La capanna dello zio Tom/Capo XL

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XL. Il martire

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Harriet Beecher Stowe - La capanna dello zio Tom (1853)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1871)
XL. Il martire
Capo XXXIX Capo XLI

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CAPO XL.


Il martire.


La giornata più lunga ha pur essa una sera — la notte più tenebrosa ha pur essa un mattino. Una serie eterna, inesorabile, di momenti spinge il giorno del malvagio ad una perpetua notte, e la notte del giusto ad un giorno immortale. Abbiamo errato già abbastanza coll’umile nostro amico nella valle della schiavitù; dapprima, tra campi fioriti, tra li agi e i comodi della vita; abbiam quindi assistito alle crudeli separazioni di quanto avea di più caro. L’abbiamo seguito in un’isola fortunata, ove mani generose nascondevano sotto fiori le sue catene; e finalmente in un luogo ove si spensero li ultimi raggi di ogni sua speranza terrena. Abbiam veduto come tra quella oscurità desolata gli si rivelasse a un tratto il cielo con tutta la pompa di nuove stelle e di splendori inusitati.

La stella del mattino brilla sulle cime delle montagne; le aurette, i venticelli, che non sono di questa terra, annunziano che le porte del giorno stanno per ischiudersi.

La fuga di Cassy e di Emmelina irritò all’estremo l’animo già esacerbato di Legrée; e la sua collera stava per rovesciarsi, come si potea prevedere, sul capo inerme del povero Tom. Quando, infuriato, annunziò agli schiavi la fuga delle due donne, non era sfuggito al suo sguardo il baleno di gioia che avea brillato improvvisamente negli occhi di Tom, nè l’atto spontaneo delle sue mani innalzate al cielo. Avea veduto che non si era unito allo stuolo degli inseguenti. Sulle prime, avea pensato di costringervelo; ma quindi, riflettendo quanto fosse tenace nel volersi astenere da atti crudeli, non volle, in quel trambusto, intavolar discussioni con lui.

Tom, in conseguenza, rimase addietro, con alcuni pochi che aveano imparato da lui a pregare, e fece voti per la salvezza delle due fuggitive.

Quando Legrée tornò a casa, umiliato, deriso, l’odio che covava da lunga pezza nel cuore contro il suo schiavo, gli ribolliva più feroce che mai. Quell’uomo non l’avea forse provocato, — a viso aperto, risolutamente, [p. 404 modifica]costantemente dal primo giorno che lo avea comperato? Non v’era forse in quest’uomo, tuttochè tacito e rassegnato, uno spirito misterioso che agiva sopra di lui come il fuoco dell’inferno?

«Io l’odio! — disse Legrée quella notte mentre si coricava: — L’odio! e non è mio? Non posso farne ciò che voglio? Oh vorrei un po’ vedere chi potrebbe impedirmelo!» E Legrée strinse il pugno e lo agitò in aria, quasi volesse spezzar qualche cosa chiusa nella sua mano.

Ma Tom era pure un servo fedele, prezioso; e quantunque Legrée lo odiasse più che altri, questa riflessione bastava a raffrenarlo alquanto.

Al domani, risolvette di non farne parola; radunare uno stuolo di cacciatori da tutte le vicine piantagioni, con cani e fucili; circondare i paduli e battere il terreno sistematicamente, e in tutta forma. Se riusciva, bene; altrimenti, avrebbe fatto chiamar Tom dinanzi a sè, e — digrignò i denti, il sangue gli ribollì nelle vene — lo avrebbe domato, o — una iniqua parola gli mormorò dentro e la sua anima vi assentì.

Si dice che l’interesse del padrone sia bastevole salvaguardia dello schiavo. Un uomo, di malvagia volontà, e incollerito, vende, di proposito determinato, la sua anima al diavolo, per riuscire ne’ suoi fini. Vogliamo credere che costui avrà maggiori riguardi al corpo del suo prossimo?

— «Benissimo! — disse Cassy, al mattino, gettando un’occhiata dal finestrello del granaio; — la caccia ricomincia quest’oggi.»

Tre o quattro cavalieri caracollavano nell’arena dinanzi la casa: una o due coppie di mastini forestieri si dibatteano contro i negri che li tenevano, abbaiando e digrignando i denti contro ciascuno.

Quanto ai cacciatori, due di essi erano ispettori nelle piantagioni dei dintorni; gli altri erano compagnoni di Legrée, soliti a trovarsi seco lui in una taverna della città vicina, e che ivi eran venuti per qualche loro faccenda. Sarebbe difficile immaginarsi ceffi più brutti: Legrée andava mescendo a profusione acquavite, non solo agli amici, ma anche ai negri ivi accorsi dalle vicine piantagioni, volendo che questa occupazione fosse una festa per essi.

Cassy appostò l’orecchio allo spiraglio del finestrello; e siccome il vento del mattino soffiava verso la casa, potè intendere buona parte dei loro discorsi. Un’espressione di più profondo ed amaro disprezzo contrasse i lineamenti del suo volto, in udire come si dividessero il terreno, discutessero sul merito rivale dei cani, dessero ordine di far fuoco, e convenissero sul modo di castigarle, qualora le ripigliassero.

Cassy si trasse dentro, e stringendo le mani, levando gli occhi, al cielo, esclamò:

— «O gran Dio onnipotente! noi tutti siam peccatori; ma che abbiamo noi fatto più che gli altri viventi, per essere trattati così?»

[p. 405 modifica]Vi era una tremenda espressione nel suo volto e nella sua voce nel pronunziare queste parole.

— «Se non fosse per riguardo vostro, figliuola mia — riprese ella, guardando Emmelina, — vorrei gittarmi incontro ad essi, e ringraziare colui che accennasse d’uccidermi. A che può servirmi la libertà? Potrò forse riavere i miei figliuoli, ritornare alla mia primitiva condizione?»

Emmelina, nella sua infantile semplicità, era quasi atterrita dalla cupa fisonomia di Cassy. Guardava perplessa, ma non rispondeva; la prese per la mano con atto affettuoso e carezzevole.

— «Lasciatemi — proruppe Cassy, svincolando la sua mano; — mi costringete ad amarvi, ed io non voglio amar mai più anima viva.»

— «Povera Cassy! — disse Emmelina, non temete! Se il Signore ci restituisce la libertà, vi ridonerà forse anche vostra figlia; ad ogni modo, io vi terrò luogo di figlia. Non so se potrò mai più rivedere la mia povera madre! Io amerò voi Cassy, quando anche non amiate me.»

Quell’affettuoso linguaggio infantile trionfò. Cassy andò a siedersele vicino, le pose le braccia al collo e le accarezzò dolcemente i capelli; ed Emmelina rimase attonita alla bellezza di quelli occhi magnifici, ma inondati di lacrime.

— «O Emmelina! — disse Cassy — io soffrii la fame, soffrii la sete per i miei figliuoli; i miei occhi si consumarono in piangerli! Qui! qui! — riprese, battendosi il petto — qui tutto è vuoto, tutto desolato! Se Dio mi restituisse i miei figliuoli, oh allora pregherei nuovamente!»

— «Dobbiamo confidare in Lui, Cassy — disse Emmelina: — egli è nostro padre!»

— «Ma egli è adirato con noi!» esclamò Cassy; e rivolse altrove la sua faccia.

— «No, Cassy! Avrà compassione di noi! speriamo in Lui — riprese Emmelina; — io ho sempre confidato.»

La caccia fu lunga, animata, ma infruttuosa. Cassy, nella sua grave ed ironica esultanza, vide abbasso Legrée in quello che, stanco, scoraggiato, scendea di cavallo.

— «Vien qua, Quimbo! — disse Legrée, sdraiandosi sopra un sofà nella sala a pian terreno; — conducimi qui subito Tom. Quel vecchio furfante deve esser complice di questo affare; io saprò spillarne il secreto da quel logoro carcame; avrò il filo di tutto ciò.»

Sambo e Quimbo, tuttochè si odiassero reciprocamente, erano uniti da un rancore comune contro Tom. Legrée avea detto loro da principio, che intendeva crearlo ispettore generale in sua assenza; e ciò avea suscitato in essi un malvolere, che si accrebbe nella loro indole abbietta e servile, [p. 406 modifica]vedendo che il nuovo venuto dispiaceva ogni dì più al padrone. Perciò Quimbo fu ben lieto di eseguire subito il comando ricevuto.

Tom, nel ricevere il messaggio, presentì di che si trattava, perchè egli conoscea per intero il disegno di evasione combinato dalle due donne, e il luogo ove teneansi appiattate. Conoscea l’indole feroce dell’uomo con cui avea a fare, e il potere assoluto di lui. Ma si sentiva abbastanza forte in Dio per affrontare qualsiasi supplizio, anzichè tradire quelle infelici.

Depose il suo canestro nella fila degli altri, e levando gli occhi al cielo, esclamò: «raccomando nelle tue mani l’anima mia! Tu mi hai redento, o Signore, Dio vero!» e si rimise tranquillamente a discrezione di Quimbo, che lo afferrò brutalmente.

— «Ah! ah! — disse il gigante, strascinandolo fuori; — adesso ti ho preso; il padrone deve saldare il tuo conto, ed è debitore verso di te; non puoi svignartela. Vedrai ciò che importa aiutar le negre a fuggire. Avrai ciò che meriti!»

Nessuna di queste atroci parole giunse all’orecchio di Tom, perchè una voce ben più alta gli diceva: «Non temere; non potranno uccidere che il tuo corpo.» I nervi e le ossa di quel povero corpo vibrarono a queste parole, quasi il dito di Dio le avesse toccate; ed egli si sentì munito di forza sovrumana. Mentre camminava, gli alberi, i cespugli, le capanne degli schiavi, tutte quelle scene di miseria parve fuggissero da lui, come lo spettacolo del passaggio dell’ombra del viaggiatore trasportato su carro velocissimo. L’anima sua esultò — travedea la patria; l’ora della sua liberazione gli sembrava imminente.

— «Ebbene, Tom — disse Legrée, avanzandosi verso di lui ed afferrandolo aspramente per il colletto dell’abito, mentre digrignava i denti nel parossismo d’una rabbia covata a lungo. — Non sai che ho determinato di ucciderti?»

— «Non me ne maraviglio, padrone» disse Tom tranquillamente.

— «Ho risoluto — disse Legrée con cupa e tremenda calma; — ho risoluto, e nessuno potrà rimuovermi dal mio proposito, a meno che, o Tom, tu mi dica quanto sai circa quelle due donne.»

Tom non rispose.

— «Non mi odi? — urlò Legrée, battendolo, con un sordo ruggito simile a quello del leone irritato. — Parla!»

— «Non ho nulla a dirvi, padrone» rispose Tom con contegno umile, ma fermo e deliberato.

— «Osi dunque darmi ad intendere, vecchio cristiano negro, che non sai nulla?» disse Legrée.

Tom rimase silenzioso.

[p. 407 modifica]— «Parla! — tuonò Legrée, scuotendolo furiosamente. — Non sai nulla?»

— «So, padrone, ma non posso parlare. Posso morire!»

Legrée si sentì strozzar dalla rabbia; ma vincendola, afferrò Tom per un braccio, ed avvicinando la sua faccia a quella del negro, disse con voce terribile:

— «Bada, Tom; tu credi forse che io minacci da burla, perchè altre volte ho risparmiato la tua pelle, ma ora intendo tener parola; ho calcolata la perdita. Tu mi hai sempre resistito; ora ti domerò, o ti ucciderò. Non vi è mezzo termine. Conterò le goccie di sangue che hai nelle vene, e le prenderò ad una ad una se tu resisti.»

Tom guardò in volto il suo padrone, e rispose:

— «Padrone, se foste ammalato, afflitto o moribondo, darei, per salvarvi, tutto il sangue del mio cuore: e se, spargendo goccia a goccia tutto il sangue che ho in questo povero mio corpo, potessi salvare la vostra anima preziosa, sarei lieto di versarlo tutto, come il Signore ha versato il suo per me. O padrone, non vi caricate l’anima di sì enorme misfatto! Ne avreste più danno voi che io. Fate il peggio che potete; i miei mali finiranno presto ma i vostri, se non vi pentite, saranno eterni.»

Come nota, non intesa mai, di musica celestiale tra il fragore di una tempesta, questo impeto di espansione acquetò alquanto l’animo di Legrée, che, trasognato, guardava Tom. Successe tal silenzio, che avresti potuto udire distintamente l’oscillare del vecchio pendolo, il quale segnava, col taciturno suo moto, li ultimi momenti di misericordia, di perdono per quel cuore indurato.

Ma non fu che un momento, una titubanza istantanea, un battito meno feroce del cuore; lo spirito del male riprese il suo dominio con violenza sette volte più forte; e Legrée, spumante di rabbia, rovesciò a terra la sua vittima.

Scene di sangue e di crudeltà offendono troppo il nostro orecchio e il nostro cuore. Ciò che un uomo talvolta ha coraggio di fare, un altro uomo non ha coraggio di udire. Anche nel secreto delle camere, non possiam narrare ciò che un nostro simile, un nostro fratello in Cristo ha potuto soffrire, perchè di troppo ci contrista. Eppure, o mia patria! queste cose succedono all’ombra delle tue leggi! Oh Cristo! la tua Chiesa le vede e quasi non parla!

Ma comparve nel mondo un Tale, i cui patimenti cambiarono uno strumento di supplizio, di avvilimento e vergogna, in un simbolo di gloria, di onore e di vita immortale; e dovunque è il suo spirito, nè i flagelli sanguinosi, nè li insulti, nè le percosse possono fare che i supremi combattimenti del cristiano siano meno gloriosi.

[p. 408 modifica]Era egli forse solo, in quella lunga notte, in quel vecchio magazzino il buon negro, il cui cuore animoso e benevolo sapea reggere ad ogni genere di tormenti?

No! Gli stava accanto quell’Uno, veduto da lui solo, il Figliuol di Dio.

E vi stava eziandio lo spirito tentatore, acciecato dalla malvagia e prepotente sua volontà, consigliandolo a tradir l’innocenza per salvarsi da quella agonia. Ma il cuore forte e sincero di Tom stava saldo, appoggiato alla Rupe eterna. Egli sapeva, non altrimenti del suo Maestro, che se aveva potenza di salvar li altri non l’aveva di salvar sè, e i tormenti più atroci non ebbero forza di strappargli di bocca che parole di speranza e di preghiera.

— «L’abbiam quasi finito, padrone» disse Sambo, commosso, a suo dispetto; dalla pazienza della vittima.

— «Proseguite finchè ceda! battetelo, battetelo! — urlò Legrée; — avrò ogni goccia del suo sangue se non confessa.»

Tom aperse gli occhi e guardò il padrone.

— «Povera, infelice creatura! — diss’egli; — ecco tutto ciò che potete fare! Vi perdono con tutta l’anima» e svenne.

— «Credo che finalmente sia morto! — disse Legrée, soffermandosi a riguardarlo; — Sì, è morto! la sua bocca è chiusa — me ne consolo!»

Sì, Legrée; ma chi potrà far tacere quella voce nella tua anima — nella tua anima, che non conosce pentimento, preghiera, speranza; e dove già arde il fuoco inestinguibile?

Ma Tom non era morto. Le sue parole mirabili, le pietose sue preghiere aveano toccato il cuore a’ due negri abbrutiti, strumento delle crudeltà di Legrée sopra lui: mentre il padrone si allontanava, essi gli si fecero incontro, e nella loro ignoranza si sforzarono richiamarlo in vita — quasi che la vita fosse un bene per lui.

— «Oh, abbiamo commesso un’azione ben crudele! — disse Sambo. — Spero che il padrone, e non noi avrà a renderne conto.»

Gli lavarono le ferite — acconciarono un letto alla meglio con cotone scartato, ve lo adagiarono; e uno di essi, andato a casa, chiese a Legrée un bicchier di acquavite, sotto pretesto che avea sete e che ne abbisognava. Tornò addietro, e ne versò alcune goccie nella gola di Tom.

— «O Tom! — disse Quimbo — siamo stati ben crudeli con te!»

— «Vi perdono di tutto cuore» disse Tom debolmente.

— «O Tom! raccontaci chi è Gesù — riprese Sambo; — quel Gesù, che in tutta la scorsa notte ti è stato a fianco. — Chi è egli mai?»

Questa domanda rianimò la vita fuggevole di Tom. Con poche parole, [p. 409 modifica]Egli afferrò Tom alla mascella, e gli aperse la bocca a fine di visitarne i denti. Capo XXX. [p. 410 modifica]piene di forza, narrò la vita, la morte di quell’Uno che è presente dovunque, e che ha potestà di salvarci.

Piansero amendue que’ selvaggi uomini.

— «E nessuno ce ne ha mai parlato! — disse Sambo. — Ma io credo in lui! — spero vorrà aiutarmi! O Signore Gesù, abbiate pietà di noi!»

«Povere creature! — esclamò Tom — sarei ben lieto d’aver sofferto quanto ho sofferto, se potessi guadagnarli a Cristo! Oh Signore datemi queste due anime, ve ne prego!»

E la preghiera fu esaudita!