La Perla Sanguinosa/Parte seconda/2 - La pesca delle perle

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2 — La pesca delle perle


Più di duemila barche, armate di due alberi reggenti delle ampie vele latine, e scortate da quattro rimorchiatori del governo inglese, incaricati di sorvegliare i pescatori e all'occorrenza di portare loro soccorso, si erano schierate sul margine del banco, affondando le ancore ad una profondità di sette o nove metri.

Una viva agitazione regnava a bordo di quei galleggianti. Dovendo la pesca cessare a mezzodì, tutti s'affrettavano a preparare le reti e le pietre per non perdere tempo.

Ammainate rapidamente le vele, centinaia e centinaia di palombari, per la maggior parte indiani e quasi tutti d'alta statura e di forme poderose, si slanciarono in acqua, tenendosi alle funi sorreggenti le pesanti pietre, e la pesca cominciò su tutta la linea, fra le grida dei marinai che rimanevano a bordo a ricevere le ostriche.

Palicur, Will e il mulatto, dopo aver fatto colazione, uscirono anche essi dal casotto per assistere a quella pesca emozionante.

I dieci palombari del mandah, tutti uomini scelti, lavoravano con un'energia suprema, moltiplicando i tuffi. Appena tornati a galla, consegnate le ostriche e tirato abbondantemente il fiato, tornavano ad inabissarsi, mentre i marinai ritiravano lestamente le funi sostenenti le pietre.

Moselpati incoraggiava tutti con grida e minacce e con buone parole, correndo incessantemente da prora a poppa, sorvegliando tutti e lanciando di quando in quando uno sguardo sulle ostriche che si ammucchiavano rapidamente sul ponte e nella stiva.

«Come sono lesti questi palombari,» disse il quartiermastro della Britannia, che assisteva per la prima volta a quello spettacolo.

«Moselpati sa sceglierli, signor Will, — disse Palicur. — Egli ha sempre i migliori.»

«Ne ho osservato uno che è rimasto sott'acqua almeno tre minuti. Come fa quell'uomo a non scoppiare?»

«Ha dei buoni polmoni, ecco tutto. Deve essersi esercitato da piccino per ottenere una dilatazione straordinaria.»

«E quanto guadagnerà quel povero diavolo alla fine della stagione?»

«Eh! Quando la va bene, un mezzo migliaio di rupie, signor Will. Se il governo inglese fosse meno ladro, i palombari potrebbero formarsi delle discrete fortune.»

«Il governo inglese trattiene due parti della pesca, è vero?»

«Sì,» rispose Palicur.

«Perle o ostriche?»

«Ostriche. Se così non fosse, si sceglierebbe certo le perle di maggior pregio.»

«Sicché tanto il governo quanto i pescatori giocano una carta.»

«È vero, e disgraziatamente qualche volta la brutta carta tocca ai poveri pescatori.»

«Non si può indovinare a colpo d'occhio le ostriche che contengono o no delle perle?» chiese Jody.

«È impossibile, — rispose Palicur. — Nulla, nemmeno all'occhio più esperimentato, fa presuporre se ne abbiano o no.»

«Il governo inglese le fa aprire prima di venderle?» chiese Will.

«No, le vende in massa, a lotti di mille conchiglie, al migliore offerente.»

«E quanto ricava da quelle vendite?»

«Secondo le annate. Mi ricordo che una volta un ricco indiano, che doveva essere l'agente d'un rajah, acquistò tutta la parte spettante al governo per 25 milioni di lire, e che alcuni anni or sono, essendo stata la pesca prodigiosa, un altro l'acquistò per la bagatella di 46.675 lire.»

«Ditemi, Palicur, — disse Jody, — le perle più grosse quanto si pagano ordinariamente?»

«Dalle 1.000 alle 1.500 rupie qui, e si rivendono poi sui mercati dell'Asia, dell'Africa e dell'Europa al triplo.»

«E di quelle scartate che cosa fanno?» chiese Will.

«Servono a preparare dei filtri per le belle indiane, e delle medicine per le cingalesi.»

«Delle medicine! — esclamò il quartiermastro. — Vuoi scherzare?»

«No, signor Will, — rispose il malabaro seriamente. — Le indiane e anche le cingalesi attribuiscono alle perle delle proprietà straordinarie, soprattutto medicinali. Le usano contro le malattie d'indole maligna, febbrosa e purulenta; la polvere serve contro le morsicature di serpenti velenosi; si fabbrica poi una certa acqua di perle, sciogliendone alcune nel sugo d'arancio, nell'aceto od in altro acido ed aggiungendovi dello zucchero, dell'acqua di rose, della melassa e della cannella.»

«Credi tu all'efficacia di quei filtri?»

«Io? — fece Palicur alzando le spalle. — Per me le perle non rappresentano che delle rupie e null'altro.»

Mentre chiacchieravano, la pesca continuava attivissima su tutto il banco, nello spazio limitato dai gavitelli galleggianti. Di quando in quando un'improvvisa agitazione si manifestava qua e là, seguita dalle grida:

«Il pescecane! Il pescecane!» Subito i palombari rimontavano precipitosamente a galla e si mettevano in salvo nelle barche, mentre i rimorchiatori accorrevano a tutto vapore per fugare il vorace mostro che aveva sparso tutto quel terrore. Ma dopo qualche minuto la pesca ricominciava più febbrile di prima.

Dei palombari animosi, armati di coltellacci e di corte lance, si tuffavano audacemente per scovare il mangiatore d'uomini, e sotto le acque avvenivano delle lotte epiche, in cui per lo più la peggio toccava al mostro, il quale non tardava a salire alla superficie col ventre squarciato.

Verso le undici tutti i palombari apparivano spossati, compresi quelli di Moselpati. Non si tuffavano più collo slancio iniziale e, quando rimontavano a galla, sembravano completamente sfiatati. Non pochi di quei disgraziati perdevano sangue dalle nari e dagli orecchi e appena issati a bordo stramazzavano sul ponte come fulminati.

A mezzodì preciso, un colpo di cannone sparato dal fortino d'Agrippo avvertì finalmente gli equipaggi che per quel giorno la pesca era terminata. Era d'altronde il momento opportuno per tornare verso la costa, giacché in quell'ora la direzione del vento mutava.

Tutte le barche issarono tosto le vele e l'imponente flottiglia, sempre scortata dai rimorchiatori inglesi, abbandonò lentamente il banco colle prore a levante. Moselpati attese che le fitte file si chiudessero, poi lanciò la sua piccola nave verso ponente, come se volesse far credere agli altri che si dirigeva verso la costa indiana, invece di andare a gettare le ancore davanti alla Città delle perle.

La sua barca aveva appena abbandonato il banco, quando il mandah scorse una scialuppa a vapore staccarsi dalla numerosa flottiglia e prendere la medesima direzione. La scialuppa portava la bandiera inglese ed era coperta da prora a poppa da un tendalino bianco per riparare dal sole il suo equipaggio.

«Quella lancia mi ha l'aria di volerci spiare, — disse il mandah, a Palicur, che si trovava sotto il casotto di poppa insieme al quartiermastro ed al mulatto. — Forse gl'inglesi temono che io finga di andarmene verso ponente per poi tornare verso il banco a riprendere la pesca? Sono così diffidenti!»

Il malabaro e anche Will, scorgendo quella scialuppa a vapore che marciava nella scia della barca, a piccola velocità per non sopravanzarla, sussultarono e si guardarono l'un l'altro con una certa ansietà.

«Non è possibile, — disse finalmente il quartiermastro, che aveva indovinato il pensiero del malabaro. — Nessuno può aver saputo che noi, dopo mille straordinarie vicende, siamo riusciti a rifugiarci qui. Rassicurati, Palicur; non corriamo alcun pericolo.»

«Che cosa temete?» chiese il mandah, che aveva ascoltato attentamente il quartiermastro.

«Che quella scialuppa spii noi piuttosto che la tua barca,» rispose Palicur.

«Siete appena giunti e vorreste che la polizia della Città delle perle lo sapesse già? No, è la mia barca che sorvegliano, onde impedirmi di tornare verso il banco a riprendere la pesca. Vedrete che quando il suo pilota sarà persuaso che la nostra rotta è proprio verso ponente, non tarderà a lasciarci. D'altronde vi sono qui uomini bastanti per cacciare in mare quei curiosi se tentassero di salire a bordo. Tranquillizzatevi, siete sotto la protezione dei pescatori di perle. Pranziamo, amici: è l'ora.»

Era cominciata la distribuzione dei viveri fra i trenta uomini che formavano l'equipaggio della barca, ed un mozzo, nero come un tizzone, aveva preparato una tavola sotto il casotto pel mandah ed i suoi ospiti.

I quattro uomini, a cui l'aria di mare aveva messo indosso un appetito da pescicani, assalirono vigorosamente il carri preparato espressamente per loro dal cuoco di bordo, abbondantemente condito con eccellenti pesci, pur non perdendo d'occhio la scialuppa a vapore che continuava a seguirli ostinatamente, tenendosi ad una distanza di tre gomene.

Vi erano a bordo di quella lancia sei persone, però essendo il tendalino molto basso, non si potevano scorgere i loro volti.

«Speriamo che si stanchino, — disse Moselpati quando il pranzo fu terminato. — Mi seccherebbe che ci seguissero fino all'isolotto.» Offrì ai suoi ospiti delle sigarette formate con una piccola foglia di palma e tabacco rosso, fece servire il caffè, poi si fece narrare tutte le straordinarie avventure toccate ai tre ex-forzati, interessandosi vivamente.

«Il Guercio! — disse, quando Palicur ebbe finito. — Io ho già udito questo nome o meglio questo soprannome. Molto grosso, con un occhio chiuso, membra muscolose... dove ho veduto quel cingalese?»

«L'hai forse conosciuto?» chiese Palicur.

«Lasciami pensare... un cingalese... cieco d'un occhio... Gloria a Buddha! Ma sì... deve essere lui! Anche quello è stato condannato per aver ucciso dei tiruvamska.»

Ad un tratto si alzò di scatto, guardando Palicur.

«Mi ricordo! Io l'ho veduto nella casa del vecchio Chital!» gridò.

«Nella casa del padre della mia fidanzata!» esclamò il malabaro con un gesto feroce.

«Sì e più d'una volta, — disse il mandah. — Quel cingalese era un pescatore.»

«Allora?...»

«Ci vuol poco a capire che quel dannato cingalese era tuo rivale in amore, — disse Will. — Ora comprendo l'accanimento suo contro di te, mio povero Palicur.»

«Ed io non sapevo nulla! E mai il vecchio Chital me ne parlò!»

«Non si sarà mai dichiarato, quel furbo cingalese,» disse Jody.

«Udiamo, amico, — riprese il mandah dopo qualche po' di silenzio. — Come speri tu di riuscire a liberare la fanciulla? Colla perla sanguinosa, mi hai detto. Sei certo di ritrovarla?»

«Tu sai dove il ladro si è annegato, è vero?»

«Conosco il posto preciso. Affondò all'estremità orientale del banco, presso le tre scogliere.»

«È assai profonda l'acqua colà?» chiese Will.

«Settantaquattro braccia.»

«Un palombaro fornito di scafandro può giungervi.»

«E dove troverete voi un simile vestito e la relativa macchina?»

«A Colombo non mancheranno, — rispose Will. — Io ne ho veduto colà. Me ne incaricherò io.»

«Voi, signor Will! — esclamò Palicur. — E se vi scoprono?»

«Noleggerò una barca a vela e sbarcherò di notte inosservato.»

«Io ve la procurerò, — disse il mandah, — e la equipaggerò con uomini fidati. D'altronde penserò prima io a truccarvi. Ecco, voi potreste diventare un superbo baniano, per esempio. Chi potrebbe riconoscervi? Sangue di Buddha! Non la finiranno più?»

E Moselpati si era alzato, tenendo il pugno chiuso verso la poppa.

«L'hai colla scialuppa?» chiese Palicur.

«Sì, e trovo questo inseguimento un po' troppo lungo. Finirò per armare i miei uomini: ho dei buoni fucili a bordo per voi, dannati spioni!»

Come se l'equipaggio inglese avesse udito quella minaccia, la scialuppa a vapore virò di bordo in quel momento, tornando a tutto vapore verso il banco. Palicur e i suoi due compagni respirarono a lungo, liberamente, poiché l'ostinazione di quegli uomini nel seguire la barca, malgrado tutto, aveva cominciato ad inquietarli vivamente.

Il mandah la seguì attentamente cogli occhi, poi quando la vide radere il margine del banco, fece mettere la prora verso l'isolotto che sorgeva solo a circa due miglia verso ovest.

Dovendo attendere la bassa marea delle 11 di sera, e desiderando anche ingannare la sorveglianza della scialuppa, che pareva si fosse ancorata presso il terzo settore del banco, continuò a spingere la nave verso ponente, come se realmente volesse dirigersi verso le coste indiane che già si profilavano vagamente in quella direzione.

Quando la notte scese, la barca virò di bordo e coi fanali spenti tornò indietro, per accostare lo scoglio che non era ormai più visibile, giacché la luna doveva sorgere assai più tardi.

Verso le dieci un lontano fragore di risacca avvertì l'equipaggio che l'isolotto era poco discosto. Le onde dell'Oceano Indiano, mosse dalla brezza notturna, correvano a rompersi con mille fragori contro le pareti rocciose cadenti a picco.

Il mandah, che non voleva esporre la sua barca al pericolo di venire trascinata dal vento o spinta dai cavalloni verso quell'enorme scoglio, ordinò di calare in acqua la scialuppa che teneva a mezzo ponte, facendovi mettere dentro dei viveri e tre carabine con non poche munizioni, poi fatti scendere quattro indiani, invitò Palicur, Will ed il mulatto a seguirlo.

«Fra venti minuti sarete al sicuro, — disse, — e sfido la polizia della Città delle perle a scovarvi.»

L'imbarcazione, sotto la spinta di quattro remi poderosamente manovrati, prese il largo, mentre la barca virava prudentemente di bordo, rimontando lentamente verso il settentrione.

Quantunque la luna mancasse sempre, le stelle proiettavano sullo stretto di Manaar una luce sufficiente perché potessero discernere la rupe, la cui massa spiccava abbastanza nettamente sopra la superficie delle acque.

Il mandah, che si era messo al timone, guidò la scialuppa in modo da girare l'isolotto verso il mezzodì, poi, superata la risacca, la condusse entro un minuscolo seno, fermandola dinanzi ad una nera apertura che le onde volta a volta investivano, rumoreggiando sordamente.

«Sarete costretti a prendere un bagno, — disse ai tre ex-forzati. La marea non ha ancora raggiunto il livello più basso.»

«Bah! — disse Will. — Abbiamo fatto tanti bagni dopo la nostra evasione, che uno più, uno meno non ci fa paura.»

«Tenete fermo voi! — comandò Moselpati ai suoi uomini. — Puntate forte i remi e aspettate il mio ritorno.»

Trasse di sotto un banco una lanterna che accese, diede ai tre ex forzati le carabine, le munizioni e dei panieri contenenti i viveri, poi per primo mise i piedi in quell'antro oscuro, immergendosi fino alla cintola.

Palicur, il quartiermastro e Jody lo seguirono subito, mentre i quattro marinai puntavano i remi per tenere la scialuppa contro la roccia e resistere alle onde che non cessavano d'infrangersi contro l'isolotto.

Il mandah ed i suoi compagni si trovarono in una specie di galleria il cui piano s'innalzava rapidamente. Vi erano dei gradini che pareva fossero stati fatti dalla mano dell'uomo, e che il mare aveva corroso e reso così viscidi da rendere la salita estremamente difficile. Le onde della risacca, ingolfandosi sotto quell'apertura, producevano un rombo tale che i quattro uomini non riuscivano ad intendersi.

Il mandah, che teneva la lanterna, salì una ventina di gradini uscendo dall'acqua, poi sboccò su una piattaforma che dalla parte del mare era riparata da un muricciolo. Una seconda gradinata, scavata nella viva roccia, risaliva il fianco della rupe innalzandosi fino alla cima.

Il mandah aveva posto i piedi sul primo gradino, quando una sorda imprecazione gli uscì dalle labbra.

«Che cos'hai, Moselpati?» chiese Palicur.

«Non vedi quel punto luminoso che scivola laggiù, verso levante?»

«Il fanale di qualche barca?»

«E se fosse invece della scialuppa a vapore?»

«Lo credo anch'io, — disse Will aggrottando la fronte. — Se appartenesse ad un veliero o ad un piroscafo sarebbe molto più in alto.»

«Che quella scialuppa l'abbia con voi, mandah, o con noi? — chiese Jody. — Qui sta la questione.»

«Udiamo, — disse Palicur. — Credi tu che ci abbiano visti approdare a quest'isolotto?»

«È impossibile, con questa oscurità. Spieranno la mia barca che è più visibile della nostra scialuppa.»

«Spegnete la lanterna, — disse Will; — potrebbero scorgerla.»

«Avete ragione,» rispose il mandah affrettandosi a obbedire. Stettero qualche minuto immobili, seguendo sempre quel punto luminoso che s'allontanava verso il mezzodì, poi ripresero la salita.

Dieci minuti dopo raggiungevano la cima dell'enorme scoglio, la cui piattaforma, assai ampia, era ingombra di macerie, di mura semisfasciate, di arcate che si reggevano ancora per un miracolo d'equilibrio, di terrapieni e di piccoli bastioni.

«Vi era qualche fortino qui, un tempo?» chiese Will.

«Sì, costruito dai portoghesi nell'epoca della loro prima conquista di Ceylon, — rispose il mandah. — Nessuno verrà ad importunarvi e resterete qui ad aspettare il mio ritorno.»

«Quando ti rivedremo?» chiese Palicur.

«Domani notte, a quest'ora, io sarò qui con una barca a vela, affinché il signor Will possa recarsi a Colombo. Se non trovate uno scafandro, non potrete cercare la perla sanguinosa.»

«Ne troverò un paio, non dubitate, — rispose il quartiermastro, — e anche la macchina necessaria per fornire l'aria. Me ne intendo un po' di quelle cose.»

«E portami soprattutto le rupie,» disse Palicur a Moselpati.

«Domani mattina andrò a ritirarle. Perderò una giornata di pesca, e pur di giovarti rinuncio volentieri a un centinaio di perle.

«Buona notte, amici, e contate su di me. La bassa marea tocca in questo momento il suo minimo e se non m'affretto troverò il passaggio chiuso.»

Strinse la mano a tutti e tre e scese rapidamente i gradini, scomparendo fra le tenebre.

Palicur ed i suoi compagni, che si erano spinti fino all'orlo della piattaforma, scorsero poco dopo la scialuppa staccarsi dall'isolotto e dirigersi sollecitamente verso la barca che continuava a bordeggiare a tre o quattro gomene di distanza.

«Hai piena fiducia in quell'uomo?» chiese Will al malabaro.

«Assoluta, completa, signore. È un amico fidatissimo. Perché mi fate questa domanda?»

Il quartiermastro non rispose. Si era alzato e guardava verso il mezzodì.

«Ecco un mistero che comincia ad inquietarmi, — mormorò. — Non so spiegarmi quella ostinazione, eppure è impossibile che qualcuno possa aver saputo che noi siamo giunti qui.»

«Bah! Sapremo difendere la nostra libertà.»