La Zecca di Reggio Emilia/Capitolo III
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CAPITOLO III.
Alfonso I d’Este. — Seconda monetazione di Giannantonio da Foligno. — Giambattista e Lorenzo Cacci.
Il 25 gennaio 1505 moriva il duca Ercole, dopo trentatrè anni di governo e gli succedeva il figlio Alfonso I, ricevuto nel suo viaggio a Reggio con grandissimi onori1.
Ma tosto salito al trono, per la tendenza propria dei principi d’Este in quei tempi di togliere alle città soggette lontane antichi privilegi e concessioni, per restringerli tutti in Ferrara, loro sede, il 14 marzo di quell’anno, con una laconica lettera, ordinava che in Reggio "non si batta moneta più di alcuna sorta d’oro e di argento„2.
A tal pericolo gli Anziani, radunatisi, deliberarono tosto di scongiurare presso il principe una tal misura che sarebbe tornata di grave danno alla città. Per ottenere più facilmente la cosa facevano considerare al duca, in una petizione di cui ci rimane la copia, che il diritto di zecca a Reggio, lasciato intatto anche dal duca precedente, tornava ad onore dello stesso principe, del quale veniva stampata l’immagine sulle monete e che d’altronde, in caso di chiusura, non ne sarebbe stata avvantaggiata la zecca di Ferrara, per la sua lontananza, cosicché l’oro e l’argento da battersi, piuttosto che andare a Ferrara, avrebbero preso la via di Bologna, ecc.3.
Il duca, con lettera 11 aprile, rispondeva negativamente e riconfermava il divieto, aggiungendo che se i Reggiani abbisognassero di moneta da mettere in circolazione, avrebbero potuto ricorrere alla zecca di Ferrara4.
Gli Anziani non si perdettero d’animo per questo e tornarono a rivolgersi al duca, ripetendo la stessa domanda, nel novembre e nel febbraio del successivo T506, mostrandogli ancora per toccarlo nel debole, che il batter monete a Reggio era infine evidentem gloriarti et honorem sue Celsitudinis.
Questa volta il duca, mosso alle preghiere dei Reggiani, concedeva finalmente loro di riaprire la zecca purché si battesse moneta alla lega di Ferrara e si ordinassero in questa città i conii5.
Nel febbraio dell’anno medesimo infatti si decise dal Comune di Reggio di far battere, secondo la concessione ducale, dei ducati d’oro, testoni, doppi soldi e soldi e si ricorse ancora, per la fabbricazione dei ponzoni, all’orefice ferrarese Giannantonio da Foligno, in questo tempo maestro di stampe a Ferrara e orefice di corte, che ne avrebbe avuto in mercede venticinque ducati d’oro. Vi fu allora un lungo carteggio tra gli Anziani di Reggio, i loro agenti in Ferrara e Girolamo Magnanini, segretario ducale, sulle impronte da eseguirsi nelle nuove monete. Il duca avrebbe voluto vi si mettesse l’arme di Casa d’Este, mentre i Reggiani avevano scelto l’effigie del patrono San Prospero.
Allora Alfonso volle impedire ogni ulteriore coniazione, ma si acquetò, specialmente per opera del conte Nicolò da Correggio, ed esaminati i disegni dei conii fatti da Giannantonio, finì coli’ approvarli tutti, meno quello del soldo in cui sostituì alla palla di fuoco un’altra impresa estense, il diamante.
Ma frattanto l’artista ferrarese, forse a causa del molto lavoro da cui era oppresso per quella zecca e quella corte, non era molto sollecito nell’eseguire il lavoro affidatogli; perciò il Comune di Reggio che pure aveva spedito all’artista quasi l’intera somma pattuita, per sollecitare la consegna delle stampe inviava a Ferrara Giambattista Cacci. Sul finire dell’anno inoltre mandava a Giannantonio il rimanente della somma, dichiarando che non voleva più oltre esser condotto in lungo. Nel successivo 1507 i conii erano finiti e s’iniziò allora nella zecca reggiana quella battitura i cui prodotti sono oggi rarissimi6.
Quando, in seguito, ebbero luogo successive coniazioni, si ritornò all’opera di Giambattista e Lorenzo Cacci, che nel 1508 erano ancora maestri di zecca e coniavano monete coi conii eseguiti dall’artista ferrarese.