La Perla Sanguinosa/Parte prima/12 - Il fidanzato di Naja

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12 — Il fidanzato di Naja


Jody, che era il più faceto dei tre e che d'altronde non aveva alcun interesse d'andare o no a Ceylon, ruppe l'imbarazzante silenzio dei suoi compagni con uno scoppio di risa così clamoroso, da far accorrere i tre guerrieri che vegliavano sulla veranda.

«Oh! Signor Will! — esclamò, tenendosi le costole. — Siete nato colla fortuna in tasca voi? Scappare dal bagno per diventare cinquanta ore dopo principe di Karnicobar!»

«E tu ridi, briccone!» gridò il quartiermastro, che era tutt'altro che lieto di quella fortuna piovutagli addosso.

«Come! — esclamò il mulatto, fingendosi indignato. — Vi si offre una bella vedova con due splendidi occhi, giovane ancora, ed un regno: e vi arrabbiate? Siete ben esigenti voi, uomini bianchi.»

«È la prigionia che mi offre, — disse Will, — e siccome non ho alcun desiderio di piantar cavoli su quest'isola né di formare una famiglia color caffè e latte, rifiuto il regno e anche quella strega. Ho promesso di aiutare Palicur e manterrò la parola.»

«Udiamo, signor Will, — disse il malabaro, che era il più preoccupato e il più interessato a lasciare al più presto quell'isola. — Credete che quella donna, se vi rifiuterete di piegarvi al suo desiderio, sia capace di lasciarsi trasportare a qualche atto di violenza contro di noi?»

«Mi pare che non sia capace di scherzare, — rispose Will. — È prepotente e, quello che è peggio, obbedita da tutti. Ci darà dei gravi imbarazzi e ci esporrà al pericolo di venire ripresi.»

«E quello è il maggiore, — disse Jody. — Mi ero scordato del Nizam

«Che cosa intendete fare dunque, signor Will?» chiese Palicur.

«Non trovo altra alternativa che quella di cedere per ora, ed aspettare il momento buono per andarcene.»

«E avvertirla che noi siamo ricercati e che se vuole conservare il nuovo marito, deve impedire ai suoi sudditi di comunicare col Nizam,» aggiunse Jody.

«Sì, — disse Will, — dobbiamo cercare di guadagnare tempo. Rimanderò il matrimonio al più tardi possibile.»

«Se acconsentirà, — disse il mulatto. — Avrà fretta di diventare la moglie d'un uomo bianco, signor Will. Che onore per lei! Della pelle bianca!»

«Tu mi hai l'aria di prendermi a gabbo, Jody.»

«Niente affatto, signor Will, sono anzi invidioso della vostra fortuna.»

«Prendila tu, dunque. Ti cedo volentieri la vedova e il potere.»

«Disgraziatamente la mia pelle è color zafferano.»

In quell'istante la porta si aprì e la vedova riapparve assieme alle due dame, ai quattro ministri e a sette od otto guerrieri armati fino ai denti, probabilmente i pezzi grossi dell'armata nicobariana.

«La palla di rame è affondata or ora1 — diss'ella, guardando Will con un gesto di sfida. — Che cosa avete deciso? Il mio popolo aspetta la vostra risposta con impazienza.»

«E se avessi pensato di rifiutare?» chiese il quartiermastro con voce pacata.

«In tal caso non avrei che da fare un cenno a questi guerrieri e questa sera i pescicani della baia dei Saoni non mancherebbero della cena.»

«Costei è un demonio che non vorrei nemmeno io per sposa, — mormorò Jody. — Al primo litigio domestico mi farebbe gettare nelle gole delle zigaene.»

«Orsù,» gridò la vedova battendo i piedi con impazienza.

«Cedo alla vostra volontà, — rispose il marinaio, — a condizioni che il nostro matrimonio abbia luogo la notte della luna nuova, tali essendo i costumi del mio paese.»

«Sia, — rispose la vedova. — In questi sei giorni voi ed i vostri compagni sarete però strettamente vigilati, onde impedirvi di fuggire. Vi avverto d'altronde che la vostra scialuppa, per togliervi ogni speranza di lasciare l'isola, è stata affondata nella baia dei Saoni.»

Will trattenne a stento una imprecazione. Jody masticò quattro moccoli all'indirizzo della principessa e Palicur fu lì lì per prendere a pugni e a calci ministri e guerrieri.

«Avete commesso una corbelleria, signora. Quella scialuppa, fornita d'una macchina a vapore che le imprimeva una grande rapidità, sarebbe stata di grande aiuto e di un notevole rinforzo per la nostra flotta.»

«Ne faremo a meno, — rispose la vedova. — Avete altro da aggiungere?»

«Sì, un'altra cosa, — disse Will. — Se volete che io rimanga qui, date ordine ai vostri sudditi, specialmente a quelli che abitano i dintorni della baia dei Saoni, di far rispondere alla nave che questa sera o domani approderà colà, che nessuno straniero è qui sbarcato da molto tempo. Se sapessero, quei marinai, che noi ci troviamo qui, verrebbero a liberarci.»

La vedova lo guardò con stupore.

«Una nave deve venire a prendervi?» esclamò.

«Sì,» rispose Will.

«Ha molti marinai?» chiese la donna, che era diventata estremamente inquieta.

«E anche dei cannoni.»

«E non vi lascerete liberare da costoro?»

«No, voglio rimanere qui, mi sono ormai deciso. Badate però che nessuna parola sfugga ai vostri sudditi o quei marinai non lasceranno quest'isola senza di me, dovessero impiegare la forza contro di voi.»

«Questo Will è un vero maestro di furberia, — mormorò Jody. — Salva capra e cavoli e ci mette tutti al sicuro»

«Ero certa che voi avreste acconsentito ad accettare la mia proposta, — disse la vedova con voce giuliva. — Venite: il nostro popolo, radunato sulla piazza, vi aspetta per acclamarvi.»

«Perdonate, principessa, — disse Jody, facendosi innanzi ed inchinandosi profondamente. — E di me e del mio compagno che cosa farete? Noi ignoriamo ancora la nostra sorte e supponiamo che non ci serberete per far cenare gli squali della baia.»

«Penserà l'uomo bianco a darvi qualche carica elevata.»

«L'indiano è un bravo uomo di mare,» disse Will.

«Lo nomineremo capo della nostra flotta,» rispose la vedova.

«E questo, — continuò il quartiermastro imperturbabile, indicando Jody, — nel suo paese gode fama di essere un famoso guerriero.»

«Sarà il comandante supremo del nostro esercito. Venite, uomo bianco; il nostro buon popolo sarà lieto di vedervi al mio fianco.»

Prese per una mano Will e lo condusse sulla veranda, seguita dalle dame, dai ministri e dai guerrieri. Jody non entrava, almeno pel momento, in quegli onori e preferì tenersi vicino al vaso contenente quell'eccellente liquore, insieme a Palicur.

«Alla salute del mio collega, ministro della marina e grande ammiraglio,» disse con comica gravità, vuotando tre o quattro tazze una dietro l'altra.

«Ed alla salute del mio collega, ministro della guerra,» rispose il malabaro, sforzandosi di sorridere.

«Che magnifica idea avrei io se quelle dame fossero più giovani,» disse il macchinista.

«Di sposarle noi?»

«Devono essere due pezzi grossi dell'aristocrazia nicobariana, mio caro Palicur. Peccato che non abbiano vent'anni di meno.»

«Te le lascio volentieri tutte e due, — rispose il pescatore di perle. — Il mio cuore, tu lo sai, non batte che per Juga.»

Si passò una mano sulla fronte come per cacciare lontano da sé un pensiero importuno e sospirò a lungo.

«No, — disse poi, — dovesse costarmi la vita, io non rimarrò qui. Il mare non fa paura ai pescatori di perle.»

Vuotò d'un fiato la tazza che Jody gli aveva colmato, mentre al di fuori la folla, che pareva fosse diventata delirante, acclamava Will e la vedova; con un fracasso tale da far tremare perfino le pareti della casa.

Quando i fidanzati rientrarono nella stanza, entrambi erano sorridenti e parevano felicissimi. Il quartiermastro aveva spinto la sua galanteria fino ad offrire il braccio alla principessa.

«Che volpone! — mormorò Jody. — Se sapesse, la vedovella, che anche in questo momento egli sta pensando al modo migliore per piantarla prima delle nozze!»

I tre forzati s'intrattennero colle tre donne, i ministri ed i capi dell'armata fin dopo il tramonto, essendo stato loro offerto un succolento pranzo; quindi, quando tutti gli abitanti, che non dovevano avere più fiato in corpo non avendo mai cessato di urlare sotto la veranda, se ne furono andati, vennero condotti in una delle abitazioni della principessa, una bella casa poco dissimile da quella abitata dal defunto capo, con veranda e ampie tettoie ai due lati, che si trovava all'opposta estremità del villaggio.

Una scorta di venti guerrieri, armati per la maggior parte di moschettoni danesi, li accompagnò, prendendo poi posto nelle vicine tettoie onde sorvegliarli.

«Ebbene, signor Will, — chiese il macchinista, quando furono finalmente soli. — Durerà molto questa commedia?»

«Il meno possibile, miei cari amici, — rispose il quartiermastro. — Spero che prima del giorno fissato pel mio matrimonio noi saremo ben lontani di qui.»

«Sarà possibile andarcene colla scorta che ci ha appiccicato ai fianchi quella furba?»

«Non dico già di spiccare il volo questa notte, — disse il marinaio. — Fra qualche giorno la mia cara fidanzata sarà convinta che io non ho alcun desiderio di lasciarla. Lasciate a me la cura di conquistare interamente la sua fiducia.»

«Otto giorni sono pochi, signor Will,» disse Palicur.

«In una settimana si possono far molte cose, mio bravo malabaro. Tu intanto domani chiederai di andare alla baia dei Saoni per vedere la tua flotta, prima di assumere il comando.»

«Ed io chiederò di passare in rivista il mio esercito,» aggiunse Jody, ridendo a crepapelle.

«È la marina che ci deve interessare, — disse il quartiermastro. — Naja mi... ha detto...»

«Chi è questa Naja?» chiese Jody.

«Diamine! la mia fidanzata.»

«Che porta il nome d'un rettile! Ah, signor Will! Non lasciatevi cogliere fra le spire d'un serpente! Quella donna deve avere anche il cuore d'un naja nero.»

«Infatti, mentre la folla ci acclamava, ho udito uno dei ministri esprimere ad un altro il timore che potesse toccare anche a me la sorte che mandò all'altro mondo il secondo marito.»

«Come! Voi sareste il terzo!»

«Così parrebbe, rispose Will.

«Che abbia avvelenato gli altri due? — chiese Palicur. — Da una donna che si chiama Naja non c'è da attendersi altro. Sono terribilmente velenosi quei rettili e non si conosce alcun antidoto contro i loro morsi. In guardia, signor Will!»

«Non le lascerò il tempo di filtrare il veleno che mi dovrà spedire all'altro mondo a tener compagnia ai suoi due primi mariti, — rispose il quartiermastro. — Alzeremo i tacchi prima e perciò è necessario che tu, Palicur, ti assicuri innanzi tutto dello stato della flottiglia nicobariana. Ora che non abbiamo più la scialuppa, dovremo scegliere il miglior legno della squadra per tentare la traversata.»

«Me ne occuperò, — rispose il malabaro. — Conosco i legni di questi isolani.»

«Che saranno certamente pessimi,» disse Jody.

«Non quanto tu credi. Sanno lavorare bene le loro barche i nicobariani, quantunque siano tutte di piccole dimensioni.»

«E quando scapperemo?»

«La sera del mio matrimonio, mio caro Jody, — disse Will. — Prima di allora sarebbe impossibile, colla scorta che terrà bene aperti gli occhi su di noi. Ho già preparato il mio progetto e sono certo che riuscirà pienamente. Prima grandi feste, e poi ubriacatura generale della popolazione, ritirata colle fiaccole, silenzio assoluto, tutti chiusi nelle loro case con pena di morte pei trasgressori del mio ordine, poi fuga...»

«Salutata con colpi di cannone!» gridò Jody che aveva fatto un salto.

Una fortissima detonazione, che fece tremare le pareti della casa, era echeggiata in quel momento verso la baia dei Saoni, propagandosi sotto le foreste che circondavano il villaggio.

«Il Nizam!» esclamarono il quartiermastro e Palicur, precipitandosi verso la veranda.

«Che saluta il vostro fidanzamento, signor Will,» disse Jody.

Quel rimbombo improvviso, da tutti udito, poiché il villaggio della principessa sorgeva a qualche chilometro dalla baia dei Saoni, aveva fatto uscire tutti gli abitanti dalle loro capanne ed accorrere i capi militari verso la dimora di Naja.

«Sì, non può essere che il Nizam, — disse il quartiermastro, che era in preda ad una certa emozione. — È necessario spedire immediatamente dei messi agli abitanti della spiaggia onde non avvertano il comandante della presenza d'un uomo bianco. Una parola che sfugga loro e noi siamo perduti.»

«Se ci prendono ci ricondurranno al penitenziario,» disse Palicur. Stavano per chiamare i guerrieri della scorta, quando giunse trafelato uno dei ministri della principessa.

«Signor uomo bianco, — disse, precipitandosi sulla veranda dove si trovavano i tre forzati. — Avete udito il cannone?»

«Sì,» rispose il quartiermastro, tentando di padroneggiare le sue inquietudini.

«La principessa mi manda a chiedervi se quella è la nave che dovrebbe condurvi via.»

«Sì, — rispose Will, — e fate avvertire tutti i costieri che neghino l'arrivo in quest'isola di un uomo bianco, accompagnato da un indiano e da un mulatto, altrimenti verranno a portarci via.»

«Spediremo immediatamente dei corrieri.»

«Non tardate un solo minuto.»

Il ministro partì correndo, mentre sulla piazza si radunavano prontamente parecchi drappelli di guerrieri, per timore di qualche invasione da parte dell'equipaggio della nave.

Dopo quel primo colpo di cannone non si era udito più alcun altro sparo. Era però probabile che già qualche scialuppa avesse approdato a qualche villaggio della costa per interrogare gli abitanti, ed era quel pericolo che preoccupava vivamente i tre forzati. Se i corrieri giungevano troppo tardi, non era impossibile che qualcuno che avesse assistito ai funerali del capo si fosse lasciato sfuggire qualche parola sull'arrivo degli stranieri ed anche sull'affondamento della scialuppa a vapore.

Parecchi giovani guerrieri, scelti fra i più agili, avevano subito lasciato il villaggio, prendendo parecchie direzioni per portare gli ordini della vedova. Sarebbero giunti in tempo? Ecco il quesito difficile che turbava soprattutto l'animo del quartiermastro.

Riuniti sulla veranda, i tre disgraziati attendevano, in preda a vera angoscia, il ritorno di qualcuno dei corrieri che li rassicurasse.

Era trascorsa una mezz'ora fra ansie indicibili pei fuggiaschi, quando videro giungere precipitosamente il ministro di prima, accompagnato da alcuni guerrieri con rami resinosi che fungevano, bene o male, da torce.

«Venite subito con noi, — disse, precipitandosi verso Will. — I nostri corrieri sono giunti troppo tardi ed una squadra di soldati bianchi marcia verso il villaggio.»

«Siete degli stupidi! — urlò Will. — Voi ci avete perduti!»

Il ministro fece un gesto di stupore.

«Ma non sono vostri marinai costoro?» chiese.

«Sì, dei marinai che ci porteranno a forza sulla nave e vi priveranno del vostro nuovo capo!»

«Noi siamo decisi a non consegnarvi. Tutti i guerrieri sono in armi.»

«Avete dei cannoni da poter opporre a quelli della nave?»

«Non abbiamo mai avuto di quelle bestie così grosse.»

«Allora non potete resistere. Il meglio che potete fare è quello di nasconderci.»

«Naja mi aveva mandato qui precisamente per questo, — disse il ministro. — Vi nasconderemo nell'asilo delle galline che producono la seta. Gli uomini bianchi non oseranno andarvi a cercare colà.»

«Conducici magari in una caverna marina, poco importa, purché i marinai di quella nave non ci trovino, — disse Will, — e soprattutto non perdiamo tempo.»

«Seguitemi.»

I tre forzati lasciarono la casa, accompagnati dal ministro e dalla sua corte.

Attraversarono di corsa il villaggio e si cacciarono nella foresta, fermandosi poco dopo dinanzi ad una barocca costruzione che ricordava un po' le antiche pagode cingalesi e birmane, in forma d'un mezzo uovo, di proporzioni colossali, sormontata verso la cima da un'asta dorata con dei gruppi di campanelluzzi.

Il ministro con una enorme chiave aprì una massiccia porta di legno di tek, così grossa da sfidare le palle d'un cannone di medio calibro, ed introdusse i forzati in una stanza sotterranea, umidissima, consegnando loro dei rami d'albero assai frondosi che aveva tolti da un angolo.

«Tenete questi,» disse.

«A che cosa potranno servirci?» chiese il quartiermastro.

«A tenere lontano i bis-cobra ed i centopiedi. Solo l'odore che tramandano queste foglie impedirà loro di mordervi le gambe. Guardate!»

Il ministro alzò la torcia che teneva in mano e allo sprazzo di luce che illuminò l'umido suolo, i tre forzati videro fuggire, con orrore, una vera legione di grosse lucertole, irte di punte, che mostravano dalle bocche aperte le loro lingue divise all'estremità in due dardi cornei, acutissimi, i quali servono a quei brutti rettili per inoculare un veleno potentissimo.

«I bis-cobra! — esclamò Will, facendo un balzo indietro. — Perché tenete qui riunite tutte quelle orribili e velenose lucertole?»

«Per impedire che i ladri rubino le galline che vomitano le lingue azzurre, le quali appartengono esclusivamente alla nostra sovrana.»

«Delle galline che vomitano delle lingue azzurre! — mormorò Jody. — Che frottola ci racconta quest'uomo?»

«Avanti,» disse il ministro, facendo ondeggiare a destra e a sinistra il suo ramoscello.

I bis-cobra, forse perché non potevano sopportare l'odore mandato dalle foglie, fuggivano precipitosamente verso gli angoli più oscuri della sala sotterranea, lasciando il passo libero.

Attraversata la stanza, il ministro aprì una seconda porta e fece entrare i forzati in una sala circolare, che doveva di giorno ricevere luce da un foro aperto sulla cima di quell'enorme cupola, una specie di condotto strettissimo, perfettamente liscio. Tutto all'intorno vi era un gran numero di gabbie di bambù dove si vedevano agitarsi dei volatili grossi come le galline ordinarie.

«Ecco un asilo sicuro, — disse il ministro. — I marinai non oseranno attraversare la stanza occupata dai bis-cobra

Fece deporre a terra due grossi panieri che un guerriero aveva portato, aggiungendo:

«Qui troverete quanto vi sarà necessario. Vivete tranquilli; appena la nave sarà salpata, verrò a prendervi.»

«Ci lasciate in bella compagnia, — disse Jody. — Siamo diventati dei polli anche noi?»

Il ministro aveva già richiuso la porta, dopo aver fatto piantare nei crepacci del suolo alcune torce, e se n'era andato colla sua scorta.


Note

  1. Tutti gli indiani e gli isolani dell'oceano Indiano usano per un orologio una palla di rame con un forellino, che mettono in un bacino pieno d'acqua.