La giraffa bianca/7. In cerca del dottore

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7. In cerca del dottore

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6. Un vicino pericoloso 8. L'inseguimento

7.

IN CERCA DEL DOTTORE


Pochi minuti dopo, William e Kambusi salivano a cavallo, mettendosi in cammino. Temendo che nei dintorni della palude si tenessero imboscati dei negri, cosa non improbabile, deliberarono di girare al largo, anche per evitare che i cavalli si stancassero troppo fra quelle folte macchie, ingombre di cespugli e di radici enormi.

Usciti dal bosco, piegarono verso occidente, seguendo il corso di un fiumicello, che pareva si dirigesse precisamente verso il villaggio abitato dai ladri dei buoi.

Trottavano da un'ora, allontanandosi sovente dalle rive del fiume per evitare i gruppi d'alberi che opponevano delle barriere insuperabili, quando il cavallo di William fece un brusco scarto, mandando un nitrito sonoro.

— C'è qualche animale in quella macchia — disse William, accarezzando il cavallo per calmarlo.

A cento passi da loro si ergeva un enorme ammasso di alberi frondosi, composti per la maggior parte di datteri selvaggi e di mimose. Se il cavallo si era spaventato, doveva essersi accorto della presenza di qualche bestia pericolosa.

— Prepara il fucile, Kambusi — disse William.

— Sono pronto.

— Ed ora scendiamo da cavallo. Si spara troppo male in sella.

— Che animale sarà?

— Pericoloso di certo, poiché il mio cavallo non si spaventa così facilmente.

— Che vi sia qualche rinoceronte?

— C'è una famiglia di leoni! — disse William. — Sento odore di selvatico.

— Evitiamoli.

— Bisognerebbe tornare indietro ed io non ho l'abitudine di tornare sui miei passi. Anzi penso che un paio di leoni ci possono essere necessari.

— Per che farne?

— Lo saprai in seguito.

Il giovane cacciatore scese di sella, legò il cavallo ad un albero e armò la grossa carabina.

Kambusi lo aveva imitato.

In quel momento un ruggito formidabile risuonò improvvisamente dietro il folto strato di foglie e si ripercosse rumorosamente sotto gli alberi giganti.

— È un leone — disse William. — Non mi ero ingannato.

— Sarà solo?

— Lo vedremo.

— E se...

— Silenzio — disse William.

— Dicevo che...

— Vuoi farti sorprendere e dilaniare?

Quel primo ruggito, uscito dalla gola ardente della fiera, fu come un segnale. Nuovi e non meno tremendi brontolìi sfuggirono da tutte le parti della macchia e tuonarono come folate ardenti, senza però abbandonare le note gravi.

— Che orchestra! — esclamò Kambusi rabbrividendo.

— Abbiamo dinanzi una intera famiglia di leoni — mormorò William. — Quasi mi pento di non essere tornato indietro.

— Le belve devono averci veduti.

— Sì, Kambusi.

— Ecco il primo si avanza!

— Taci... nasconditi dietro a questo tronco!

Una magnifica leonessa con un rapido salto si era slanciata fuori dalle piante, ed era caduta in mezzo al sentiero percorso dai due cacciatori. Vedendo quei due uomini colle armi puntate, si era fermata indecisa. La belva, confidando nel proprio vigore, più meravigliata d'altronde che inquieta, conservava quel bell'atteggiamento che tutti hanno potuto ammirare nei serragli. Guardava con interesse l'uomo bianco, così diverso dai negri, che era abituata ad incontrare ed anche a divorare, sorpresa forse di vedere un uomo di quel colore.

William, con un ginocchio a terra, l'arma puntata, si prestava a quella investigazione con calma che indicava un coraggio a tutta prova e soprattutto nervi niente affatto sensibili.

La leonessa, terminato il suo esame, si lasciò sfuggire un brontolìo soffocato, poi si percosse violentemente i fianchi colla coda ed increspò il muso. Si era già raccolta e sembrava pronta a scagliarsi. William alzò adagio adagio la carabina, dicendo a Kambusi:

— Non far fuoco anche te. Un fucile deve rimanere in riserva. Tienti però pronto.

— Lo sono.

Il giovane cacciatore, appoggiato il calcio del fucile alla spalla, si preparava a far fuoco onde prevenire il salto della leonessa, quando questa, sia per capriccio, sia per curiosità, si rialzò bruscamente, girando la testa dal lato opposto a quello occupato dai due cacciatori.

Sebbene quel movimento di conversione presentasse la bestia per tre quarti, ponendola a disposizione del cacciatore, William abbassò l'arme e guardò verso il punto che aveva attirato l'attenzione della fiera.

Quasi nel medesimo tempo a destra ed a sinistra della belva si udirono due sordi ruggiti. I cespugli si agitarono sotto una spinta irresistibile, dando il passo a due grossi leoni dalla criniera nera.

I nuovi venuti si gettarono uno sguardo e subito si riconobbero per nemici, anzi per rivali.

— Facevano la corte alla leonessa — mormorò William. — Stiamo a vedere che cosa succede. Kambusi, non muoverti.

I due leoni, che aspiravano entrambi alle grazie della leonessa, si erano fermati l'uno di fronte all'altro, cogli sguardi fiammeggianti, colla criniera irta, lacerando cogli artigli le erbe e le radici degli alberi. Non si erano nemmeno accorti della presenza dei cacciatori, nascosti a soli cinquanta passi, dietro il tronco d'un baobab.

Dopo di essersi sfidati collo sguardo, i leoni mandarono un grido breve, strozzato; poi balzarono l'uno sull'altro, si urtarono impetuosamente, si rotolarono a terra mordendosi e graffiandosi.

— Che zampate! — mormorò Kambusi, il quale seguiva attentamente quella lotta terribile.

— Si fanno a brani — disse William.

— Se ti occorrono delle pelli non le troverai che a pezzi.

— Non le lascerò guastare troppo.

— Fa' presto, padrone.

Mentre William alzava il fucile, le due fiere lottavano con furore crescente. La leonessa invece, sdraiata a pochi passi dai due rivali, contemplava quel dramma feroce, stirandosi indolentemente, in attesa che l'uno o l'altro soccombesse.

William mirava, aspettando il momento opportuno per fulminare uno dei due rivali.

Le loro mosse erano però così rapide e così disordinate da riuscirgli impossibile di mandare la palla a destinazione con effetto.

Finalmente uno dei due leoni cadde per non più rialzarsi. Un colpo d'artiglio gli aveva spaccato il cranio, facendogli uscire parte delle cervella. Era il momento atteso da William.

Il vincitore s'era rizzato orgogliosamente sul cadavere del vinto nemico, mandando un ruggito di vittoria.

— Prendi! — mormorò William.

Il leone, colpito in mezzo al cranio, si alzò bruscamente sulle zampe posteriori, battè convulsivamente l'aria colle anteriori e cadde inanimato, mandando un sordo ruggito.

La leonessa, vedendo cadere anche il secondo animale, abbandonò la indolente posizione, balzando in piedi. Molto meno preoccupata dei due gelosi rivali, ebbe una vaga intuizione del pericolo che correva e cercò d'evitarlo. Con mossa abile si gettò da una parte, come se avesse voluto sfuggire i cacciatori; poi si slanciò obliquamente, tornando loro addosso.

William non era uomo da lasciarsi ingannare da quella finta. Afferrò rapidamente il fucile che gli porse Kambusi e lo puntò dicendo:

— La fredderò con un colpo!

La leonessa era forse a cinquanta passi; in tre o quattro salti poteva piombare sul cacciatore.

William fece fuoco. La leonessa, colpita al fianco destro, cadde con due costole fracassate. Non era però morta, anzi la ferita poteva non esser mortale. Non potendo prendere un nuovo slancio, la belva prese a strisciare per accostarsi al nemico. Kambusi, nel frattempo, aveva ricaricato la grossa carabina.

— Prendi, padrone — disse.

William afferrò l'arma e la scaricò fra le fauci della belva, facendola cadere al suolo.

— Un bel colpo! — disse Kambusi.

— È vero — confessò William.

— Avremo finito?

— Se vi fossero stati altri leoni nella macchia, si sarebbero mostrati — rispose William. — Non ci resta da fare che una cosa.

— Quale?

— Scuoiare i due leoni: ti ho già detto che forse avrò bisogno delle pelli.

— È una cosa facilissima.

— All'opra, Kambusi.

Il negro estrasse il coltello e cominciò a sventrare il leone più prossimo, mentre William scuoiava il secondo caduto sotto la sua palla. Essendo entrambi abilissimi, in breve ebbero le due pelli, che arrotolarono con cura e attaccarono dietro la sella dei cavalli.

— Riprendiamo il cammino — disse William, quand'ebbe terminato. — Comincio ad essere inquieto sulla sorte del dottore e di Flok.

Salirono in arcione e si spinsero innanzi. Dopo cinquecento passi si accorsero che non era possibile proseguire tenendosi in sella, a causa delle piante, diventate estremamente basse e fitte, tanto da rendere difficile il passaggio ai cavalli. Quasi tutte le foreste africane sono difficili ad attraversare, stante la straordinaria potenza della vegetazione.

In quel suolo, sottratto all'irradiazione solare da una impenetrabile cupola di verzura, le erbe giganti non possono vivere, ma crescono in numero infinito i cespugli e sorgono da terra migliaia e migliaia di radici che ostacolano l'avanzarsi degli uomini e degli animali.

Oltre a ciò miriadi di liane e di piante sarmentose, irte di spine, si attortigliano ai tronchi degli alberi, formando dei festoni foltissimi, che s'intrecciano come immense reti, nelle quali l'uomo resta prigioniero. William ed il suo compagno erano stati adunque costretti a scender da cavallo e ad avanzarsi adagio adagio, tenendo le bestie per le briglie. La traversata di quella boscaglia fu penosissima. Nondimeno verso il tramonto i due cacciatori giunsero sulle rive d'un largo fiume; sulla riva opposta si vedevano parecchie capanne, difese da una cinta robustissima e molto alta.

— È il villaggio dei ladri — disse Kambusi, fermandosi. — Lo riconosco, sebbene io sia stato qui molti anni or sono.

Aveva appena detto queste parole, quando un fischio stridente si udì sulla riva opposta, seguito da un colpo di fucile.

Una palla passò fischiando sopra le teste dei cacciatori, schiacciandosi contro il tronco di un albero.

— Siamo stati scoperti — disse William, gettandosi prontamente a terra. — Non credevo che i negri vegliassero.

— Se vegliano, significa che hanno fatto prigionieri i nostri compagni — disse Kambusi.

— Ed hanno dei fucili!

— Ne hanno, ma spesso li caricano con sassi, non avendo abbastanza piombo.

— Noi li vinceremo egualmente.

— Padrone, anche i sassi talvolta riescono micidiali.

— Non ho alcuna intenzione di affrontare quei negri.

— Cosa vuoi fare?

— Non vedi che si preparano ad inseguirci? Li faremo correre a lungo, e, quando avremo trascinato lontano il grosso dei guerrieri, torneremo al villaggio di galoppo e lo assaliremo.

Quaranta negri, ossia il fiore dei banditi, guidati dal loro capo, distinguibile pel diadema di penne che gli copriva la testa, si erano radunati dinanzi alla riva, mentre alcune donne armavano due grandi scialuppe.

— Che quei guerrieri costituiscano tutte le forze del villaggio? — chiese William al negro.

— Il capo non deve disporne di più — rispose Kambusi.

— Allora ci faremo inseguire.

Così dicendo, William balzò sulla riva, mostrandosi ai guerrieri e gridando con voce tuonante:

— Che volete? Retrocedete o io verrò ad assalire il vostro villaggio.

Il capo, che stava per imbarcarsi, alzò minacciosamente il suo moschettone, dicendo:

— Chi sei tu, uomo bianco, che osi parlare in tal modo?

— Io sono il compagno dell'uomo bianco che tu hai rapito ed il padrone dei buoi che hai rubati.

— E che desideri?

— Riavere i miei compagni ed anche gli animali.

Il capo rispose con una risata ironica:

— Prenderò anche te.

— Provati, birbante!

— Prendi!

Un colpo di fucile rimbombò. William aveva veduto abbassarsi il moschetto e si era gettato prontamente al suolo. La palla, troppo alta, si era perduta in mezzo agli alberi.

Il giovane cacciatore aveva puntato a sua volta il fucile. Un secondo sparo si udì ed il capo, colpito in petto, cadde nel fiume, scomparendo sottacqua. Urla feroci scoppiarono fra i guerrieri:

— Vendichiamo il nostro capo!

— Venite! — gridò William con accento minaccioso, mentre si gettava prudentemente dietro il tronco di un albero.

I negri si erano imbarcati precipitosamente, sparando fucilate e lanciando frecce verso la riva opposta; poi avevano posto mano ai remi, decisi a raggiungere l'uccisore del loro capo e catturarlo. William attese che fossero sbarcati, poi balzò sul cavallo, subito imitato da Kambusi.

— Conosci il paese? — domandò al negro.

— Sì, padrone.

— Facciamoci inseguire in modo da non allontanarci troppo dal villaggio.

— Seguimi. Faremo correre i banditi tutta la notte e domani all'alba giungeremo al villaggio, guadando il fiume più sotto.

— Avanti!

I negri si erano già lanciati dietro i fuggiaschi, correndo a perdifiato. I cavalli però, che si erano un po' riposati, galoppavano rapidamente, seguendo il margine del bosco che avevano poco prima attraversato. Dopo venti minuti le grida dei negri erano cessate a causa della lontananza; tuttavia i due cacciatori erano sicuri di essere sempre inseguiti.

— C'inseguiranno finché non ci avranno presi — disse Kambusi. — Conosco quei negri e so quanto sono vendicativi.

— Dove mi conduci?

— Descriveremo un ampio giro, poi appoggeremo nuovamente verso il fiume, aspettando il loro assalto. L'acqua è profonda in quel luogo ed i negri non potranno guadarla.

— Mentre i nostri cavalli nuotano meglio di noi — aggiunse William.

Per tre ore i cacciatori continuarono a galoppare, attraversando boschi e radure, per meglio allontanare i negri; poi si trovarono nuovamente sulla riva del fiume, ad una distanza di quattro miglia dal villaggio.

— Aspettiamoli qui — disse Kambusi.

— E cerchiamo di ucciderne più che possiamo — rispose William.

— Ed intanto riposiamo. Il nemico non giungerà prima di quattro o cinque ore.

— E se passassimo il fiume per correre sul villaggio?

— No, padrone. Se i negri fossero tornati potrebbero riceverci con delle scariche nutrite di moschetteria. Se verranno qui, almeno avremo la prova che le capanne sono rimaste indifese.

Certi di essere assaliti, fecero coricare i cavalli presso la riva; poi con rami e fronde formarono una piccola trincea, rinforzandola con massi e mucchi di terra, per essere un po' riparati.

— Mentre li attendiamo, cerchiamo di dormire qualche ora — disse William.

— Sono due notti che non riposiamo.

Si misero allato i fucili e si coricarono dietro la trincea; ma era difficile dormire.

Innumerevoli legioni di zanzare, salite dal fiume, li martorizzavano con accanimento, impedendo loro di chiudere gli occhi.

Invano William si grattava da portarsi via la pelle. Gli insaziabili insetti, occupati nel loro pasto, non lasciavano la presa e si cibavano largamente del sangue del tedesco.

Il negro invece stava più tranquillo, non perché la sua pelle nera fosse inattaccabile agli acuti dardi di quello sciame d'insetti, ma perché sapeva che ogni tentativo per sbarazzarsene sarebbe stato assolutamente vano.

— Mi divorano vivo — diceva il cacciatore, voltandosi e rivoltandosi.

— Abbi pazienza, padrone — rispose Kambusi.

— Se fossi nudo andrei ad avvoltolarmi nella melma del fiume.

— Io l'avrei già fatto, se mi fosse stato possibile.

— Chi ti trattiene?

— Ho udito dei tonfi nel fiume: ci sono dei coccodrilli.

— Come faremo ad attraversare poi il fiume?

— Spaventeremo a colpi di fucile quegli anfibi, che non sono così terribili come si crede.

— Lo so, Kambusi. Ah! Che insetti feroci! È impossibile resistere.

— Vi è un mezzo per sbarazzarsene.

— Dillo subito.

— Incendiare le erbe che ci stanno dinanzi.

— L'idea mi piace. Le fiamme attireranno l'attenzione dei negri che ci inseguono.

— E faranno fuggire i coccodrilli.

— Da' fuoco, Kambusi.

Il negro balzò sopra la trincea, si trascinò fra le erbe che erano altissime, battè l'acciarino, accese un pezzo d'esca e lo depose in mezzo ai vegetali, che erano bene secchi. La fiamma si alzò subito e si comunicò alle erbe. La prateria in pochi momenti fiammeggiò, crepitando. Le erbe si contorcevano e lanciavano in alto scintille, mettendo in fuga le zanzare. Il negro stava per rivarcare la trincea, quando gli parve udire degli scalpitìi.

— Sono i nostri cavalli che fuggono? — si domandò. — Padrone!

— Che vuoi, Kambusi?

— Sono sempre coricati i nostri cavalli?

— Sì, e non si muovono.

— Ho udito rumori verso la prateria.

— Vediamo — disse William, alzandosi colla carabina in mano.

In quel momento, al di là della linea fiammeggiante, si udì una serie di detonazioni.

— I ladri! — esclamò William, che non si spaventava per quel baccano. — Consumano polvere senza risparmio.

— Tienti al riparo, padrone. I loro moschetti valgono poco, tuttavia qualche verga di ferro o qualche sasso può giungere a destinazione.

— Prepariamoci alla difesa.

— Non sarebbe meglio attraversare subito il fiume?

— Aspettiamo che faccia più chiaro. Voglio vedere se i coccodrilli ci vengono addosso. Comincia già ad albeggiare; sarà questione di una mezz'ora.

Una seconda scarica, più rumorosa della prima, echeggiò al largo, ma del pari inoffensiva.

I negri, ancora invisibili, essendo appiattati fra le erbe, tiravano sopra la cortina di fiamme.

I loro colpi mal sicuri partivano da un mezzo cerchio ed i proiettili, che sembravano diretti sul punto dove si tenevano sdraiati i due cacciatori, si sparpagliavano in direzioni tanto fuori della linea che il più inabile tiratore sarebbe arrossito.

William e Kambusi, distesi al suolo, con le carabine appoggiate sulla palma della mano sinistra semiaperta, come su d'un affusto, attendevano il momento opportuno per fare doppio colpo.

Due negri apparvero ben presto, spiccando vivamente sulla linea fiammeggiante.

— A te il più basso — disse William a Kambusi. — A me il più alto.

— Fuoco, padrone!

Due colpi di carabina rimbombarono.

Il negro più alto, che stringeva un moschettone, fece un salto e cadde in mezzo alle erbe infiammate; il suo compagno, che era armato d'arco e di frecce, cadde di peso, poi si rialzò fuggendo a tutte gambe. Dalle grida acute che mandava si poteva capire che era stato ferito.

Il fuoco dei negri cessò subito.

Quei ladroni dovevano aver compreso che avevano di fronte uomini non facili a spaventarsi in un assalto.

— Che cerchino di avvicinarsi nascostamente? — chiese Kambusi.

— È quello che pensavo — rispose William.

— È giunto il momento di andarcene, padrone. Passeremo il fiume, poi correremo sul villaggio, ventre a terra, mentre i negri rimarranno forzatamente qui.

— E se passano il fiume anche loro?

— Coi nostri cavalli giungeremo prima.

— Va' a vedere se vi sono coccodrilli nel fiume. Io intanto preparo la ritirata.

William, sorpreso di non vedere né di udire più i negri, si era rizzato sulla trincea, per tentare di scoprirli.

— Dove si saranno nascosti?

Scese in fretta la riva, fece alzare il cavallo e lo inforcò.

Intanto il negro si era accostato al fiume coll'altro cavallo. Guardò la corrente che scendeva rapidissima e gli parve che nulla vi fosse di sospetto.

— I coccodrilli saranno andati a dormire — disse.

Poi spronò il cavallo e balzò nel fiume.