La leggenda di Tristano/XII

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XI XIII

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XII. — Ma dappoi che Belicies seppe che T. s’iera partito dalo reame di Gaules e andava per dimorare in Cornovaglia, incominciò a fare il maggiore pianto ch’unqua mai fosse fatto per neuna damigella, dicendo ella infra se istessa: «Dappoi [p. 20 modifica]che s’è partito colui cu’ io amava piú che me e ora no lo veggio si come io solea fare, conosco e sento che amore mi distringe in tale maniera che oramai la mia vita poco puote durare. E imperciò ch’io n’abbo inteso che la morte è la piú dolo[ro]sa cosa ch’altri possa sofferire; ma a me la morte tornerá in dolzore, dappoi che lo mio amore campai dala morte. E perciò io voglio morire con quella ispada cola quale T. dovea essere morto». E allora la damigella si chiamò uno iscudiere, lo quale iera gentile uomo, e fecegli giurare di tenere credenza «tutto ciò ch’io ti diceroe». Ed appresso la damigella si gli disse: «Io voglio che tue mi faccie uno mesaggio, che vada da mia parte a T. e portigli mille salute dala mia parte e daragli questa lettera, la quale io ti darò ed apresso si gli presenterai questa bracchetta dala mia parte, la quale è la piú bella e la migliore che cavaliere potesse avere. E anche si gli menerai lo mio distriere, lo quale è lo migliore ched egli unque avere potesse. Ma tuttavia si voglio che tu gli dichi da mia parte che egli per lo mio amore si ti tenga con esso lui. E imperciò si voglio che, anzi che tu da me ti parti, si voglio che tu veggi la morte ched io faroe per lo suo amore». E allora si prese la damigella la spada e puose lo pomo in terra e la punta si si puose dirittamente per me’ lo cuore, e disse: «Dolce mio amico T., ognuomo sappia ched io m’uccido per lo tuo amore». E incontenente si lasciò cadere in su la spada e fue morta incontanente. E lo scudiere, dappoi che vide morta la damigella, montò a cavallo e prese la bracchetta e la lettera e partesi dala corte delo re Ferramonte e tanto cavalca quanto puote a sue giornate, che giunse a T. appresso d’uno castello, lo quale si si chiama Tintoil. Ma Governale, guatandosi indietro, vide questo iscudiere che cavalcava appresso di loro e disse a T.: «T., eco uno uomo a cavallo». E T. disse: «Io l’aspetteroe, ché giá per uno uomo non deggio io fuggire». A queste parole lo scudiere fue giunto e saluta T. cortesemente e T. li rende lo suo saluto. Appresso disse: «Io si vi saluto da parte di Belicies, la figliuola delo re Ferramonte, la quale vi manda [p. 21 modifica] per me questo distriere e questa bracchetta, la quale è la migliore e la piú bella che si possa avere. E si vi manda a dire che voi mi dobiate ritenere con voi». E T. il domanda e disse: «Sai tu il mio nome e mio convenentre?». Ed egli rispuose e disse che sie. «E dunque io sí ti comando che tu non debie dire il mio nome né mio convenentre a nessuna persona sanza mia parola». E lo scudiere dice che questo farà egli volentieri». E allora diede la lettera a T. e T. aperse la lettera, la quale si dicea cosíe: