La battaglia delle belle donne di Firenze colle vecchie/Cantare secondo

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Cantare secondo

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Cantare primo Cantare terzo


1

Dal ciel discenda la verace manna
di quella pura Vergine Maria
che figlia fu di Giovacchino e d’Anna,
piú ch’altra donna graziosa e pia,
e sparga sopra me che chiamo osanna
per non morir nella fallace via,
ch’ogn’anima dolente sempre volge
al tristo porto nella eternal bolge.

2

E tu che reggi l’amorosa stella,
ch’e valorosi amanti sempre guida,
o penetrante Venus chiara e bella,
nelle cui chiome non dimora strida;
tu con merzé, tu con pietà se’ quella
che doni pace a chi di te si fida,
cosí ti priego degna e graziosa
che la tuo grazia non mi sia nascosa.

3

Venite, amanti, ch’io ritorno al prato
dove le donne sollazzar lasciai,
e movo per passar l’alto fossato
dove morí la vecchia con gran guai.
Risuona la foresta d’ogni lato
degli angelici canti dolci e gai:
Costanza bella nobile reina
si posa a guisa di stella divina.

4

Poi che Costanza tempo da tacere
vidde negli atti di sí gran valore
silenzio puose a tanto bel piacere,
e in piè drizzossi con ardito core,
dicendo: “Donne mie, sanza dolere
viver possiam, poi ch’ha voluto Amore
che la nostra biltà non sia turbata
da vecchia alcuna misera ed ingrata.

5

Le vecchie son crudeli e invidiose,
le vecchie son nimiche d’ogni bene,
verso gli amanti sempre dispettose,
e sempre apparecchiate a veder pene,
arabiche superbe e maliziose,
avare cieche e fuor d’ogn’altra spene,
vadan le vecchie a’ frati col malanno,
da poi ch’amor né fede al cor non hanno.

6

Lascino star la nostra giovinezza,
la nostra gran biltà e ’l nostro amore;
noi diamo al mondo pace e allegrezza,
somma felicità che mai non more;
ogni valore e ogni gentilezza
per noi si vede sempre in alto core,
ed ogni vizio da noi si ribella
seguendo d’onestà Diana stella.

7

O care donne, alquanto rimirate
che vale il mondo sanza nostro lume,
e poi a queste vecchie imaginate
quanto son fuor d’ogn’alto e bel costume;
però vi priego che sian discacciate
dal nostro prato e dal nostro villume,
sí che lor legge fra noi non si mischi
che male sta il falcon fra’ badalischi.

8

E come donna Ogliente concia sia
quale entrerà nel nostro bel giardino,
sí che punite della lor follia
veder si possan tutte a gran ruino;
se ciò non basta, dico in fede mia,
che subito si cerchi ogni cammino,
e dove alcuna vecchia ritroviamo
sanza piatà sia morta a mano a mano.

9

Vadan con Esicon e Proserpina
facendo pe’ fossati amara festa,
e chiamin Nuccia, Matta, e la Gemmina
Cianghella dispiacente, e la gran gesta,
la sempre schizzinosa, e la Dondina
Puccia barbuta con canuta testa,
e lascin noi con Venus nostro duce
che a morte né a vecchiezza non c’induce.”

10

Costanza dato fine al suo sermone,
tutte le donne con pace e dolcezza
gridando muoia la cruda Esicone,
e viva Venus con felice altezza;
intanto quella del bel gonfalone
in piè drizzossi piena di bellezza
come a Costanza piacque di seguire
a rassegnar le donne da gradire.

11

E Madalena prima fu chiamata
come piú degna in questo primo canto,
la qual rispose d’alto amor guidata:
“Reina nostra, prezioso ammanto,
ecco colei che sempre fia beata
donando a queste vecchie mortal pianto;
perch’i’ho tanti vizi al mondo spenti
quant’ha nel cielo stelle rilucenti.

12

In verde selva Amor m’ha fatta Dea,
come ben vedi, donna, se ragguardi
qual è quell’arco che mai non ristea
di saettar li dolci e vaghi dardi,
altro che l’arco mio ch’ogni ben crea?
Negli alti petti che non son codardi,
che mai per mia virtú non fia disfatta,
formata fui della Guascona schiatta.”

13

Il seno e ’l grembo avea pien di vivole
per far ghirlande nel mezzo de’ fiori
una che sola par figlia del sole
di raggi adorna con tanti valori,
Agnola bella che già mai non duole
per tempo che secondi o per errori
che ’l mondo muova, ma come smeraldo
suo lucido splendor tien sempre saldo.

14

In che punto del cielo o ’n che pianeto
congiunse amore a generar costei
quando ne’ Tornaquinci tanto lieto
entrò per tor biltà agli altri Dei?
O gentil donna, o animo discreto,
omai ben veggio che tu se’ colei
Agnola bella sol da Dio formata,
il qual per nostra pace t’ha mandata.

15

Tal come la diman la bella aurora
caccia la notte tenebrosa e scura,
cosí giugnendo la vezzosa Dora
viltà sommerge e caccia ogni paura;
qual misero colui non s’innamora
mirando suo biltà felice e pura,
e gli atti gloriosi sí leggiadri,
ch’a tor l’anima altrui son dolci ladri.

16

O bella Dora co’ dorati crini,
cogli occhi vaghi e colla dolce bocca,
coi denti ritondelli e minutini,
che sola la tua man gentil gli tocca;
ognor convien che tua biltà raffini
nel vago lume che dal ciel ti fiocca;
de’ Boscoli discese questa ninfa
nel verde bosco piú bella che ninfa.

17

Inghirlandando il suo bel capo biondo,
Antonia bella si sentí chiamare:
Antonia, Antonia col viso giocondo
vien oltre innanzi, e piú non dimorare
ch’omai la tua biltà qui non nascondo,
che non è cosa da poter celare,
ch’Amor di tanti raggi ti fiammeggia,
che ’l cieco veder fai che ti vagheggia.

18

Tu se’ de Bardi degna d’alta fama,
bella leggiadra saggia e graziosa,
non dove Troiol pose la sua brama,
beltà si vede quanta in te riposa:
tu frutto d’ogni ben, tu verde rama,
tu donnesca colonna valorosa,
tu le Sibille avanzi di sapere,
come chi ben ti mira può vedere.

19

Una donna gentil soave e piana
giugne cantando: “Io son Bartolomea,
che vegno dalle selve di Diana
per imparar onor da cotal Dea;
la valorosa mia biltà sovrana
concede sempre che tra voi mi stea
per mantenere altezza e grande onore
e per privar le vecchie con dolore.”

20

O Baroncelli, o casa degna e alta,
ben ti dee gloriar di sí bel frutto,
che questa donna ogni valor esalta
spegnendo dove truova amaro lutto;
fino alle stelle la suo fama salta,
che quasi ogni biltà si vede in tutto:
tanto valor del cielo in lei discende
e tanta gentilezza gli risplende.

21

Diana colle chiome penetranti
giugne, mostrando sé ne’ be’ sereni;
specchiansi gli amorosi viandanti
ne’ raggi suoi perché a virtú gli meni:
o vaga donna, pace degli amanti,
che sempre vizio e crudeltà raffreni,
tu se’ un lume di tanta chiarezza
che non si può stimar tuo grand’altezza.

22

Cosí bella fortezza da’ Belforti
edificata fu per divin’arte,
cogli atti dilettosi tanto accorti
che le fort’armi torrebbono a Marte,
se rimirasse per le belle porti
che ’nfiamman quei che da virtú si parte,
sí presta giugne per cacciar martiri
che prima ha preso altrui ch’altrui la miri.

23

Per aggradir la valorosa schiera
dal ciel discende una giovine donna
appresso a quella triunfal bandiera
ch’oggi nel mondo si può dir colonna,
e giugne con amor di virtú vera
tutta coperta di celeste gonna,
quest’è Filippa tanto graziosa
che al mondo non fu mai sí bella cosa.

24

Quella catena bianca incatenata
Che ’l corpo lega azzurro oltramarino
diede nel mondo la donna beata,
la qual risplende sopra ogni rubino,
Filippa bella degli Alberti nata,
piú alta di valor che Serafino,
piú vaga che Ginevra o che Cassandra,
ed è carnal sirocchia d’Alessandra.

25

- “Or credi tu non mai sentir d’amore” -
Tommasa dolcemente vien cantando;
tal che le donne a sí vago romore
per maraviglia tutte riguardando
a lei si volson faccendole onore,
e di sue gran bellezze ragionando,
del vago aspetto e della gentilezza,
che sempre ride per piacevolezza.

26

De’ Giuochi scese questa, e non par giuoco
di quei che salgon l’amorose scale,
il forte scudo contro gli val poco
ch’ogni durezza passa col suo strale;
o dilettosa fiamma, o dolce foco,
di cui verace fama batte l’ale,
se valore o virtú non fosse al mondo
tu ’l rifaresti piú che mai giocondo.

27

Volgete, amanti, gli occhi a questa diva,
che lampeggiando vien per la campagna,
Giovanna il cui valore sempre viva,
come stella nel ciel sanza magagna,
chi vuol suo porto con virtute arriva
per tempo, né per morte non si lagna,
tanta dolcezza sente dentro al petto
ch’ogni crudel martiro gli è diletto.

28

Scese de’ Cavalcanti tanto lume,
che ’l mondo non potea sanz’esso fare;
o alta Dea, o fior d’ogni costume,
tu che le fiere e li pesci del mare,
l’aquile grandi con l’oscure piume,
e freddi marmi stanno a rimirare
per maraviglia tua virtú gradita,
donde mi par che traggan dolce vita.

29

Chi non rimirerà questa vezzosa
ch’al mondo dà felice provvidenza?
Or rimirate s’ell’è graziosa,
o s’ell’è degna di gran reverenza,
questa che giugne tanto dilettosa,
adorna di leggiadra conoscenza,
mirate dunque, amanti, il vostro lume,
ch’ell’è la Nera fuor d’ogni costume.

30

Qual de’ Mazzetti per chiara scintilla
discese sopra noi co’ raggi ardenti,
certo piú bella Filis o Cammilla
non furon di costei, che si rammenti:
che quando gli occhi volge sí sfavilla
un fuoco, che portato fra tre venti,
dà carità, dà fede e dà speranza
nel cuor di chi la mira per sua manza.

31

Come leggiadra donna innamorata
del buon amor ch’ogni virtú disía,
Lorenza leggiadretta e costumata,
dicendo: “Vieni all’alta compagnia,
Cupído mio Signor m’ha qui mandata
sí bella perché onor fatto mi sia,
e per distruggimento d’Esicone,
vecchia crudel di mala condizione.”

32

Le pere d’oro nel celeste campo
nobile schiatta valorosa e grande
fermaron sí bel segno in quello stampo,
che chiara ninfa con pulite bande,
questa d’ogni virtú si vede scampo
come lucido sol che raggi spande,
questo bel frutto, lume d’alto fiore,
rende per l’universo sommo odore.

33

Chi è costei che vien con l’alta chioma?
chi è costei che giugne sí leggiadra?
Quest’è colei che tanti vizi doma
per la virtú dell’amorosa squadra;
Nonnina bella fra l’altre si noma
Che ’l ciel rapisce con la luce ladra,
nella qual luce chi ben mira vede
la nobile virtú che dentro sede.

34

Non affatichi la callosa mano
l’antico fabro del focoso Marte,
io dico del sollecito Vulcano
che dardi e freccia fabbrica per arte,
però ch’ogni suo ferro è dolce e vano
presso a que’ di costei ch’e cuor diparte,
con gran virtú dà pena e dà dollere
e Lischi dieron tanto bel piacere.

35

Mentre che penetrato dal disío
gli occhi posava donde gli occhi presi,
non viso uman ma di celeste Iddio
mirando vidi allor, se ben compresi;
e Caterina subito ferío
coll’alta boce che mi fe’ palesi
li raggi e il nome di colei che raggia,
chiamando Tora gentilesca e saggia.

36

Non so se Febo partorí costei
quando da Giove fu mostrato al giorno,
perché non credo che mondani omei
potesson far d’oscuro tanto giorno;
o giovinetta vaga delli Dei,
tu perché giorno mai non perdi giorno,
de’ Brunelleschi se’ e tu lor fai,
però che sanza te non furon mai.

37

Ecco seguendo quattro Margherite,
ch’adornan di chiarezza tutto ’l mondo,
tal che ne duole Stigia e piange Dite
veggendo abbandonar l’amaro pondo;
in oriente l’una fa reddite
e l’altra l’occidente fa giocondo,
la terza in tramontana, e poi la quarta
dal mezzogiorno Amor non vuol che parta.

38

La prima Margherita orientale
come si fece avanti alla reina
cavò del suo turcasso un bello strale
tutto sanguigno per usar rapina,
e disse: “Donna, questo è quello al quale
riparo alcun non è né medicina,
quest’è del sangue degli amanti carco
per forza di virtú ch’usa ’l mio arco.”

39

L’oscura luna nel raggiante sole
che portano i Covon per loro insegna
formò quest’alta donna che non dole
per gran valor che vizio sempre sdegna;
certo la suo biltà non è da fole,
e ciò comprende chi nel cuor l’assegna
imaginando quanto gli occhi gira,
che par che s’apra il cielo e fugga ogn’ira.

40

Dell’occidente l’altra Margherita
seguito l’ombra della prima petra,
e quando giunse parve vita a vita
si raccozzasse e vel dich’io m’impetra;
o nobil donna di virtú gradita,
il cui valor per tempo non s’arretra,
o vago lume, nella qual pupilla
la deità d’amor sempre sfavilla.

41

Qual petto stimerà la gran bellezza
di questa donna, donna veramente;
non sofficente a renderne chiarezza
sarebbe ’l mondo di suo convenente,
però ch’ell’è di tanto grande altezza
che Giove solo a ciò saria possente;
quest’è la giovinetta da Paterno
che ’l posto toglie a Pluto dal ninferno.

42

Al mezzogiorno Margherita terza
edificata fu per lo gran mastro,
che quando Febo con ardente ferza
percuote chioma d’oro in alabastro,
sicché per forza lo splendor rinterza
cerchiando sé di rilucente nastro;
turbo sarebbe cosí gran chiarore
appresso quel che spande questo fiore.

43

Chi mi domanda: O dolce peregrino,
che se’ presente a tanto bel diletto,
chi è costei che nel vago giardino
di sí gran lume mostra chiaro effetto?
Dico che l’alto creator divino
le diè valor sí lucido e perfetto
che par formata sol per le sue mani,
benché chiamata sia de’ Gavacciani.

44

La quarta nella vaga tramontana
la superbia raffrena d’aquilone:
questa domanda a Eulo che Diana
sia riverita per ogni cagione,
e quivi giugne leggiadretta e piana,
ch’assembra la bellisima Alcione,
Giuno pregando con piaceri adorni
per Ceix suo marito che ritorni.

45

Cosí pregando questa l’altre priega
ed a pregar Costanza lei conforta
dicendo: “Donne, io sento che la lega
s’ordina fra le vecchie per la morta
Ogliente invidiosa mala strega;
ciascuna dunque debba stare a pruova;
io forte petra son de’ Frescobaldi
ch’a ciò gli stocchi miei saranno saldi.”

46

Per allegrezza gran romor si sveglia
fra queste donne, e ciascheduna grida
a male e morte d’ogni falsa veglia
chiamando Venus con soavi strida;
il cielo ogni virtú par che diveglia
dall’alte stelle e quivi par che rida;
tanto valor mostrarono a quel punto
ch’i’ dissi ciò che può esser qui congiunto.

47

Non vuol Costanza che romor si faccia
in fin che la rassegna non ha fine
e Caterina in seguitar s’avaccia,
chiamò Filippa fra l’altre divine,
dicendo: “Bella donna, in questa traccia
per tuo virtú morranno assai tapine,
certo sarà per te nostra vittoria,
tanto se’ piena di perfetta gloria.”

48

Filippa leggiadretta ed amorosa,
Filippa saggia gentilesca e bella,
al mondo non fu mai sí bella cosa
quanto costei, che sempre rinnovella;
gli Strozzi portan fama valorosa
per questa chiara e rilucente stella,
la quale ha fatto in terra nuovo cielo
siccome degna d’abitare in cielo.

49

Una vezzosa e vaga Colombina
dal ciel si move con benigno foco,
Giove s’allegra e piagne Proserpina
veggendo questa donna in cotal loco;
ella sé trasse avanti alla reina,
la qual cosí le disse e non per gioco:
“Tu se’ la mia speranza, o leggiadretta,
beato chi riceve tuo saetta.”

50

Diedon Baldovinetti cotal donna
nell’universo per accender pace,
di calamita pare una colonna
ch’a sé commuova ogni piacer verace;
ognor la cuopre el sol dell’alta gonna
di che si veste lui come gli piace;
sí che vestita se’ de’ raggi suoi,
dir non saprei qual piú risplenda poi.

51

Quale il pavon per la riviera verde
vagando suo biltà si volge e grida,
sí che s’adorna e tutto si rinverde
facendo per letizia dolci strida,
cosí vien Caterina che non perde
il suo valor per tempo che ’l divida,
vincendo ogn’ira co’ suoi occhi belli
quando si volge all’ombra de’ capelli.

52

Come d’alto valore alta chiarezza
spirar si vede in angelica forma,
cosí degli Ammannati tal bellezza
discese, che nimica par che dorma:
deh! chi porria narrar la gentilezza
che nel suo petto per virtú s’informa?
Esser può ben la sua virtú stimata
ma sol dal creator che l’ha formata.

53

Appresso segue un’altra donna ancora
col nome di costei ch’è qui davanti,
leggiadra Caterina che rincora
qual fiso mira i suoi dolci sembianti;
un occhio porta che ciascuno accora
e fa con umiltà rider gli amanti;
questa m’assembra d’ogni virtú dea
per gran valor che dentro a lei si crea.

54

Vedila gir nimica di paura
snella soave benigna e accorta,
Giotto che vide piú nella pintura
non avea suo biltà veduta scorta,
perché sí vaga la formò natura
che sol natura in sé tal fregio porta;
dal ciel discese questa cosí bella
tra noi chiamata di Malagonnella.

55

Checca vezzosa, giovinetta pia,
porta fra l’altre di bellezza nome;
non può sapere alcun che biltà sia
se prima non rimira questo pome;
e come tramontana caccia via
davanti al ciel le nubolose chiome,
tal discacciò costei, com’ella nacque,
vizio dal mondo, tanto a virtú piacque.

56

Volle col suo valor ne’ Portinari
donasse vera fama in sempiterno,
la qual risuona sopra gli alti mari
in cielo in aire in terra e in inferno;
costei che fa magnanimi gli avari
eternalmente la formò l’eterno
per far con umiltà vincer superba
e per sommerger ogni vita acerba.

57

Miri chi d’Eva la bellezza scorse,
di Cleopatra e di Pantasilea,
miri quel forte Achille che si torse
per Pulissena, e ferir non volea:
miri quel Nesso ch’alla morte corse
per Degianira piú bella che Dea,
mirin se mai biltà fu pari a questa
d’un’Adola ch’è giunta alla gran festa.

58

Titan veduto fu con tosta riga
muover correndo gli veloci carri
quando nacque costei che ’l mondo riga,
e a vedere l’andò sugli alti carri;
di lei s’innamorò prendendo riga
ad essa volontà muovere i carri,
né Corbizzi si diè cotale altezza,
che tanto piacque alla divina altezza.

59

Chi l’Adovarda guarda là dov’arde
il gran valor che suo biltà dimostra,
tosto dispregia l’opere codarde
uscendo fuor della mondana chiostra,
e di tanta virtú nel cor riarde
che spande el nome suo da borea all’ostra;
Amor sí vaga l’ha dal ciel dotata
esser mostrando in equator formata.

60

Bisdomini, duo volte gran signori,
poiché si vede in voi tal signoria,
Amor che può ferir negli alti cori
non può, se da costei non ha balía,
perch’ella è degna di tutti gli onori
in acquistar di gloria leggiadria;
Diana ne può far testimonianza
che sempre seco ha fatto dimoranza.

61

Intanto che piú stanno di sicuro
le vaghe donne con diletto e gioco,
ed ecco giugner con visaggio scuro
una vecchia crudel di senno poco,
e come falso e dispietato furo
sovr’una mula giunse in questo loco,
accompagnata d’altre sette streghe
cogli occhi rossi e visi fatti a pieghe.

62

Tutte le belle donne stupefatte
tosto gridando: “Alla morte, alla morte!”
Costanza le chiamò soavi e ratte
dicendo: “Non uscite dalle porte.”
E tutte in sulla porta si son fatte
per sentir le novelle che son porte,
e quella vecchia con un grande strido
a gridar cominciò: “Io vi disfido.”

63

E prese una stracciata e unta cuffia
insanguinata ch’era sopra un pruno,
e disse: “Questo vi manda Matuffia,
che sono io dessa d’anni cenventuno,
da parte della gran vecchia paruffia,
in segno di battaglia e in remuno,
però che Ogliente vogliam vendicare
con vostra pena sanza dimorare.”

64

Com’ebbe diffinita l’ambasciata
incominciò la mula a punzecchiare,
e dipartissi quella digrignata
con l’altre sette di noioso affare;
Costanza in quella piú che mai beata
incominciò colle donne a cantare,
e tutti gli stormenti fe’ romire
ballare e sollazzar con gran desíre.

65

Fatto silenzio alli stormenti vaghi
incominciò parlando: “Donne mie,
ciascheduna di voi nel cuor s’appaghi
ch’egli è venuto quel beato die
il qual ci ha fatto segno delle piaghe
che porgeremo a quelle vecchie rie;
adunque omai s’attenda a provar l’armi,
che tempo non si perda, e questo parmi.”

66

Io lascerò le donne in tanta festa
e ’n tal disío che dir non si potrebbe;
ciascuna corre dentro alla foresta
l’armi trovando, ch’a cercar non s’ebbe;
chi spicca l’elmo e chi la sopravvesta,
qual di grillanda suo cimier ricrebbe;
cosí mi parto, e mai da lor non parto
seguendo il terzo canto e poscia ’l quarto.