Vai al contenuto

La mia vita, ricordi autobiografici/XVII

Da Wikisource.
Capitolo XVII. Primi tentativi di volo

../XVI ../XVIII IncludiIntestazione 4 dicembre 2017 100% Da definire

XVI XVIII
[p. 103 modifica]

XVII.

Primi tentativi di volo.
Altre conoscenze preziose.

Il babbo, senza possedere una vera e propria coltura, era dotato di sufficiente buon senso per capire che un po’ d’ordine e un certo regolare indirizzo nei miei studi non m’avrebbero fatto male. Nè io potevo dargli tutti i torti. Io ero e sono una impenitente sostenitrice della istruzione occasionale, volontaria, cercata dallo stesso educando e stimo quella sola efficace e atta a recar buoni frutti: pur tuttavia sentivo che quelle mie vere orgie di letture disparate, quell’assenza totale di consigli illuminati e autorevoli mi nuocevano, mi circoscrivevano troppo nel mio piccolo io. Sentivo soprattutto il bisogno di mettermi a contatto con qualche alta intelligenza, con qualche nobile e ferrea volontà che alimentasse di nuove vigorie la mia, spesso debole ed oscillante.

— Ti voglio presentare al mio vecchio amico Atto Vannucci — mi disse un giorno. — Preparati a questa visita.

Io conoscevo già il Vannucci per fama, ma non avevo letto di lui che i Martiri dell’Indipendenza Italiana, Mi procurai subito la Storia dell’Italia antica e vi detti una scorsa generale tanto per formarmi una idea complessiva dell’indole e dell’importanza del lavoro. Chi m’avesse detto che poco dopo avrei ricevuto [p. 104 modifica]questa bellissima opera dalle mani stesse del Vannucci con una dedica da farmi insuperbire!

Rivedo ancora come se l’avessi presente il simpatico vecchio, dalla fisonomia calma e riposata, dallo sguardo fiero e dolce nello stesso tempo! Aveva la faccia completamente rasa e quantunque, da un pezzo, non vestisse più l'abito sacerdotale, era vestito scrupolosamente di nero, come chi porta il lutto di qualche cara ed alta idealità perduta.

Appena vide il babbo, corse ad abbracciarlo, movendogli mille interrogazioni su Vernio (paesello natale del grande storico), su Prato e soprattutto su Montemurlo.

— Lei conosce bene Montemurlo? — gli domandai commossa.

— Se lo conosce! — esclamò il babbo con vivacità. — Egli ci ha detto messa e ha confessato insieme col Bindi e con l’Arcangeli! Non è vero, Atto?

Il babbo non fu felice in quella sua evocazione, poiché una nube di tristezza si distese sui nobili lineamenti dell’amico, che abbassò il capo senza rispondere: ma fu un momento, dopo di che, il Vannucci domandò tutto festoso:

— Hai fatto tanto bene, Poldo, a condurmi la tua figliuola! E che fa di bello questa buona giovinetta? Studia? Va a scuola?

Così incoraggiata, gli raccontai tutto di me, delle mie letture, dei miei studii disordinati, della mia voglia di rendermi utile.

— Studiare disinteressatamente per amor dello studio, è una cosa — rispose. — Studiare per giungere al fine di utilizzare le proprie cognizioni, è tutt’altra. [p. 105 modifica]

— Bisognerebbe poter conciliar le due cose — osservai timidamente, ma con la mia solita franchezza che non dispiacque al Vannucci.

— Che dice dell’insegnamento? — mi domandò.

Feci un po’ di boccuccia. Adoravo i bambini, ma all’insegnamento elementare non ci avevo pensato fino allora, quantunque da qualche tempo io dessi dei consigli in proposito alla Stella Pacetti, che, come ho detto, si trovava da qualche tempo a Firenze in casa mia.

— Se non c’è altro.... — risposi.

— Alla scuola normale si studia assai bene — riprese il Vannucci. — C’è la signora Marianna Giarré-Billi che insegna squisitamente l’italiano.

Al nome della chiara Donna, onore della scuola e delle lettere italiane, il mio viso dovè illuminarsi tutto, poichè il Vannucci mi domandò:

— La conosce?

— Di fama soltanto e per aver letto i suoi dolci versi. Quanto mi piacerebbe di conoscerla personalmente, di chiedere anche a lei consiglio ed aiuto!

Il signor Atto mi fece subito un bigliettino di presentazione per la signora Marianna e mi pregò di tornar presto da lui.

— Le darò dei libri, mi disse sorridendo, e chiacchiereremo un po’ insieme.

Non è a dire se il babbo ed io uscissimo contenti da quella visita. Scendendo le scale, domandai a mio padre se quella bella casa di via dell’Orivolo appartenesse al Vannucci. [p. 106 modifica]

— No — mi rispose — essa appartiene al prof. Augusto Franchetti, un altro illustre letterato, un grecista insigne che forse conoscerai frequentando il Vannucci di cui il Franchetti è amicissimo.

Chi avesse detto al babbo che qualche anno dopo io sarei entrata come maestra ed amica in quella dolce casa ospitale e che avrei debolmente aiutata la signora Norina Franchetti ad educare le sue due bambine, le mie carissime Luisina e Laura, a cui non posso pensare senza provare una vivissima commozione? Ma della casa Franchetti e delle due buone signorine affidate alle mie cure, parlerò con maggior larghezza in altro luogo di queste pagine.

Dopo pochi giorni della mia prima visita al Vannucci, mi presentai alla signora Marianna Giarré-Billi che mi accolse com’ella sola, forse, sa accogliere: con fine cortesia di dama e con tenerezza materna. Mostrò d’interessarsi a me, m’incoraggiò ne’ miei studi e — come il Vannucci — mi consigliò a farmi una posizione modesta ma sicura nell’insegnamento. — Mi duole — aggiunse — che le cure e i doveri della mia imminente maternità non mi consentano di occuparmi direttamente di lei e di far pago, così, il desiderio del nostro illustre Vannucci. Ma la indirizzerò a una valorosa giovane che ha intrapreso lo studio delle discipline pedagogiche e potrà darle le lezioni e gli schiarimenti che faranno più al caso suo. [p. 107 modifica]


Io desidero, scrivendo, che pagine sieno monde d’ogni rancore e d’ogni risentimento: ma non potrò mai tacere il vero, specialmente quando questo vero avrà, in qualche modo, influito sulle mie convinzioni o sulle mie determinazioni.

La signorina a cui mi presentò la signora Billi-Giarré è oggi una degna signora da tutti stimata per le sue nobili virtù di donna, di moglie e di madre.

Ma in quel tempo — sia che il suo temperamento nervoso fosse più del solito eccitato, sia che la mia persona le ispirasse una vera e propria antipatia fisica — è un fatto che ella non si mostrò meco né buona, né cortese. Mi ricevè in modo altero, quasi sprezzante, dandomi del voi, parlandomi brevemente di orario, di lezioni, di compensi.

Mi ritirai confusa, balbettando poche parole, decisa, decisissima a non entrare in una classe sociale i cui rappresentanti davano sì scarse prove di gentilezza e di amabilità.

Ma il Signore aveva deciso altrimenti.