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La Regaldina/X

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IX XI

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X.

La signora Luigina tornata in sè girò attorno quei suoi occhi scoloriti, spaventati sempre, ed ora più spaventati che mai per lo spettacolo che aveva dato alla compagnia.

— Oh! avrei fatto meglio a non venire; lo sapevo che le emozioni mi fanno male!... questa poi!...

Daria la consolò alla meglio, consigliandola a starsene tranquilla e procurare di dormire.

Difatti non andò lunga; emesse una dozzina di sospiri, alti, bassi e bassissimi, come un esercizio di vocalizzo e chiuse le palpebre su una scala semitonata di ron ron che provarono essersi i suoi affanni calmati sotto l’influenza benefica del sonno.

Daria vegliava, colla fronte nelle mani, [p. 108 modifica]pensando a tante cose del passato e del presente, affrontando coraggiosa i misteri del futuro, che le si presentava torbido e pieno di guai.

Partiti gli ospiti, la Tatta venne a raggiungerla.

— Finalmente tutto è finito; sarà poi quel che sarà.

— Perchè dici così, zia? Speriamo.

— Non è frutto della mia età cotesto; ben sta a te lo sperare... chi vive sperando muore cantando.

A Daria non sfuggì l’allusione.

— Paria piano zia; la signora Luigina si è addormentata appena adesso.

— Un’altra, quella lì!

Era sarcastica, pungente; diede un’occhiata all’amica coricata nel suo letto e sembrandole poco coperta si levò uno scialle, che aveva sulle spalle e glielo buttò sopra.

— Aspetta che vado a prendere una coltre.

Senza rispondere, la Tatta entrò bruscamente nell’argomento che le stava a cuore:

— Ed ora cosa farete? — chiese a bruciapelo, fissando nella fanciulla i suoi occhi arditi, neri come carbonchi.

Daria abbassò il capo. [p. 109 modifica]

— Egli si occupa ad ammogliare gli altri, pare, ma per sè stesso non ci pensa.

— Lo sai che non può! — esclamò la ragazza scoppiando in singhiozzi.

— E, se non può, perchè ti tiene sulla corda?

— Ma egli non mi ha detto nulla.

La Tatia parve colpita da questa osservazione; riflettè che, a ben guardare, Ippolito non faceva la corte a sua nipote e se tutto il mondo lo sapeva e lo diceva era perchè amore e scabbia non la cela chi se l'abbia. Mosse le labbra in silenzio, quasi parlasse a sè stessa o rifacesse una storia vecchia, perduta nella sua memoria.

Daria riprese:

— Non mi ha mai parlato d’amore, mai; non mi ha mai parlato nemmeno delle sue condizioni di famiglia, ma lo vedo e capisco ogni cosa.

— E lo ami.

— E lo amo. È tanto nobile! tanto onesto!

— Pure così non la può durare.

— Perchè?

— Bisogna decidersi. Se egli non ti sposa, converrà pure che tu ne accetti un altro.

— Non ne vedo la necessità.

— Vorresti sacrificare la tua gioventù, il tuo avvenire? Pensa che non sei ricca, che, morta me, dovrai sobbarcarti alle esigenza de’ tuoi [p. 110 modifica]cugini, lavorare per loro, servirli; se capitano dei ragazzi, li avrai sulle braccia...

— Ma zia...

— So cosa vuoi dire. Anch’io ho fatto così, ma ero indipendente; l’ho fatto per mia elezione, l’ho fatto...

Cercando un buon motivo la vecchia si ingarbugliò. Daria gettandole le braccia al collo disse:

— È inutile zia, non sai mentire! Anche tu ti sei sacrificata per affetto della tua famiglia, anche tu hai dedicato la tua giovinezza a’ tuoi nipotini, anche tu forse avevi in cuore...

— No! — interruppe la zitellona.

E nella fermezza del suo sguardo si leggeva la fermezza di un cuore che non aveva vacillato mai.

— Ebbene se tu non conosci amore, sai però cosa vuol dire sacrificio e non puoi meravigliarti del mio e non puoi vietarmelo, perchè per noi donne quando la vita non può essere ebbrezza di felicità è ebbrezza di martirio; non conosco mezze misure, non accetto consolazioni meschine. Camminerò dritta al mio scopo e sul mio sentiero, dovesse questo condurmi alla maggiore delle infelicità.

La vecchia taceva; riconosceva il suo sangue [p. 111 modifica]e ne gioiva nell’intimo delle viscere. Alla fine disse:

— Tu hai forse ragione, e come dici sia. Desidero almeno che l’uomo da te scelto sia degno di questo sacrificio.

Daria alzò la fronte raggiante di fede:

— È il migliore degli uomini!

Su queste parole pronunciate un po’ forte la signora Luigina si svegliò, e il suo primo sentimento fu di confusione; tornò a profondersi in scuse, a dire che l’emozione l’aveva vinta, che ora però si sentiva meglio e poteva levarsi.

Erano le due del mattino. La Tatta l’obbligò a starsene in letto tranquilla, che quanto a lei e a Daria non avevano nessuna voglia di porsi a dormire.

— Ah Maddalena (era questo il nome della Tatta) sono passati trentanni, ma mi pare soltanto ieri!

La Tatta crollò la testa; mentre Daria che non capiva il senso di quelle parole, le guardava entrambe con muta interrogazione.

— Cara ragazza — la signora Luigina in quel momento di debolezza aveva ad ogni modo bisogno di uno sfogo — cara ragazza, tu non conosci la mia storia; se sapessi quanto ho sofferto!

Questa confessione sorprese moltissimo Daria [p. 112 modifica]che l’aveva sempre veduta incerta e paurosa, scolorita come un’ombra, ingenua come un bambino, e che non la giudicava suscettibile di decidere la più semplice quistione, nemmeno quella di soffrire o di godere.

— Non credi? Domandalo a tua zia.

— Andiamo, pazza, quando la finirai di pensare a queste cose, che sono più vecchie del tabarro del diavolo?

Ma, comodamente distesa nel letto, la signora Luigina si sentiva in vena di confidenze; una specie di agitazione nervosa le accelerava le parole in bocca; perfino i suoi pallidi occhi avevano dei riflessi quasi luminosi.

— Sì, sì, continua pure ad agitarti e farai come tua cugina Petronilla.

Per fermo la signora Luigina doveva conoscere sua cugina e sapere quello che le era accaduto agitandosi; non rispose e incominciò adagio adagio a levarsi gli spilli dalle trecce. Però dopo un momento riprese, volgendosi verso Daria.

— Sarebbe pur utile alla gioventù il sapere a quali passi conduce la troppa sensibilità del cuore!

Daria le strinse la mano in silenzio; intanto che la Tatta vedendo spuntare la storia ch’ella [p. 113 modifica]conosceva come il pater nostro si accomodava alla meglio sulla sedia e chiudeva gli occhi.

— Mi sono trovata anch’io col velo in testa e coi fiori d’arancio.

Dicendo così, la signora Luigina era patetica, di un patetico comico non privo d’interesse.

— Come, ella fu sposa?

— Sì, ragazza mia; andai fino all’altare.

Ella raccontava a spizzico, fermandosi ad ogni frase per pigliare coraggio.

— Ebbi la disgrazia di innamorarmi di un giovine che... di un giovine... un po’ discolo; ma ero sola al mondo, inesperta... credetti...

— Le amiche però ti avevano avvisata — interruppe la Tatta aprendo gli occhi.

— Sicuro, sicuro; ma credetti... Aspettai quattro anni, finalmente egli mi diede promessa formale di sposarmi entro un anno.

Si fermò ancora, arrossendo.

— Quell’anno lo passai sempre in casa lavorando al mio corredo. All’alba ero in piedi; la notte mi trovavo davanti alla lucernetta coll’ago in mano. Cucii e ricamai trentaquattro camicie, venti sottane, feci venticinque paia di calze... Non uscivo che alla domenica per sentir [p. 114 modifica]messa; l’inverno fu rigidissimo, mi si gelavano le dita intorno ai ricami fini. A furia di lavorare giorno e notte la vista mi s’indebolì; in primavera stetti a letto con una oftalmia; appena guarita tornai da capo a lavorare. Egli diceva, che mi avrebbe sposata in autunno; l’autunno passò, venne l’inverno. Il mio corredo chiuso in tre grandi casse empiva la camera; avevo speso tutti i miei risparmi, mi ero sciupata la vista e la salute.... Fissò il giorno in aprile, il dodici. Ero vestita, pronta, mancava mezz’ora alla cerimonia, quando vennero ad annunciarmi che egli era andato in America...

Questo racconto semplice e commovente la signora Luigina lo aveva fatto colla sua voce monotona dalle cadenze smorzate; quand’ebbe finito si asciugò gli occhi col fazzoletto ricamato — unico avanzo forse del suo corredo.

Daria contemplava impietosita quella donna che portava da trent’anni il lutto delle più care illusioni, senza che un lamento, un rimpianto, una imprecazione avessero alterata mai la rassegnata umiltà del suo sorriso; e quella povera zitella, che le era sembrata tante volte ridicola, le appariva adesso sotto le spoglie di una martire gentile — la vedeva giovane, felice, bella forse, in attesa del diletto fidanzato e si [p. 115 modifica]immaginava lo strazio orribile dell’abbandono, e capiva che in quell’istante fatale tutto doveva essersi spento in lei, giovinezza, coraggio, fede. Il corpo solo era sopravvissuto alla morte dell’anima.

— Se non avessi avuto questa cara amica — continuò la signora Luigina indicando la Tatta — s’ella non m’avesse sottratta allo scherno del paese e alla disperazione di me stessa...

— Ora la storia è finita — interruppe la Tatta con furia — hai voluto far sapere le tue sciocchezze e basta; tienti per avvisata, che a nozze io non ti invito più.

Brillava una lagrima in fondo agli occhi neri della vecchia irosa? A Daria parve.

La signora Luigina non replicò nulla; stettero ancora un po’ di tempo in silenzio tutte e tre. Dopo una notte così agitata non potevano dormire, ma verso l’alba si sentirono prese da leggeri brividi di stanchezza.

— Va a riposarti — disse la zia a Daria.

La fanciulla ne aveva gran bisogno; tante emozioni l’avevano prostrata.

Si ritirò nella sua cameretta e si buttò mezzo vestita sul letto; mille pensieri la seguirono in forma di fantasmi, di memorie, di paure; il ricordo di suo cugino morto si confondeva nella sua mente col fidanzato della signora Luigina [p. 116 modifica]fuggente in America. L’anello di corniola, Matilde, Rodolfo, le nozze, tutto le passava davanti turbinando come una gran ridda fantastica.

Finalmente si quetò: una sola immagine cara, tranquilla, uscì dal caos della sua fantasia agitata; un solo nome le restò sulle labbra. Chiuse gli occhi e si addormentò, dolcemente cullandosi nella musica di quel nome ripetuto all’infinito.

Al di là della Regaldina, nel silenzio dei campi, le campane del Santuario suonavano i primi rintocchi dell’Avemaria del mattino.