La battaglia delle belle donne di Firenze colle vecchie/Cantare quarto

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Cantare quarto

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Cantare terzo


1

Madre reina, madre di quel re
che costrigne le stelle a patir legge
di quel gran lume che lume ci diè,
cui tu creasti fra l’umane gregge,
grazia mi presta per tua santa fè
e per amor di quel che tutto regge,
ch’alfin di questo poco che m’è troppo
snodar m’aiuti il contemplato groppo.

2

O Venus, Venus, né tu m’abbandona,
però che sanza te durare affanno
van mi parria di ciò che si ragiona,
d’amor benigno di gloria e di danno;
adunque, terza luce, tu m’introna
de’ canti vaghi che ne’ cuor si danno
apparecchiati al ben sanza malizia,
sí che risuonin poi con gran letizia.

3

Move Costanza dalla sua foresta
e va cercando le vecchie crudeli
colle sue belle donne, e mai non resta
per monti boschi piagge, a caldi o geli,
infin che truova quella falsa gesta,
ch’amor per tempo non vuol che si celi
agli occhi vaghi di sí fatto lume,
però che ’l buon distrugge il rio costume.

4

Al suon de’ corni e al mugghievol sido
Costanza per virtú di suo grandezza
di botto sente dove sta lo strido
di tanta grave oscura e ria gramezza,
e dritta sulle staffe misse un grido,
che l’inferno crudel sentí dolcezza,
e volsesi alle donne e agli amanti
dicendo: “Fate i vostri cuor diamanti.”

5

Sotto la ’nsegna del dorato pome
si fece avanti il valoroso duca,
e fe’ sonar la tromba in segno come
chiamar battaglia, dove si conduca.
Intanto giunson le cattive some
de’ vili amanti sanza amor che luca,
ciò fûr bigliocchi portatori e fanti
col Ciuffa capitan che giunse avanti.

6

Il savio duca e principe amoroso
veggendo contro a sé tanta vil gente
abbassa l’aste e ’l caval poderoso
ferí spronando molto francamente,
e come amante piú che valoroso
il Ciuffa giunse con ferro pungente,
il qual gli mise per lo grave petto
e morto l’abbatté dell’asinetto.

7

Mosso da virtuoso e alto sdegno
il duca cogli amanti poi trascorse
tra quella gente sanza alcuno ingegno,
la qual fuggendo subito si torse;
allor gli amanti seguendo lor segno
molti n’uccison nelle gravi corse.
Costanza bella che questo mirava
il duca cogli amanti gloriava.

8

Ride Costanza e alle donne dice:
“Certo le vecchie mal fanno vendetta;
parmi ch’e loro amanti alle pendice
vadan caggendo in sulla fresca erbetta.”
Alessandra chiamò in quella vice,
e disse: “Figlia, che sia benedetta
percuoti con tuo gente e fa’ che sia
oggi palese la tua gagliardia.”

9

Non ebbe appena inteso la parola
che per desío d’amor tosto si mosse,
e diventò qual vermiglia vivola
parendole mill’anni ch’a ciò fosse;
cosí guardando vidde Nuccia sola
fermata in mezzo delle genti grosse;
broccò il destrieri e con l’asta abbassata
a ritrovar l’andò fralla brigata.

10

Nuccia veggendo Alessandra venire
di dietro all’altre si trovò di botto,
sicché a Alessandra convenne ferire
a una vecchia d’anni novantotto,
la qual chiamata fu donna Garrire,
e a costei percosse cotal botto
caggendo morta, e non valse il tagliere
che ’n man portava per un broccoliere.

11

Or quivi cominciò la bella zuffa
tra quelle quattro schiere principali;
di pentole e vassoi una baruffa
vediesi per lo ciel volar senz’ali;
ed era già la gente del gran Ciuffa
tutta sommersa per li colpi tali,
e già le vecchie tutte scapigliate
corrien pel campo a guisa d’arrabbiate.

12

Era Alessandra in questo mezzo chiusa
e guarda pur se Nuccia può vedere,
e fitto avea ’l destrier fino alla musa
nel sangue di cotanto vil podere;
i cercini le stanghe marre e fusa
le pentole i paiol di quelle fiere
avieno il campo tutto asserragliato
e del lor puzzo tutto infastidiato.

13

Poiché Alessandra al cui veder niente
si chiude per virtú che in lei dimora,
la Nuccia scorse misera e dolente
che non calava di minacce ancora,
ferí sovra di lei sí francamente
che Giove d’allegrezza si rincora,
e giú del toro morto l’abbatteo,
poi a ben cento simil gioco feo.

14

L’altre compagne non si stanno oziose,
ma ben dimostra sua virtú ciascuna,
intanto che di quelle dolorose
poche n’eran campate ovver nessuna;
la Ghisola che vede queste cose
a Dogliamante comandò, che l’una
delle sue quattro schiere governava,
ch’allo stormo si metta, e ciò la grava.

15

Alzò la fronte e del ciel si rammarca
Ghisola che si vede a tal partito,
e dice a Giove: "Tua ragion travarca
in fare altrui gran torto ed hai fallito.
Deh! chi sarà colui che mai ti parca
poi ch’a distrugger noi se’ stato ardito,
donando a cui non dei benigna vita,
ma la tua ingiuria forse fia pulita."

16

L’alta Costanza, donna serenissima,
dall’altra parte vide sanza dubito,
che tutta la sua gente potentissima
vinto vincendo vinceranno subito;
volsesi adunque alla virtú pienissima
alzando le suo braccia e tutto il gubito,
gridò chiamando quest’alta memoria
merzé, signor, poiché ci dài vittoria.

17

E poi comanda, preso maggior core,
che gli stormenti faccian gran litizia,
e che ciascuna donna di valore
tosto la segua per donar trestizia
a chi nel mondo porge grave errore
brighe crudeli e ogn’aspra malizia,
gridando: “L’arme d’allegrezza sia!”
tutte si mosson con gran vigoria.

18

È Dogliamante venuta in sul campo
che di combatter la parea già tempo,
e alla schiera sua fenne far campo
senza ordine misura o fermo tempo,
e veniesi avvolgendo per lo campo
con uno spazzatoio di molto tempo
correndo con quell’arme verso Elèna
quest’amante crudel di fuoco piena.

19

Elena ciò veggendo tosto rise,
dicendo fra suo cuor: “Ecco diletto!”
e colla spada il capo le divise
e morta cadde sull’erboso letto.
Elena bella per gran cuor si mise
di tor la vita a Ghisola del petto,
correndo per lo mezzo di suo schiera
trovò per forza la crudel bandiera.

20

Trovato ch’ebbe l’infernale insegna
Ghisola vidde con la spada in mano,
e a fedir l’andò con mente pregna
d’alto valor d’ogni viltà lontano.
Ghisola ciò veggendo forte sdegna
e cominciò gridando un urlo strano
che fece tutto il mondo impaurire
e tutta l’aria e la terra putire.

21

Il puzzo fu sí duro crudo e forte
ch’uscí di quel canal disabitato
che questa Lena a cui vezzose sorte
e leggiadrie gentili erano a lato,
costumi vaghi di celeste corte
e nimicizia d’ogni rio peccato:
sentendo il suo contrario con gran pena
a gridar cominciò: “Or muori, Elèna.”

22

Ma prima disse: “Io non verrò già meno
ch’io non mi sazi del sangue doglioso."
Punse il destrieri e allentogli il freno
e prese il brando tutto sanguinoso,
faccendo delle vecchie aspro rimeno,
ch’a mille o a piú donò mortal riposo;
ma poi essendo per lo puzzo afflitta
chiamò Costanza sua sorella e Itta.

23

Gridando: “Donne mie, Elena vostra
non può durare in vita piú con voi.”
E sola in mezzo della crudel chiostra
dice piangendo e convien pur che muoi.
Costanza parla: “Dov’è Elena nostra
ch’io non la veggio...;” e riguardando poi
nel mezzo vide il suo vago cimiere
appunto a’ piè delle crudei bandiere.

24

Dice Costanza: “Elena sia soccorsa.”
E ad un tratto mosse il grande stuolo,
ma troppo tardi fu la brieve corsa
però ch’al cuor sentiva il mortal duolo;
molte n’uccison in quella trascorsa
di quelle vecchie nel veloce volo
Costanza e Telda e Itta per atare
Elena che si muor per ben provare.

25

E quando furon tutte a piè di lei
fuor la cavaron di quell’aspro loco,
pregando Giove e tutti gli altri Dei
ch’aiutin Lena trar di cotal loco.
Smontò Costanza del destriero a’ piei,
in braccio la portò lontano un poco,
sicché dal campo la ritrasse alquanto
in un bel prato sovr’un ricco ammanto.

26

Fuor che Costanza Telda e Itta bella
l’alte rimason tutte combattendo,
e queste disarmaron quella stella,
a chi di testa il bell’elmo traendo
vidon che morta non era ancor quella,
ma gli occhi aperse quasi sorridendo
verso Costanza, e con un gran sospiro
l’alma produsse al ciel sanza martiro.

27

Cosí morí chi piú d’altra gentile
mentre che visse si poté dar vanto,
benigna saggia cortese e umile
vezzosa leggiadretta e bella tanto,
sempre nimica d’ogni cosa vile
piú ch’altra donna in virtuoso manto,
onesta piena di perfetta gloria,
piatosa donna sanza vanagloria.

28

Piange Costanza la perduta Elèna
spesso baciando suo candido viso,
e dice: “Donna, d’ogni virtú piena
come farò che sento il cor diviso?
Morir conviemmi teco in grave pena
che tutto ’l mio valor sento conquiso.”
Cosí piangendo cadde tramortita,
chiamando: “Elena mia, dove se’ gita!”

29

Itta si duole e Telda fortemente
con grave pianto del perduto bene,
ciascuna dice: “Lassa me dolente!
morir con teco, Lena, mi conviene,
ma prima che la morte ci abbia spente
tutte le vecchie sofferranno pene!”
Sovra quel corpo ciascuna giurando
metterne mille al taglio di suo brando.

30

Cresce lo stormo e la zuffa s’accende
con gravi strida e con urli mortali;
quivi ciascuna vecchia si difende
preso rigoglio de’ commessi mali,
Ghisola d’allegrezza il cuore apprende,
dicendo all’altre: “Ciascuna si cali
donando pena a quella grave sorta
che la piú pro’ di loro è suta morta.”

31

Itta pigliò Costanza per lo braccio
che sovra ’l corpo piangendo giacea,
dicendo: “Donna mia soccorri avaccio
le nostre donne dalla morte rea!”
Costanza si levò qual freddo ghiaccio
ch’appena per dolor si sostenea,
volgendo gli occhi al cielo, e quel compianse,
che l’alto Giove per piatà ne pianse.

32

Poi dice a Telda, che con molti fiori
quel corpo celi sí che fia coverto,
la quale andò scegliendo i sommi odori,
dove nel prato alcun ne vede aperto,
e cosí la coperse e ’n piú colori
perché non fosse agli occhi l’occhio certo;
e poi montata sovra un gran destriere
segue Costanza, e Itta le bandiere.

33

E poi ch’a quello istormo furon giunte
Costanza con gran pianto all’altre dice:
“Volgete, donne, le taglienti punte
per far vendetta del corpo felice,
e fate che le vecchie sian difunte,
che s’elle son disperse, il cor mi dice,
Venus pregando e l’alto Giove poi
Elena viva tornerà con noi.”

34

Crebbe la forza per tal diceria
nel cor di queste donne doppiamente,
ciascuna per provar sua gagliardia
move col ferro in mano arditamente;
Diana Dora e Filippa s’invia,
Felice Tora e Agnola piacente,
Margherita Lorenza e Caterina,
Adola Nera Giovanna e Nonnina,

35

Francesca bella e poi Bartolomea,
Colombina Tommasa e Maddalena,
Giovanna, Antonia in cui virtú si crea,
ciascuna corre sanza prender lena;
incominciò Costanza la mislea
con una lancia e a ferir non pena,
e per amor della dolce sirocchia
uccise Matta, Grigna e la Pannocchia.

36

Ben par Costanza un affamato drago
tra quelle vecchie, tante ne conquide,
le quai vanno caggendo per lo brago
con gran dolor con pianto e con istride,
dumila e piú ne misse in tristo lago
questa reina e tutte le conquide,
perché d’Elèna non si può dar pace,
cercando pur di Ghisola rapace.

37

Or chi vorria contar quanto valore
ciascuna donna in quel punto mostrava,
ch’a tante dieron l’ultimo dolore
quanta nell’ocean rena si lava.
Il duca valoroso feritore
cogli amorosi amanti non si stava,
ma combattendo dalla costa giva
e fatto avea de’ morti lunga riva.

38

Duo parti delle vecchie son per terra
svenate sbudellate e smozzicate,
e della terza, se ’l mio dir non erra,
eran piú che le mezze inaverate;
sicché mal posson seguitar la guerra
quelle dolenti streghe sventurate;
Ghisola dentro d’ira si consuma
faccendo al ceffo velenosa schiuma.

39

Itta benigna Costanza seguendo
di suo prodezze fa gran maraviglia
disamorati e vecchie percotendo,
che fan la terra diventar vermiglia;
l’insegna poi di Ghisola veggendo
irata corse e subito la piglia
col manco braccio e con l’altro divise
quella che la tenea, sí che l’uccise.

40

La bella Telda che tante n’ha morte
quante nel ciel si veggon chiare stelle
Ghisola vide; allor correndo forte
la lancia le ficcò per le mascelle;
quella gridando con parole scorte
vendetta chiese all’eruine felle,
e un crudo stridor sí forte mise
che Telda quasi da vita divise.

41

Costanza vede Telda stupefatta
per lo stridor di quella vecchia cruda,
irata corse molto presta e ratta
con una spada valorosa e gnuda,
e per ferir la Ghisola si è tratta
in parte che ’l valor vuol che si chiuda,
dicendo: “Vecchia, vecchia, maladetta,
la vita ti convien lasciare in fretta.”

42

E con quella parola un colpo mena
del forte brando sanguinoso e molle,
la testa le partí con grave pena
e morta cadde la Ghisola folle.
Vendetta fece Costanza d’Elèna
qual nell’animo suo dispose e volle;
al ciel volgendo gli occhi dilettosi
sospiri porge vaghi ed amorosi.

43

Tutte le belle donne fanno pruova
per consumare a tutto quelle fiere,
intanto che la fine amara piova
che vecchie non si possa piú vedere;
e cosí mentre ch’alle donne giova
di far contento lor sommo volere,
quelle seguendo uccison di presente
fin che le spade menan vanamente.

44

Non truovan piú le spade che ferire
ed è la terra piena di carogne;
quivi molti moscon si fan sentire
nibbi cornacchie corbi e gran cicogne;
chi con budella fugge a non mentire,
chi li lor membri portan per le fogne;
i teschi e l’ossa e lupi divoraro,
le mosche il sangue tutto consumaro.

45

Non compié di passare un’ora intera
che di que’ corpi nulla se ne scorse,
e cosí capitò la prava schiera
per la superbia che in lor mente corse;
invidia e avarizia vuol che pera
chi strigner si lasciò nelle lor morse,
siccome queste di vizio profondo,
le qua’ Costanza discacciò del mondo.

46

Rimase con vettoria chi dovea,
ciò fur le ninfe di sommo valore;
grand’allegrezza fra lor si facea
in una parte, in altra gran dolore,
perché ciascuna sola si vedea
di quella bella Elèna di gran core,
per cui si piagne e poi dall’altra parte
della vittoria si ringrazia Marte.

47

Fece Costanza far comandamento
ch’ogni suo donna debba far gran festa,
e che sonar si deggia ogni stormento
sanza piú doglia e sanza piú tempesta;
onde ciascuno tal proponimento
sognando d’allegrezza si fe’ presta.
Le donne traggon gli elmi agli amadori
donando lor ghirlande di be’ fiori.

48

Chi canta chi s’abbraccia e chi pur suona
e chi si lava il volto alla fontana,
chi dolce bacio alla compagnia dona
e chi per bigordar fa la chintana,
chi l’una verso l’altra corre e sprona
per allegrezza sovra la fiumana,
chi giuoca con la palla e chi pur danza,
chi porta rose alla bella Costanza.

49

Tutto quel giorno con sommo diletto
le donne nel bel prato fan dimora,
e poi ciascuna il suo bel trabacchetto
acconcia per la notte l’ultim’ora.
Drappi, zendadi, con capanne o tetto
la notte le coperse; infin ch’aurora
mostrò del giorno il giovane mattino
tornando Febo a esser montanino.

50

Ecco le rote del veloce carro
su per la schiera d’un poggio rapente;
allor le donne tutte, s’io ben narro,
aperson l’occhio all’occhio rilucente,
e d’allegrezza fanno grande sbarro
con molti suoni, e poi benignamente
davanti alla reina tutte vanno
e con gran reverenzia onor le fanno.

51

Poiché Costanza l’ebbe tutte a sé,
dimostrar volle la sua gran virtú,
e da seder drizzossi ritta in piè,
dicendo: “Donne, temo non è piú
d’abandonare Elèna che mort’è,
ma volger gli occhi si vuol colassú,
dove l’anima sua con Giove stà
pregandol che la renda per piatà.

52

Io questa notte vidi, donne mie,
che Venus dolcemente lagrimando
pregava Giove con parole pie:
- Rendimi l’alma e non le dar piú bando
del vago corpo pien di leggiadrie,
perché senz’esso il mondo vien mancando
d’ogni chiara virtú senza soccorso
di questa donna ch’era suo ricorso. -

53

E vidi Giove per piatà di lei
riprender quasi sé d’aver mal fatto
di tener tanto l’anima a costei,
considerando ’l ben ch’avea disfatto,
allor promisse d’esser con gli Dei
e far concilio prestamente e ratto,
nel quale intende che Elena si renda
e che giammai piú morte non l’offenda.

54

Dunque ciascuna si rallegri omai
e faccia per letizia dolce festa;
il ciel piú non consente i nostri guai,
e qui si vede l’opra manifesta;
libere fatte siam per sempremai
piú non temendo la vecchiarda gesta,
che morte tutte son per vostre mani
e le lor membra mangiate da’ cani.

55

Facciasi tempio in questo loco grande
e sacrificio a Giove si largisca
e un’alta colonna tanto grande
alla foresta vo’ che si largisca,
ch’al cielo aggiunga la parte piú grande:
quivi ciascuna donna si largisca
scolpita con intagli sí notabili
in alabastro che non fian mancabili.”

56

Il fine fu di quella dicería
Che ’l tempio s’argomenti sanza sosta;
ogni stormento per gran vigoria
alle celesti melodie s’accosta,
faccendo gran romor con voce pia:
cosí nessuna d’allegrezza sosta,
e quel bel tempio tosto edificaro
d’argento e d’oro molto ricco e caro.

57

Presono il corpo della vaga Elèna
con molti fiori e molti drappi d’oro,
e in quel tempio sanza prender lena
il puoson sopr’un letto dentro al coro.
Ciascuna canta con la dolce vena,
doppieri accesi v’ha di gran tesoro,
con pietre preziose in somma grande
che ’ntorno al corpo fanno piú ghirlande.

58

Cosí cantando con festa gioconda
priegano il ciel che l’anima ritorni;
Giove pertanto non sa che risponda
se non di render quella e non soggiorni;
al sol la diè nella luce ritonda,
il qual la prese infra li raggi adorni,
e come l’ebbe tostamente corse
nel nuovo tempio e quella al corpo porse.

59

Il corpo sente la suo dolce vita
e subito si drizza sopra il letto,
correndo alla sorella sua gradita,
ciò fu Costanza, che dentro dal petto
per gran dolcezza fu quasi smarrita,
veggendo Elèna con benigno aspetto;
e poi la prese in braccio istrettamente
baciando il viso suo benignamente.

60

Tutte le donne con somma letizia
corron dintorno a quella giovinetta,
quivi con gioco e festa ogni tristizia
tosto cacciar si vede con gran fretta.
Or chi potria narrar quanta dovizia
apparve di biltà fra quella setta,
veggendo Elèna bella ritornata
dall’alto Giove per piatà mandata.

61

Cosí con allegrezza il campo mosse
ver la foresta con ulivi e fiori
in segno di vittoria e di lor posse,
andando innanzi tutti gli amadori.
Le belle insegne non parien percosse,
ma rilucente con vaghi colori
dànno nel ventolar sí bella vista
che ’l cielo allegro piú valor ne acquista.

62

E poi ch’alla foresta sono andate
entraron dentro al nobile castello
e quivi prestamente disarmate
rappiccan l’armi nel sovrano ostello,
e di lor veste si sono addobbate
sí riccamente, che narrando quello,
parrebbe a chi l’udisse non credibile,
per lo tesoro di stima valibile.

63

Taccia la lingua mia di raccontare
il minimo diletto ch’io vi scorsi
nel vago canto e dolce sollazzare
ch’allor facendo le donne m’accorsi.
Il gran Neutunno rabbonaccia il mare
e per le selve si rallegran gli orsi,
tutte le fiere son venute pie
per la virtú dell’alte melodie.

64

L’alta colonna della fama eterna
Costanza dice ch’ordinare intende,
non come cosa di virtú moderna
ma qual celeste piú nel ciel s’apprende;
cosí chiamando la gloria superna
dall’alte rote tal grazia discende,
che quivi giunse la ricca colonna
eterna vita d’ogni bella donna.

65

D’un alabastro lucido e perfetto
si veggon dentro gli sottili intagli
di queste donne con verace effetto,
con fronde capitelli e piú frastagli.
Son le lor chiome d’oro puro e netto
dove ciascuno amante vuol ch’abbagli
quell’alto Giove che da ciel la pose
per la virtú delle donne amorose.

66

Di grado, in grado, d’una in altra bella,
le vaghe donne son quivi scolpite,
e sovra l’alta sommità di quella
Costanza regna, minacciante Dite,
spiriti vaghi sono intorno a quella
con trombe d’oro lucide e pulite,
sonando sempre con la boce tale
che l’universo teme di far male.

67

Armato il duca colla spada in mano
si vede in quella piú che valoroso
e ogni amante di virtú sovrano
v’è posto dentro fiero e coraggioso;
or quivi d’allegrezza a mano a mano
si fa gran festa con sommo riposo,
con sí perfetta gloria e alto bene
ch’è nell’alme dannate manco pene.

68

Tre gran parole vuol Costanza dire
in questa bella fine sanza fine,
onde ciascuna pronta a ubbidire
alli soavi canti pose fine.
L’alta reina di perfetto ardire
allor la voce sua pulita e fine
incominciò parlando, e cosí dice:
“Nostra virtú sarà sempre felice.

69

Noi abbiam morte quelle maladette
Che ’l mondo d’ogni bene avien disposto,
ma pur si cerchi ancor delle lor sette,
e dove alcuna n’è sia morta tosto;
cosí con pace viverem perfette
sanza sentir di morte il grave costo;
Elena bella tal pruova n’ha fatta
ch’omai beate noi e nostra schiatta.”

70

Finito ch’ebbe quell’alto sermone
nel verde prato fanno dolce festa
le belle donne per ogni stagione.
Allor mi dipartí dalla foresta
lasciando quelle omai sanza questione
in allegrezza tanto manifesta,
e non creda alcun che la tornata
mi sia per tempo o tempo mai vietata.

71

Amor, adunque omai lecito sia
ch’io ponga fine al dilettoso canto;
e tu, Costanza, d’ogni virtú pia
della tua grazia mi concedi alquanto
con l’alta vaga e bella compagnia
ch’agli occhi mi mostrasti valor tanto,
sicché per me si possa omai lasciare
quel che per dir non si porria stimare.

72

Io son chiamato dal fioretto mio
per cui mi mossi a gloriar Costanza,
e dice ch’io ritorni al suo ricrío
al vago lume di dolce speranza,
il qual m’accende ognor vago disío
nel cor che contro a lui non ha possanza;
e dicemi che ’l termine è passato,
però ritorno, e qui prendo commiato.

73

In donna non fu mai simil virtute,
donna non fu giammai di tanto pregio,
come quest’alto fior la cui salute
volle ch’al vecchio vizio tal dispregio
in sé portasse con aspre ferute,
valor donando di vittoria fregio,
alla biltà che val sopr’ogni bella,
cioè virtute in vaga damigella.

74

Non nacque questo fiore in verde prato
né lungo riva di veloce fiume,
ma nel piú alto ciel fu collocato
il suo principio per eterno lume,
dinanzi al cui valor son ritornato
pognendo fino a questo mio vilume,
nel qual si può veder favoleggiando
virtú nascose e virtú gloriando.

75

A onta delle vecchie dolorose
e degli avari tristi smemorati
a bene e pace delle valorose
leggiadre donne e degli innamorati,
chiamo li santi Dei e le lor cose
ch’a questo fine sien tanto beati,
che ’l mio vilume al pregio de’ cattivi
giammai per alcun tempo non arrivi.