La liberazione della donna/I/7

Da Wikisource.
I. La donna e i suoi rapporti sociali
7. La donna nell'esclusione del diritto

../6 ../8 IncludiIntestazione 27 giugno 2008 75% saggi

I - 6 I - 8


«Tutti gli uomini hanno la stessa natura
e gli stessi attributi; donde nasce per tutti
l'identità dello stesso fine e degli stessi
doveri.»
Tamburini, Corso di Filosofia Morale


Basato il diritto sulla facoltà, non individuale ma generale alla natura umana, visto essere il diritto la legittima pretesa d’ogni essere allo sviluppo delle facoltà proprie del suo tipo, ed a tutte compiere le funzioni che gli fanno raggiungere il suo fine; io non mi dilungherò a provare, che la donna, essere umano, non ha diritto di meno dell’uomo, finché non usurperà il sacro nome di diritto il privilegio...


... Per la necessaria influenza, che la legislazione esercita sulla opinione, i costumi vi si uniformano e creano delle prevenzioni e dei pregiudizii, che durano imperterriti davanti alla guerra che loro combattono la ragione ed i fatti.

Ora, avendo le leggi tutte, quali piú, quali meno, inferiorizzata la donna, questa disistima si estese eziandio alle sue produzioni, benché la ragione ed i fatti provino tutti i giorni, che il lavoro della donna è nobile, è necessario, è perfetto, quando anche non è identico a quello dell’uomo.

Questa disistima della produzione femminile fa sí, che la donna debba starsene per una misera mercede da mane a sera inchiodata ad un lavoro penoso, non guadagnando talora pur tanto da levarsi la fame.

E negli stabilimenti d’industria e di speculazione non è ella cosa convenuta, che la donna debba al par dell’uomo affaticare e produrre per una mercede assai più scarsa?

Né si dica, che la donna ha meno bisogni. In regola generale il lavoro dev’essere retribuito in ragione del suo intrinseco valore, e non già in vista del maggior o minor bisogno dell’operaio. Che se amano carità e filantropia largheggiare nella mercede là dov’è urgente e grave il bisogno, vuole la piú elementare nozione di giustizia, che l’opera sia retribuita per non meno di quel che vale.

D’altronde, che cosa significa questo che la donna ha meno bisogni?

Quando si tratta di darle l’esercizio d’un diritto, allora diventa, la donna, la creatura dai mille bisogni e dalle molteplici esigenze. Allora vengono in campo le frequenti malattie, le perpetue lesioni nervose, le crisi inevitabili, i lunghi squilibri, e si vuol vedere uno stato morboso e patologico perfin nelle leggi puramente fisiologiche, che reggono il suo modo d’esistenza, per dimostrarla impotente, non che a muoversi dal suo scanno, neppur a far atto di presenza ad un atto legale di nascita o di matrimonio, sprofondata in un seggiolone.

Ora, questa creatura, che si vuol fragile come una piuma di cigno, diviene ad un tratto d’una potenza erculea per affaticar tutto giorno come l’uomo, e meno di lui retribuirsi.

Eh, finiamola di contraddirci, e di porre le prevenzioni nostre al posto della natura. Il ricco vuole la donna esile, e tenta persuaderle che è di vetro affinché, stesa tuttodí su un morbido sofà, punto non pensi a controllare il governo maritale. L’uomo del popolo persuade alla sua donna ch’ella è vigorosissima, per vivere egli pure del suo lavoro, se accade, come spesso, al marito di amar meglio le gozzoviglie che la fatica.

A meno che non si vogliano calcolare, come altrettanto minor cifra di bisogni nella donna, l’ebbrezza alla quale generalmente l’uomo s’abbandona, ed ella no; il giuoco, vizio che l’uomo generalmente ha, e che la donna generalmente non ha; le frequenti gozzoviglie, che la donna operaia non conosce quasi, e nelle quali l’uomo del popolo affoga spesso il frutto del sudore della settimana, al quale avrebbe la sua famiglia sacrosanto diritto.

Ecco i minori bisogni che ha la donna; ma vi sono poi i maggiori, che tutti si risolvono in economie per il tempo delle malattie, per la stagione priva di lavoro, per le minute provvidenze della casa, delle quali il marito non conosce neppure il nome, per le vesti ai bambini e talvolta ancora il pane a che il padre non pensa, e non è sgraziatamente troppo raro il caso...


... A redimere la donna dalla tirannide di questo ingiusto costume, non v’ha che l’associazione organizzata su larga scala. Vuolsi perciò tentare ogni mezzo a persuadere alla donna del popolo, che l’associazione è moltiplicazione indefinita di potenza, ma che, ad esser feconda in risultati, non deve arrestarsi ad un mutuo soccorso, ma devono le contribuzioni delle associate costituire un fondo da convertirsi in materia prima.

Questa, lavorata poi dalle associate colla massima perfezione, sarebbe esposta alla vendita con prezzi piú rilevati dei comuni.

Ciascun membro sarebbe retribuito dalla società secondo il suo lavoro, e dedotte le spese d’acquisto della materia prima, si procederebbe ad epoche periodiche ad un’equa distribuzione degli utili.

È però necessario, che l’associazione si estenda siffattamente in ogni città e provincia che sia impossibile al compratore il provvedersi quei dati generi altrove che nel magazzino della società.

Senza di ciò l’emancipazione industriale della donna operaia resta affatto raccomandata al sentimento d’equità e di giustizia dell’uomo, e che cosa sia in diritto d’aspettarsene ella già sa, volgendo uno sguardo sulla condizione sua in tutti i secoli.

Già lo dicemmo altrove, la miseria nella donna suona prostituzione.

     Parent-Duchâtelet attesta, che sopra tre mila creature perdute in Parigi, 35 soltanto erano in istato di poter nutrirsi.
     

La legge poi, abbandonando alla donna tutte le conseguenze delle seduzioni, aggiunge anche il suo peso al giogo iniquo che già le gravita addosso, ed incoraggia l’uomo, che muove talora atroce guerra alla figlia del popolo.

Sono manufatturieri che seducono le loro compagne d’industria, sono proprietarii e direttori di fabbrica che minacciano il rinvio alla giovine che loro non si abbandona e che, atterrita dal lurido spettro del digiuno, cede, ed è poi messa alla porta; sono padroni che scacciano dalle loro case giovinette disonorate, le quali trovano poi chiuse in faccia tutte le porte e tutti i volti atteggiati a dispregio; e l’impossibilità di onesta sussistenza le fa pendere dubbiose e tremanti fra l’infamia ed il suicidio.

Ed invero, privata la donna del diritto industriale, chiusele davanti tutte le professioni, ridotta a vivere di poche industrie di infima retribuzione, ella è completamente alla discrezione di chi possa fornirle un po’ di lavoro...


... Ha dessa la società un bricciolo di quel sentimento d’equità e di giustizia di cui pur mena tanto scalpore, quando, mentre propugna per l’uomo libertà, e domanda assiduamente attività di commercio, circolazione di danaro, dilatazione del diritto, e freme e scalpita se l’ombra sola d’un dispotismo mostra di volerlo ledere in qualche parte, si fa poi lecito di menar colpi da orbo attraverso alla donna che, dopo avere con ogni sacrificio ed entusiasmo favoreggiato tutte le libertà, cerca ora la sua?

Avendo la donna al par dell’uomo speciali attitudini, ha al par dell’uomo altresí diritto di svilupparle ed applicarle; questo c’insegna il principio del diritto ingenito. Vi ha diritto perché, avendo diritto al lavoro, in lei sola sta la scelta del suo lavoro; vi ha diritto perché praticamente e realmente ella lavora e produce; e nella industria e nel commercio, e nelle arti e nello insegnamento ella trovasi già su larga scala, e spiega a quest’ora delle attitudini, che si avrebbe forse avuto, non ha molto tempo, prurito di negarle. Vi ha diritto finalmente, perché la società alla sua volta ha diritto, che la funzione venga esercitata da chi può meglio; e però, se fra piú concorrenti, una donna mostra maggior idoneità, ella fra tutti vi ha diritto.

La donna fu ed è sempre considerata come fuor della legge, coll’aiuto della sua debolezza che si ha ogni studio ed ingegno di esagerare fino al ridicolo, e coll’opportuna messa in iscena della sua pretesa incapacità, a smentire la quale sorgono dovunque invano splendidi fatti.

Indarno le prosperità di mille case di commercio, di mille stabilimenti industriali attestano ed affermano i suoi talenti finanziarii ed amministrativi.

Indarno le mille e multiformi produzioni del suo spirito fanno fede della svegliatezza e fecondità del suo ingegno.

Invano regine e principesse, le cui splendide e recenti gesta non sono ad alcuno ignote, con saggio governo e con ogni forma di politico reggimento felicitando i popoli, e prosperando le sorti delle nazioni loro affidate, fecero e fanno fede dei talenti politici della donna.

Indarno si odono tuttodí donne del popolo, coi loro schietti parlari, rivelarsi calde parteggiatrici, e darci della loro politica intelligenza una misura che non ci aspettavamo.

L’opinione, o meglio la prevenzione pubblica, alla quale ormai non si può levar taccia di mala fede, si copre gli occhi, si tura le orecchie e ripete imperterrita: la donna è incapace.

Ora, se si può vincere il pregiudizio, la mala fede non si vince; ma rimarrà pur sempre vero che, essendo il diritto politico (non mi fermerò a discutere se con torto o con ragione) fondato sulla proprietà, ed essendo riconosciuta, affermata, e soprattutto aggravata la proprietà femminile al par della maschile, la donna è dalla legge una volta ancora lesa e violentata.

Non bisognava imporre alla donna una dote per maritarsi, non bisognava obbligarla al lavoro per mantenersi, non bisognava che ogni Adamo del secolo decimonono scaricasse addosso alla sua rispettiva Eva metà, e talora tutto il peso della sua condanna, ed allora si avrebbe potuto negarle la proprietà, che non può essere che prodotto del lavoro; e con quella e con questo, a monte i diritti civili, a monte i diritti industriali, a monte i diritti politici; e la dinastia virile sarebbe stata felicemente regnante fino alla consumazione dei secoli.

Questa verità viddero i moderni novatori, epperò gli amici della donna le dicono, lavora; e gli avversari della sua redenzione si sbracciano a predicarle, ch’ella è di vetro e che arrischia di rompersi, muovendo un dito.

Fortunatamente Proudhon, grande nemico della libertà femminile, arrivò troppo tardi ad avvertire i suoi compagni che il lavoro è il grande emancipatore...


... Certi spiriti piccoli, ed incapaci di elevarsi fino agli incontrastabili principii della giustizia, sorridono di stupida sorpresa ad ogni idea, che loro giunga d’oltre la angusta cerchia abituale delle loro menti; ma siccome non è d’obbligo, la Dio grazie, né la loro licenza, e tanto meno il loro intervento per rivoluzionare cosí nell’ordine delle idee, come in quello dei fatti; cosí, con loro buona pace, il movimento emancipatore della donna, che ebbe ad iniziatori altissime individualità dell’uno e dell’altro sesso, non potrà assopirsi e neppure arrestarsi, meglio di quel che si possa por argine al torrente precipitoso ed irrompente del principio delle nazionalità.

È il logico corollario delle nuove idee, che si son poste in circolazione negli umani cervelli; bisogna subirlo.

D’altronde, l’uomo e la donna non furono mai cosí perfettamente d’accordo come oggidí. Né l’uno né l’altra credono piú a nessun diritto divino, né a nessun monarchismo che non sia voluto dal libero suffragio dei governati.