La botte di sidro/Il Polacco
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La casa dove abita il Polacco è sulla strada, vicino alla foresta, incuneata, per cosi dire, nella foresta: una casupola indicibilmente miserabile, i cui muri di mota cotta si sgretolano, e il cui tetto
di paglia è qua e là sfondato mostrando le latte imputridite. Davanti alla casa si stende un giardinetto, un piccolo quadrato di terra dove crescono liberamente e impetuosamente delle erbacce selvatiche, cinto da una stecconata cadente. Di estate, alcuni girasoli innalzano, sopra i’erbe, verso la luce, la loro gialla inflorescenza. Quando passate sulla strada, davanti a questa casa, vi sale alle nari un lezzo di grasso, di selvatico, di secrezioni cutanee che vi fa lacrimare gli occhi.
Dei quattro ragazzi che vivevano come vermi in quella lordura, tre sono morti, portati via da una epidemia difterica: l’ultimo non è mai lì... Vagabonda per le vie della città, sui marciapiedi, mendicante e ladruncolo insieme. A casa non ritorna che la notte: se è a tasche vuote, è battuto ; se mette sulla tavola il frutto dei suoi ladrocinî è incoraggiato con un breve gesto di approvazione.
I viandanti fuggono quella casa, le cui finestre, al cader della notte, rilucono come occhi criminosi...
Seduto sugli scalini, il Polacco fabbrica svogliatamente scope di betulla pel prossimo mercato. Si vede che quel lavoro ripugna alla sua forza. È un uomo piccolo, tozzo, con le spalle quadrate, i muscoli poderosi, le reni elastiche. Del suo viso nascosto dalla sterpaglia della barba rossiccia, non si vedono se non due occhi stranamente brillanti, due occhi di strige, e due narici che battono incessantemente, come quelle dei cani che hanno fiutato nel vento l’odore della selvaggina.
La moglie, alta, secca, rugosa, intreccia panieri di vimini, in casa... Il profilo tagliente del viso e la sagoma rigida s’indovinano più che vedersi nell’ombra densa di quelia sinistra dimora.
Tutt’e due non si dicono nulla. Qualche volta ristanno dal lavorare. E il silenzio di quei due esseri ha in se qualche cosa di terribile e di micidiale.
Dei fagiani si posano sulla strada: dei fagiani volano sopra la strada. Il Polacco li guarda passare, li guarda volare. I suoi occhi brillano dippiù, le sue nari fremono più frequenti: riflessi d’oro, splendono, ondulano nella sua barba ad ogni moto della testa.
A un tratto, senza che si possa vedere donde sia venuto, sulla strada appare un guardacaccia col carniere a spalla e il bastone di corniolo, che si ferma davanti alla palizzata.
Ha il viso duro, i baffi ruvidi, la pelle lionata come il cuoio degli stivalli che gli cingono i garretti. Un raggio dell’ultimo sole fa scintillare sul suo petto la placca d’acciaio, indice della sua autonità.
— Ehi! Polacco... — chiama.
Il Polacco solleva lentamente la sua testa di bestia feroce verso la guardia e non risponde. I suoi occhi, un momento prima cosi brillanti, si sono spenti. Se ne distingue appena la luce appannata, sotto il cespuglio della folla barba. Le nari non fremono più.
— Ehi, Polacco! — ripete la guardia. — Sei sordo dunque?... Mi senti?...
Allora il Polacco con voce burbera risponde:
— Non son sordo e ti sento... Vattene per la tua strada... non abbiamo niente da dirci...
La guardia si dondola con una pallida smorfia sulle labbra.
— Sì, abbiamo qualche cosa da dirci... Io non vengo da nemico...
Il Polacco scuote il capo.
— Ti ho detto di tirare innanzi... Non hai niente da fare tu, qua... Ti par chiaro?
E il Polacco si rimette al suo lavoro, mentre dal fondo della casa una voce stridula di donna grida:
— Ma se ti diciamo d’andartene, canaglia!...
Il guardacaccia insiste e vorrebbe oltrepassare la stecconata: ma il Polacco si rizza d’un balzo verso di lui, gesticolando furiosamente, con una flamma omicida negli occhi, e grida:
— Ti proibisco d’entrare in casa mia! Intendi bene... se tu entri... quanto è vero che io sono il Polacco, perdio, ti accoppo!
La voce della donna ripete dal fondo buio della casa:
– Accoppalo! Accoppalo!
— Allora, ascoltami... — dice la guardia alzando le spalle. — Ho visto ancora tracce di te nel bosco, questa notte.
– È falso!
— E dove hai tagliato quelle barbe di betulla?
— Non ti riguarda questo... le ho tagliate dove mi è piaciuto...
— Va bene... Non ti ci ho preso e puoi dir quel che vuoi... Ma non si tratta di questo... Vuoi vendermi la tua casa?
— La mia casa?... — rugge il Polacco.
— Sì la tua casa. Te ne dò mille lire.
— Ah, ah! Ti dò noia, eh?... A te e al tuo padrone, eh? Bè, guardami bene: se me ne volessi dare trecentomila scudi, ti direi di no.
— È la tua ultima parola?
— Sì.
— Va bene. Ma ti avverto che sei sorvegliato.
— Me ne infischio di te, capisci, di te e di chi ti manda!... Ed io pure t’avviso che andranno a finir male le vostre soperchierie! Non lasciar vivere in pace un pover’uomo!... Ah, fortuna!...
E, improvvisamente:
— Perchè hai ammazzato il mio cane?
– Perchè cacciava i fagiani.
— È falso... E le mie tre galline che hai uccise?... Anche quelle cacciavano i fagiani?...
— Quelle raspavano i semi di pino.
— Perchè m’hai fatto scacciare dal castello?... Mi guadagnavo la vita onestamente.
– Perchè cacciavi di frodo?
— Ê falso! È falso!
Dall’ombra della casa la voce della donna, sempre più irosa, sottolinea le risposte del guardacaccia con queste parole:
– Canaglia!... Canaglia!... Assassino!...
Ma la guardia non se ne commuove.
— Bada a te, Polacco!... Questa volta non ti sparmieremo...
— Bada a te, piuttosto! ... affmatore della povera gente... perchè... sì, ne ho abbastanza, di crepar di fame per causa di voialtri... M’avete preso tutto, voialtri... E crepare per crepare...
Allora il guardacaccia, molto calmo, dice:
— Io non ho paura di te... e non sono neanche cattivo con te, giacchè ti avverto, vedi... Sta a di pensarci... Io me ne vado.
E facendo risalire, con un colpo di reni, il carniere sulla spalla, salta leggermente sulla strada e si allontana senza voltare la testa.
Il sole cala, si sprofonda dietro i macchioni più cupi della foresta.
Il Polacco si rimette al suo lavoro, imprecando:
— Ne ho abbastanza... Troppa miseria... Crepare per crepare...
La notte è discesa, il Polacco rientra in casa. La madia è vuota... Entrambi, la donna lunga e magra e l’uomo basso e tarchiato, restano là nell’ombra, silenziosi.
A un tratto:
— Ehi! — fa la donna.
– Che c’è?
— Non c’è luna, questa notte.
— No!... La notte sarà nera...
— Certo, egli sorveglia, questa notte, il sentiero delle betulle.
— Sì...
— Ebbene?
La donna solleva a tastoni una pietra che, sotto la cappa del camino, ostruisce un profondo buco, e ne estrae un fucile: ne prova il grilletto e con voce rauca, sibila:
— Bene... se hai fegato... ci andrai anche tu...
— Dàmmi! — fa il Polacco. — Crepare per crepare!
Il Polacco esce di casa. La notte è proprio nera, difatti. Ascolta. Nessuno sulla strada... Nessuna vettura... nessun rumore... Ascolta ancora...
Lontanissimo, nel silienzio, un gufo canta il sua lugubre canto di morte...