevole prodotto da un paio di dozzine di gong e da certi tamburoni d'argilla coperti alle due estremità di pelli.

Quasi nel medesimo istante alcuni uomini muniti di torce diedero fuoco alla pira, che doveva essere stata innaffiata abbondantemente di materie resinose, mentre altri gettavano in mezzo ai tronchi fiammeggianti dei cadaveri, gli schiavi sacrificati in onore del capo, che dovevano scortarlo nel viaggio per l'altro mondo.

Mentre le vampe si levavano altissime, avvolgendo la salma del capo che era stata collocata sulla cima della pira, la folla intrecciava danze, cantando e urlando a squarciagola.

Uomini e donne pareva fossero diventati, d'un tratto, pazzi. Saltavano come belve feroci, poi si rotolavano al suolo sollevando nubi di polvere, si graffiavano il viso rigandolo di sangue e si strappavano manate di capelli, mentre altri si precipitavano fra i nembi di scintille che cadevano dalla pira, bruciacchiandosi il dorso e le braccia.

Solamente la vedova e le sue due dame conservavano una calma olimpica, senza manifestare alcun dolore. Chiacchieravano pacificamente fra di loro, succhiando di quando in quando dei pezzi di canne da zucchero, come se la cerimonia funebre non le riguardasse.

«Si direbbe che non vi fosse troppo buon sangue fra i coniugi, — disse Jody. — Che il reale marito bastonasse troppo sovente la sua cara metà?»

«Il fatto è che la vedova non mi pare affatto commossa, — rispose il quartiermastro. — Mentre il popolo si graffia il naso e si strappa i capelli, queste donne si addolciscono la bocca colle canne da zucchero.»

«Chissà che dopo non si mostrino più dolci anche verso di noi e non ci lascino andare per i nostri affari.»

«Vorrei sperarlo, Jody, — rispose Will. — Suppongo che la vedova non avrà intenzione di tenerci come schiavi.»

«Ti viene un sospetto, signor Will.»

«Quale?»

Da qualche po' noto che la vedova; mentre chiacchiera colle due dame, continua a sbirciarvi in certo modo...»

«E che cosa vorresti concludere?...»

Uri fracasso spaventevole, che strappò alla folla delle urla ancora più spaventevoli, impedì al quartiermastro d'udire la risposta del macchinista. La pira era crollata trascinando seco la salma, ormai quasi incenerita, ed una vera pioggia di fuoco si era rovesciata sulla piazza, facendo scappare danzatori e danzatrici.

Per alcuni istanti una immensa nuvola di fumo avvolse ogni cosa, poi quando, a poco a poco, si fu dileguata, apparve un caos di tronchi d'albero semi-combusti che fiammeggiavano ancora intensamente.

La vedova si alzò, dicendo ai tre prigionieri:

«La cerimonia funebre è finita: gradireste qualche cosa?»

«Vuoterei volentieri un bicchiere, magari mezzo caratello di birra, — rispose il quartiermastro. — Sono mezzo arrostito.»

«Non so che cosa sia, — rispose la vedova, sorridendo cortesemente. — Posso darvi da bere qualche cosa d'altro. Seguitemi tutti e tre»

Lasciarono la veranda dove giungeva intenso il calore proiettato da tutti quei tronchi crepitanti, ed entrarono in una bella sala, con ampie finestre semi-ovali difese da stuoie di cocco, ed ammobiliata con un certo gusto, con divani, sedie e tavoli di manifattura indiana.

La vedova, che si mostrava amabilissima ora, fece portare da uno dei suoi schiavi un gran vaso laccato e fiorato ed empì parecchie tazze d'un liquido biancastro, invitando i prigionieri a bere. Era una specie di vino di palma, assai gustoso, un po' piccante, molto atto a spegnere la sete. Fece in seguito portare certi pasticcini dolci, coperti di sciroppo di canna da zucchero, e colle proprie mani ne offrì al quartiermastro, mentre le due vecchie dame facevano altrettanto con Palicur e con Jody.

«Ed ora, signora, — disse Will, quand'ebbe vuotato un paio di tazze, — spero che ci lascerete continuare il nostro viaggio; dobbiamo recarci molto lontano da qui.»

«Dove siete diretti?» chiese la vedova.

«A Ceylon, signora.»

«Ho udito parlare vagamente di quella terra. Che cosa andate a fare colà?»

«Abbiamo degli affari coi pescatori di perle dello stretto di Manaar.»

«E perché non vi fermate qui? La mia isola è bella, io sono ricchissima e comando la meta della popolazione e vi offrirei delle belle case, delle piantagioni e degli schiavi, mentre voi vi occupereste dell'istruzione del mio esercito. Io so che gli uomini bianchi e anche gl'indiani sono famosi guerrieri.»

«È impossibile, signora, — disse il quartiermastro con voce ferma. — I nostri affari sono troppo gravi perché possiamo fermarci qui.»

La vedova aggrottò la fronte fissando il marinaio coi suoi begli occhi nerissimi, poi disse con voce brusca:

«E se v'impedissi di partire? La vostra scialuppa è già nelle mie mani.»

«Voi non avete il diritto di trattenerci qui, — ribatté vivamente il quartiermastro. — Noi siamo uomini liberi ed i nostri compatrioti potrebbero farvi pagare ben caro questo vostro capriccio.»

«E chi li avvertirebbe?» chiese la vedova ironicamente.

«In qualche modo si potrebbe far loro sapere che noi siamo qui prigionieri.»

«Io non vi ho ancora detto che vi terrò qui come prigionieri, — disse la vedova. — Anzi vi accordo libertà ed onori.»

«Non sappiamo che farne degli onori.»

«Vedremo se rifiuterete quello che vi offrirò.»

«Vi ripeto che vogliamo andarcene.»

«Ah!... È così?»

In quel momento entrò uno schiavo; dicendo:

«I ministri.»

Quattro vecchi indigeni, vestiti di bianco come la vedova e che portavano in mano dei lunghi bastoni col grosso pomo d'argento, simili a quelli dei capi musica, bastoni di comando senza dubbio, entrarono facendo dei profondi inchini.

«Ora che Kanai-Tur, il gran capo, è partito pel regno delle tenebre, — disse quello che pareva il più vecchio, — la popolazione chiede che tu, principessa, prenda senza indugio un altro marito. Hai pensato alla scelta?»

«Sì, — rispose la vedova, alzandosi vivamente. — Io darò al mio popolo un uomo valoroso, che renderà indubbiamente la nazione felice, perché discende da una delle razze più intelligenti che esistano.»

«Chi è costui?» chiesero ad una voce i ministri.

«Eccolo, — rispose la vedova, puntando l'indice verso il quartiermastro. — Questo sarà il nuovo capo dell'isola e mio marito.»

«Patatrac!» esclamò Jody, mentre Will balzava in piedi furente e Palicur diventava smorto.

«Sì, questi sarà mio marito,» ripeté la vedova.

«Signora, — gridò il quartiermastro che usciva dai gangheri. — Io non intendo di sposare che una donna del mio paese, che sia bianca come me.»

«Qui io sola comando ed ogni mio desiderio è volontà, — disse la vedova, con voce sibilante. — Voi diverrete mio marito.»

«Rifiuto recisamente, signora.»

«Vi lascio mezz'ora di tempo per decidervi. Voi andate ad annunciare al popolo che io ho scelto per mio sposo l'uomo bianco.»

Ciò detto, la vedova uscì, seguita dalle dame e dai ministri, lasciando soli i tre forzati, più che mai stupiti e più che mai furibondi per quell'inaspettata tegola che cadeva loro sul capo.