La danza degli gnomi e altre fiabe/Il Re Porcaro/V

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Il Re Porcaro - Capitolo V

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Il Re Porcaro - IV Il Re Porcaro - VI

Rimaste sole e povere, in paese straniero, le tre principesse dovettero lavorare per campare la vita. Per loro fortuna avevano imparato fin da bimbe ogni lavoro donnesco; e sapevano cucire e ricamare a perfezione.

La bellezza misteriosa delle tre ricamatrici faceva correre strane voci nella città, ma esse vivevano quiete e laboriose nella piccola casa modesta. Rimpiangevano talvolta l’affetto del padre e il regno perduto.

Lionella sparecchiava la mensa e diceva:

- A quest’ora ci si abbigliava per il ballo...

Doralice rigovernava i piatti e diceva:

- A quest’ora le nostre donne ci davano il bagno nell’acqua di rose...

Chiaretta scopava e diceva:

- A quest’ora si andava a caccia dell’airone col girifalco...

E sospiravano.

Picchiava sovente alla porta un vecchio mendicante dalla barba bianca; e sempre le sorelle gli donavano una scodella di minestra.

- Grazie, figliuole! Che mani da principesse!...

- Siamo principesse.

E una sera si sedettero col vecchio sulla panca della strada e gli confidarono la loro storia. Il vecchio le ascoltava lisciandosi la barba.

- Povere figliuole! Non m’è nuovo questo incantesimo... Il Re, vostro padre, ha bevuto la fatatura dello scambio...

E trasse fuori dalla bisaccia un libercolo di pergamena sgualcito e cominciò a sfogliarlo attentamente. L’aveva trovato anni addietro, nella caverna d’un monte, presso lo scheletro d’un eremita.

- Contro la fatatura dello scambio c’è un’acqua infallibile: l’acqua che balla, che suona, che canta; ma non si sa dove sia...

Per molti giorni le sorelle meditarono le parole del vecchio. E una sera Lionella disse:

- Sorelle mie, io sono la primogenita. Ho deciso di tentar la sorte per tutte. Partirò alla ricerca dell’acqua miracolosa.

Abbracciò le sorelle piangenti e sul fare dell’alba se ne partì.

Passarono i giorni, le settimane, i mesi; e Lionella non ritornava.

Compiva l’anno, il mese, il giorno quando Doralice disse a Chiaretta:

- Sorella mia, sono la secondogenita. È giusto ch’io mi metta alla ventura. Partirò domani.

All’alba abbracciò la sorella e se ne partì.

Chiaretta restò sola nella piccola casa deserta. Passò il tempo.

Compiva l’anno, il mese, il giorno e Chiaretta decise di porsi alla ventura.

Cammina, cammina, cammina...

Attraversò fiumi e boschi, monti e pianure, mendicando un tozzo di pane ai casolari. Le massaie, sulla soglia, guardavano stupite quella bella mendica giovinetta.

- Buone donne, sapreste darmi notizia dell’acqua che balla, che suona, che canta?

Ma quelle si stringevano nelle spalle. Nessuna sapeva.

E Chiaretta riprendeva sconfortata il cammino. Una sera si addormentò tra le foglie secche, sotto un castagno. All’alba si sentì tirare una ciocca, sulla tempia: si volse e vide una lucertola con due code impigliata nei suoi capelli d’oro.

- Ho passata la notte nei tuoi capelli ed ora son prigioniera... Liberami e ti ricompenserò!

Chiaretta liberò le zampine dall’intrico dei legami sottili.

La lucertola le diede una delle sue due code.

- Tienla preziosa. Ad ogni domanda ti risponderà.

Chiaretta contemplò a lungo il moncherino che s’agitava nella sua palma distesa.

- Coda, codina, sai dirmi dov’è l’acqua che suona, che balla, che canta?

E la coda girò nella palma della mano, si tese verso un punto dell’orizzonte come l’ago d’una bussola.

Chiaretta prese quella direzione.

Cammina, cammina, cammina, giunse in un paese lontano, fra dirupi spaventosi; e sentì la codina agitarsi nella sua tasca, quasi ad avvisarla. Domandò ad una vecchietta notizie dell’acqua portentosa.

- Sì, la fonte è qui! Ma è in custodia di un negromante che abita lassù, in quel castello che vedete. Arrivano sovente dame e cavalieri, entrano nel giardino delle sette porte, ma nessuno ne esce più...

Chiaretta entrò coraggiosa nel giardino fatato, stringendo in una mano l’ampolla vuota, nell’altra la codina miracolosa. Il giardino era un laberinto dalle mille strade tortuose dove fatto il primo passo si restava smarriti.

Ma Chiaretta seguiva ogni movimento della codina oscillante nella palma della sua mano. E gira e rigira, sul tramonto riuscì in una pianura dove in una conca immensa si raccoglieva l’acqua meravigliosa.

Attorno alla fontana si vedevano, a perdita d’occhio, statue di marmo candidissimo.

Chiaretta fece per riempire l’ampolla, ma sentì la codina agitarsi disperata nell’altra mano, e l’osservò. Il moncherino cominciò a piegarsi a N, poi ad O, poi ancora a N, poi prese a parlare con lettere viventi:

- Non toccare l’acqua fatata! Chi la tocca resta di marmo.

Allora Chiaretta appese l’ampolla ad un filo, la calò e l’estrasse ricolma; poi la turò e la pose in tasca. Pensava al ritorno quando riconobbe in una statua la sorella Doralice; guardò quella dopo: era Lionella. Prese ad abbracciare il freddo marmo, piangendo.

- Coda, codina, risuscita le mie sorelle!

Accostò il moncherino alle statue e quelle rivissero all’istante. Le tre principesse ripresero la via della patria.