La leggenda di Tristano/LXXIX

Da Wikisource.

LXXIX ../LXXVIII ../LXXX IncludiIntestazione 29 ottobre 2021 75% Da definire

LXXVIII LXXX

[p. 114 modifica]


LXXIX. — Or ritorna lo conto alo re Marco. Quand’egli fue ritornato in sé delo colpo dela spada ch’egli ebe, or dimanda li suoi baroni: «Ove avete voi T.?» E li baroni rispuosero e dissero: «Per mia fé, egli sí n’andoe, ché non ebe nessuno ch’avesse ardimento di parasigli innanzi». Allora disse lo re Marco: «Morti siamo oramai, ché oggimai non sarae nessuno uomo tanto ardito ch’esca fuori di Tintoil». [Ora dice lo conto che T. e li compagnoni sí ne vanno alo diserto fuori di Tintoil] appressoci a quattro miglia, e li compagnoni di T. istanno piatti alo diserto appresso di Tintoil e T. istae armato in sula strada. E a tanto sí vennero due cavalieri di Cornovaglia a Tintoil, armati a guisa di [p. 115 modifica] cavalieri, e T. parasi loro innanzi e domanda giostra, sí come è usato di cavalieri erranti. E li cavalieri tragonsi innanzi l’uno ala battaglia, e vegnosi a fedire sanza altre parole piú dire. E lo cavaliere fiedí a T., sí che gli ruppe la lancia addosso infino alo pugno, e T. fiedí alo cavaliere, sí che lo mette a terra del cavallo. E quando l’ebe abbattutto T. in terra del cavallo, e T. ismontoe e tagliogli la testa al cavaliere, e poscia rimonta a cavallo. E l’altro cavaliere ch’iera rimaso, iera fratello carnale di quello ch’iera morto. E T. fiedí all’altro cavaliere e dagli sí grande colpo che non gli vale targia ned asbergo ch’egli avesse indosso e passalo dall’altra parte cola lancia, e, nelo trapassare che fae, e T. sí rompe la lancia in corpogli, sí che non gli vale nulla e rimasegli lo tronco in corpo dela lancia. E quando T. vide quel colpo, dissegli: «Cavaliere, arenditi a mee». E lo cavaliere rispuose e disse che sí fará egli volontieri. E T. gli disse: «A te conviene andare lá dov’io ti manderoe». Ed egli disse che si fará egli volontieri. Allora sí gli comanda T. ched egli prenda la testa di suo frate in mano, e lo cavaliere la prende. E T. gli dice: «Vattine alo re Marco e salutalo sí come mio mortale nemico e digli che cosí com’i’ ho fatto di costui cosí farò di lui». E lo cavaliere disse che quello messaggio fará egli. Allora sí ne viene lo cavaliere in Tintoil e giunse a corte del re Marco e monta suso alo palagio e saluta lo re Marco da parte di T., sí come suo nemico mortale, e dicegli: «Cosi fará di voi, sí com’egli ha fatto di questo mio fratello e sí come egli ha fatto a mee, che sono molto presso ala morte, sí come ora indritto voi vedrete». Allora lo cavaliere si cadde in terra morto cola testa di suo fratello in mano. E quando lo re Marco udio e vide ciò, ebe grande paura, e comandò che fosse portato a sopellire e la testa dell’altro cavaliere con lui. E cosí fue fatto. Allora disse Ghedin: «Re Marco, dappoi che voi avete cacciato T. dela vostra corte, io non posso prendere lui sí come io credea, dinfino a tanto ch’egli sarae di fuori, né voi non guadagnerete neente con lui. E perciò, se voi lo volete distruggere sí [p. 116 modifica] come detto m’avete, mandate per lui e farete fare vostre lettere suggellate del vostro suggello, e Braguina sia la messaggiera di queste lettere». Allora disse lo re a Ghedin: «Va e fae fare le lettere a tutto tuo senno e io le farò suggellare del mio suggello». E Ghedin fece fare le lettere, e quando l’ebe fatte ed egli le fece suggellare alo re e mandoe per Braguina. E quando madonna Isotta intese che mandava per Braguina, e madonna Isotta crede che messer lo re sí vuole ch’ella faccia alcuno messaggio. Allora sí andoe Braguina davante a lui, e lo re sí gli comanda che debia fare questo messaggio, e che debia andare a T. a portargli queste lettere, «ch’io sí gli perdono mio maltalento e ch’egli debia tornare sicuramente». E Braguina dice che questo messaggio fará ella volontieri. Allora sí parte Braguina e torna ala camera di madonna Isotta e contale lo messaggio che lo re vuole ch’ella faccia a T. Allora disse madonna Isotta: «Io credo che questo sia piú per male che per bene di T. Ma tutta fiata mi saluta lui e tutti li suoi compagni mille fiate da mia parte». E Braguina dice che lo fará volontieri. A tanto sí parte Braguina e monta a cavallo con compagnia di due iscudieri, e partonsi dala corte e vassine a T. E quando T. la vide, sí disse incontanente: «La nostra pace è fatta, dappoi che Braguina viene a mee». Allora si giugne Braguina a T. e saluta lui e li suoi compagni da parte di madonna Isotta mille fiate, e poi sí gli diede lettere, le quali lo re gli avea date. E dappoi che T. ebe lette le lettere, sí si torna inverso la cittade ed andò in corte delo re Marco e saluta lui e tutta sua compagna. E lo re sí gli rende suo saluto cortesemente, sí che giamai non parve che v’avesse discordia.

E istando in tale maniera, Ghedin che di male pensare non cessa, cola damigella malvagia e’ disse: «Tienti a cura di ciò che T. fae». Ed ella disse che questo fará ella volontieri. La sera venendo, e la malvagia damigella [disse]: «Istasera de’ andare T. a madonna». Allora Ghedin s’aunoe tutti li parenti di coloro che T. avea morti e comandò loro che incontanente fossero armati e apparecchiati alo palagio, [p. 117 modifica] dappoi che la notte venisse; ed egli dissero che questo faranno eglino volontieri per vengianza de’ loro parenti. E dappoi che la notte fue venuta, li cavalieri fuerono armati ed apparecchiati e andarono alo palagio del ree. E Ghedin sí gli mise tutti intorno ala sala, appresso ala camera di madonna Isotta, e disse loro: «Se T. viene quae, feditelo arditamente e voi lo pigliate o morto o vivo, sí ch’i’ l’abia». E li cavalieri rispondono che se T. vi viene e’ non potrae campare in nessuna maniera di mondo. E T. che di queste cose non si prende guardia, da che a lui parve ora sí si mosse e venne a sua donna, e tanto istae nelo giardino che la luna sí si fue coricata. E perciò s’indugioe, perché la luna gli disturbava troppo. E dappoi che fue coricata la luna ed egli si montoe su per l’albero e poi in sula finestra delo palagio dela reina, e quando fue dentro in dela sala, quivi sí erano tutti li cavalieri. E li cavalieri vediano bene T., ma T. non vedea loro. E T. andoe piú oltre ala camera dela reina e trovoe che la reina sí dormia e tutte le damigelle altressie, salvo che Braguina, e Braguina sente bene T. venire. E incontanente sí si ispoglioe allato ala reina e la reina no lo sente: ma poi che T. fue nel letto e la donna sí si isveglioe e trovossi T. allato e incontanente sí lo comincia ad abracciare ed a basciallo ed a farne grande gioia.

E istando in grande sollazzo co madonna Isotta, e la falsa damigella sí si levoe ed andò a Ghedin e disse: «Ghedin, T. sí è in camera con madonna Isotta». Ed egli disse: «Non può essere, che s’egli fosse passato, bene lo dovere’ io aver veduto». Allora disse la damigella: «Or ti lieva suso, ché voi troverete T. co madonna Isotta». Allora sí si leva Ghedin e vestesi e apparechiasi e viene ala camera del re e truova lo re dormire, ed egli lo isveglia e dice: «Re Marco, ista suso, che voi troverete T. con madonna Isotta». E quando lo re intende queste parole, si levoe suso incontanente e sí prende l’arme e incomincia a gridare «all’arme all’arme, cavalieri, e venitemi dietro». Allora sí si parte lo re dela sua camera e viene inverso quella di madonna Isotta. Allora Braguina, [p. 118 modifica] odendo lo romore deli cavalieri, si chiama T. e dice: «T., suso, ch’eco lo re che ti viene per distruggere». E T. incontamente sí si leva e vestesi e apparechiasi [e prende uno suo mantello e avòlleselo al braccio] e prende la spada ed esce fuori dela camera e trovoe li cavalieri nela sala che l’aspettavano, che vegnono inverso lui. E T. quando li vide venire, incomincia a dire: «Or dunque avete tanto d’ardimento che voi venite a ponere guato per mee? Ma per mia fé caro raccatterete». Allora sií mette mano T. ala ispada e fiede a uno di quegli cavalieri in sula spalla appresso al collo, e diedegli sí grande colpo che l’asbergo no lo difese, che no gli tagliasse la spalla con tutto lo braccio. E dappoi sí viene incontra all’altro cavaliere e fiedelo sopra l’elmo e passagli l’elmo e la cuffia del ferro, si ch’alo tirare dela spada sí cadde in terra morto. E dappoi sí si ne viene T. incontra agli altri cavalieri cola spada in mano, ed allora tutti li cavalieri incominciarono a fuggire. E T. perché si sentia disarmato e perché alcuno colpo no gli potesse venire, sí ne venne incontra la finestra e saltoe dala finestra in delo giardino, sí che quello salto si fue per altezza XXX piedi. Or sí ne viene T. inverso li suoi compagnoni e disse loro tutto ciò che gli era avenuto. Allora i cavalieri sí si levano e prendono l’arme e stanno armati dentro dala casa.

Ma lo re Marco lo quale venne ala camera e trovoe due cavalieri morti, credendovisi trovare T. Ed appresso sí disse: «Ov’è T.? no l’avete voi preso!» E que’ dissero: «Messer noe, ché intanto che venne intra noi sí uccise due cavalieri». E lo re vedendo li colpi che T. avea fatti, sí disse incontanente: «Bene sono questi de’ colpi di T.». Allora disse lo ree: «Oi lasso! T., perché se’ tu disleale inverso di mee? ché se tu non fossi disleale inverso di mee, nel mondo migliore cavaliere di te non avrebbe». Allora comanda lo re che li due cavalieri che sono morti si siano tratti fuori del’albergo e siano sotterati; e fue fatto suo comandamento. Allora venne lo re ala reina e disse: «Dama, dappoi che voi mia onta procacciate, e io vostra onta e vostro damaggio procacceroe. [p. 119 modifica] Imperciò che voi sí m’avete fatti molti damaggi. L’uno sí è che voi sí m’avete tolto T. ch’è mio nievo, lo quale este lo migliore cavaliere del mondo, e se per voi non fosse, io no l’avrei perduto. L’altra cagione si è che voi sí m’avete aonito e perciò voi l’accatterete ben cara». E madonna Isotta a queste parole non risponde né non dice neuna cosa. Allora si comanda lo re che madonna Isotta sia presa e messa nela torre e recate le chiave a lui; e tutto fue fatto suo comandamento. Ed apresso di queste parole, lo re si andoe a dormire e tutti li suoi cavalieri. Ma la reina Isotta non potea dormire, ma pensa tuttavia delo suo amico T., in che maniera possa essere co lui ella. Ma con grande doglia trapassa quella notte la reina Isotta. E dappoi che fue giorno e uno damigello venne a T. e disse: «Novelle t’aporto assai maravigliose, che lo re Marco hae messa madonna Isotta nela torre e neuno uomo no le puote parlare». E quando T. intese queste cose, sí incomincioe a menare grande dolore e grande lamento e dice che giamai non cura d’andare piú a corte del re Marco, da che non puote vedere madonna Isotta. Allora incomincia forte a piangere ed a chiamarsi lasso e cattivo, né non mangia né non bee. E istette due giorni sanza mangiare. E quando lo re intende queste parole, che T. giace e non si leva, ed egli sí l’andoe a vedere. E quando fue a lui, sí gli disse: «Dolce mio nievo, e come istai tue?». E T. disse ch’egli avea grande male, sí come uomo ch’avea perduto lo mangiare e lo bere. Allora disse lo re Marco: «Tu hai in tutto fallito, ché tu aspeti da tale socorso che non lo potrai avere». Allora disse T.: «E dappoi ch’io non potrò avere socorso e io morto mi tegno in tale maniera». Molto è dolente lo re di ciò che vedea T. istare in cotale maniera, pensando nela sua prodezza e nela sua cavalleria, dicendo cosi, se T. muore, egli non avrá giamai molto onore. Allora sí parte lo re da T. e torna alo palagio molto doloroso e rinchiudesi nela camera sua, e incominciasi a chiamare lasso issé e cattivo e ’l piú disaventurato re che mai sia in del mondo. Ma T. istando ala finestra e guardando inverso la torre, lá dov’iera [p. 120 modifica] madonna Isotta, e tutto lo giorno non si leva dala finestra, infino che lo giorno dura, e dacché venne la notte ed egli incomincia suo lamento di pianto e di dolore. E questa vita gli dura per parecchi giorni. Sí che madonna Isotta le fue detto sí come T. no mangiava né non bevea, anzi istava pur in pianto per lo suo amore. Allora madonna Isotta sí chiamoe Braguina e sí le comanda ch’ella vada a T. «e sí lo saluta molto dala mia parte bene mille fiate, e sí lo priega dala mia parte che per lo mio amore e’ sí debia confortare, ch’io farò sí ch’egli verrá a mee». E Braguina disse che quello messaggio fará ella bene. Allora sí parte Braguina e viene a T. e sí lo saluta molto da parte di madonna Isotta e sí lo priega molto ched egli per lo suo amore si debia confortare, «impererò ti dico ch’ella giorno e notte non fina di piangere per lo tuo amore», pensando ch’egli iera in grande dolore per lei. «Ma tutta fiata sí ti priega che tu ti conforti, ch’ella fará sí che voi verrete a lei». E quando venne la sera e Braguina tornoe alo palagio del re. E T. assai si conforta di ciò che gli ha detto Braguina. E l’altra sera vegnente sí venne Braguina a T. e recogli un vestire di damigella. E dappoi che fue sera e Braguina si mise questo vestire indosso a T. e partesi co lui e venne alo palagio. E passando per la sala e lo re Marco vedendo questa damigella, che non iera usato di vederla, disse: «E Braguina, chi è quella damigella?». Ed ella sí gli disse ch’iera una damigella, la quale iera venuta d’Irlanda. Allora sí andoe T. indela camera dela torre a madonna Isotta e fanno grande sollazzo insieme e coricansi ambodue nel letto e istanno tutta la notte in grande sollazzo. E lo matino sí si leva madonna Isotta e vienesine a stare nela sala coll’altre damigelle, perché neuna persona non si ne pensasse nulla di T., ch’iera rimaso nela camera dela torre nel letto sanza saputa d’altrui.