La danza degli gnomi e altre fiabe/Il Reuccio gamberino/III
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Sansonetto era disperato. Correva a ritroso per le stanze e pei giardini reali, piangendo, strappandosi le chiome bionde. Bisognava rintracciare la vecchietta beffata, supplicarla di ritornarlo a diciott’anni, di risanarlo da quella malìa. Il Re e la Regina avevano fatto un bando con mezzo il regno di premio per chi desse notizie della vecchietta che aveva incantato il figliuolo. Ma nessuno l’aveva più vista.
Sansonetto andava sovente a caccia, per distrarre la sua malinconia. Galoppava a ritroso, perché la malìa gamberina s’appiccicava pure alla sua cavalcatura.
I contadini che vedevano passare, scomparire all’orizzonte quel cavaliere piumato, sul cavallo che galoppava all’indietro, si facevano il segno della croce temendo un’apparizione diabolica.
Un giorno il Reuccio giunse in un bosco, e vide tra gli abeti centenari una casetta minuscola, con una sola porta e una sola finestra. E alla finestra riconobbe il volto della vecchietta che lo guardava sorridendo. Sansonetto s’inginocchiò sulla soglia.
- Ah! vecchina, vecchina! Restituitemi il giusto andazzo del tempo e del camminare!
- Bisogna riportarmi il nocciolo di quel giorno...
- Se non è che questo, l’avrete...
Sansonetto ritornò a palazzo. Ma come ritrovare proprio il nocciolo di quattr’anni prima?... Pensò di prenderne uno qualunque, lo portò nel bosco, lo fece vedere sulla palma della mano. La vecchietta l’osservò dalla finestra.
- Figliuolo mio, non è quello! quello porta incise intorno certe parole che so io...
Il Reuccio capì che non era caso d’inganni, ritornò a palazzo, prese commiato dal Re e dalla Regina e si pose in cammino, alla ricerca del nocciolo salvatore.
Si ricordava confusamente d’averlo visto rimbalzare nel rigagnolo della via.
Seguì il rigagnolo fin dove questo metteva foce nel torrente. Ma innanzi a quelle spume turbinose si sentì prendere dallo sconforto. Una libellula passò, librandosi su di lui con bagliori di smeraldo.
- Che c’è, bambino bello?
Lo chiamavano già bambino! Come ringiovaniva in fretta!... Sansonetto sospirò:
- C’è che divento sempre più giovane!
- Poco male, ragazzo mio!
- Molto male! Fra qualche anno sarò un bambino lattante, poi nascerò, scomparirò del tutto. Mi può salvare soltanto il nocciolo della Fata Nasuta. L’hai visto passare?
- Io no. Ma ne sentii parlare dai miei vecchi: un nocciolo strano, che portava scritte intorno certe parole cabalistiche... Ha preso la via del mare.
Sansonetto si pose in cammino, seguì il torrente fino al fiume, il fiume fino al mare. Dinanzi a quell’azzurro infinito la speranza gli cadde dal cuore e si abbandonò sulla spiaggia. Piangeva e guardava le onde accartocciarsi ribollendo; e le lacrime gli cadevano nell’acqua, ad una ad una.
- Che c’è, bambino bello?
Era un’asteria, una stella di mare che strisciava lentissima sulla sabbia d’oro.
- C’è che divento sempre più giovane.
- Poco male, figliuolo mio!
- Molto male. Nascerò, scomparirò del tutto se non trovo il nocciolo della Fata Nasuta.
- Un nocciolo strano, inciso di parole che non ricordo... L’ho visto qualche anno fa. L’ha inghiottito un fenicottero mio amico. Se attendi, te lo mando qui...
Il Reuccio attese tre giorni. Apparve il fenicottero bianco e roseo, sulle due gambe lunghissime.
- Sì, ho inghiottito il nocciolo; ma poi emigrai nel mezzogiorno e lo rimisi nei giardini del gigante Marsilio, fra i monti della Soria... il gigante è feroce ed invincibile; lo potrà vincere soltanto chi gli strapperà un capello verde fra i folti capelli rossi.
Il Reuccio s’imbarcò su una galea di mercanti e giunse dopo sette settimane in Soria. Ma quando chiedeva del gigante Marsilio, la gente lo guardava stupita, e impallidiva.
- Il gigante non lascia passare nessuno nei suoi dominî. Ogni giorno fa strage di cavalieri temerari che vogliono affrontarlo.
- Lo affronterò anch’io e vincerò, se questa è la mia sorte.
E il Reuccio Sansonetto proseguiva la via. Giunse al regno del gigante Marsilio.
A picco nella valle dominava il Castello dalle Cento Torri; si stendevano sotto i giardini immensi circondati da alte mura, e attorno biancheggiavano le ossa dei temerari che avevano sfidato il mostro.
Sansonetto suonò il corno di sfida, invitando il gigante a battaglia.
Una delle porte immense si aprì e apparve il gigante seminudo e senz’arme.
Come vide il Reuccio sorrise di scherno.
Questi si scagliava a ritroso volteggiando la sua spada affilata; tagliava ora un braccio, ora una mano, ora il naso, ora il mento del gigante, ma il gigante si chinava tranquillo, raccattava il pezzo amputato rimettendolo a segno.
Sansonetto mirava alla testa, spiccando salti sul suo cavallo focoso. Già due volte glie l’aveva fatta cadere, ma il mostro si chinava, la raccoglieva, la riappiccicava all’istante sulle spallacce robuste. Una terza volta il Reuccio glie la troncò; e appena in terra fu pronto a spingerla con le due mani sull’orlo d’un declivio, rotolandola a valle. Poi si mise a cercare in fretta il capello verde nella folta chioma rossa. Sentiva alle spalle il mostro decapitato che correva, brancolando qua e là; lo sentiva avvicinarsi, e cercava e non trovava il capello micidiale. Allora trasse la spada, rasò in pochi colpi la testaccia dalla fronte alla nuca; e il capello verde fu reciso con tutta la chioma. La testa impallidì, gli occhi dettero un guizzo spaventoso e il gigante che brancolava all’intorno, cadde con tonfo sordo. Era morto.