La mia vita, ricordi autobiografici/XVIII

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Capitolo XVIII. Come divenni maestra elementare

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Capitolo XVIII. Come divenni maestra elementare
XVII XIX
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XVIII.

Come divenni maestra elementare.

(1871).

Le mie condizioni finanziarie e l’avvenuta separazione da mio marito, mi obbligarono a ventun anno a trar profitto dalle mie svariate attitudini per provvedere al mio sostentamento. Il babbo che ritraeva appena cento lire al mese dal suo impiego al Comune, faceva già molto tenendomi in casa: nè io, d’altra parte, avrei permesso ulteriori sacrifici.

Eppoi, come ho detto più volte, mi pareva strano, quasi indecoroso che le donne dovessero vivere a totale carico dell’uomo sotto lo specioso pretesto di cuocergli il desinare e di rammendargli la biancheria. Come se tutta la giornata potesse venire assorbita da sì importanti occupazioni!

L’esempio della Stella Pacetti mi stimolò a tentare gli studii occorrenti al conseguimento del diploma elementare e fui tutta felice e sorpresa quando acquistati i libri necessari, mi accorsi di saperne gran lunga più di quanto prescrivevano i programmi!

Non solo mi erano famigliari le Sacre Scritture (allora era obbligatorio lo studio della Storia Sacra), l’Imitazione di Cristo, le Confessioni di Sant’Agostino, il Segneri e qualche Padre della Chiesa; ma conoscevo bene la storia patria, la geografia, la nomenclatura elementare delle scienze naturali; sapevo a memoria i [p. 109 modifica] canti più belli della Divina Commedia e avevo un’infarinatura generale di tutte le letterature straniere moderne: Victor Hugo, la Sand, il De Musset, Saint-Beuve, Goethe, Walter Scott, Lord Byron mi avevano insanabilmente ammaliata.

— L’osso duro lo troverai nella pedagogia — mi disse la Stella con malizia.

Ebbene, no, non lo trovai. I volumi di pedagogia che mi vennero fra le mani, oltre all’essermi cagione d’infinito diletto, furono per me come una rivelazione. Mi parve che una persona molto dotta e molto sensata mi traducesse in belle parole evidenti ciò che da tanto tempo turbinava confusamente nell’animo mio: e quei volumi (mi pare che fossero del Vecchia e del Rayneri) mi furono facile gradino a letture filosofiche più severe nelle quali trovai un vero compiacimento.

L’aritmetica sì, e le aridezze grammaticali mi seccarono un po’ sul principio. Ma, consigliata e aiutata dal Comm. Gustavo Pucci, direttore del nostro Ospedale degl’Innocenti e allora insegnante elementare nelle scuole del Comune, finii con l’innamorarmi anche de’ numeri e durai qualche settimana a comporre e scioglier quesiti, anche complicatucci, così come oggi mi diletto a indovinare sciarade e rebus. La sola analisi logica (non la vera che è fonte di meraviglioso diletto) come s’intende nelle scuole elementari, m’indignava con quelle sue sciocche divisioni e suddivisioni di proposizioni! Ma ne studiai solo quel tanto che poteva occorrermi e non ne volli saper di più.

A farla breve, in tre mesi mi preparai all’esame che fece di me una della tante maestrucce del bello italo regno. [p. 110 modifica]

Fu in quell’occasione che conobbi Pietro Dazzi, esaminatore d’italiano. Il mio componimento (Il dolore educatore) lo colpì non tanto per una certa eleganza di forma quanto per l’originalità delle idee e degli apprezzamenti.

Mi chiese degli schiarimenti sui miei studii, sulle letture fatte fino allora e mi consigliò a dar loro un ordine, un indirizzo determinato sotto la guida d’un buono e colto insegnante.

— Ma un insegnante quale mi consiglia lei e quale lo vorrei io, non si trova così facilmente — osservai sorridendo con malinconia — e ammesso che si trovi, è una merce troppo cara per le mie condizioni economiche. Ella capirà che non ho preso il diploma per far del dilettantismo pedagogico...

— Intendo, intendo — rispose l’egregio uomo diventando rosso come una ragazzina, già dolente di aver provocato quella mia dolorosa risposta. Ma — aggiunse imbarazzatissimo — se ella, pel momento, fosse contenta di un pedante che l’aiutasse a ordinare le sue idee... a stabilire un metodo di studii ben fatti...

— Ebbene? — domandai commossa.

— Ebbene, quel pedante potrei, se crede, esser io. Studieremmo insieme — aggiunse con squisita delicatezza.

Ed ecco come Pietro Dazzi divenne il mio maestro, quel maestro amato a cui dedicai più tardi il mio primo libro: Le memorie d’un pulcino e che, morto da ben sei anni, è ogni giorno più vivo nel mio pensiero riconoscente. [p. 111 modifica]

Ed ora due parole sui sistemi pedagogici di quel tempo (1871-78) applicati nelle scuole elementari del Comune di Firenze. Non desiderando che questi miei appunti biografici dieno argomento a pettegolezzi e, peggio ancora, a malignità, tacerò il nome della scuola e degl’insegnanti alla cui ombra io feci il mio tirocinio di maestra.

Si era al tempo del Sindaco Peruzzi e le classi venivano divise in: Preparatoria dove si accoglievano indistintamente tutti i bambini dai quattr’anni in su (gli inscritti qualche volta superavano perfino gli ottanta!); la Prima Inferiore, la Prima Superiore, la Seconda, la Terza e la Quarta.

Naturalmente fui messa in Preparatoria.

Alla vista di tutte quelle creaturine pigiate nei banchi, obbligate ad una data posizione delle braccia (in seconda) mi sentii assalire da una calda onda di pietà e per quei mirabili istinti materni che sono in tutte le donne, avrei voluto attirarli tutti vicini a me, abbracciarli, baciarli, rivolger loro mille domande, divertirli con delle belle novelle, fare un po’ di chiasso con loro, ecc.

Ma la maestra della classe dopo avermi salutata con una certa solennità, mi rivolse queste testuali parole:

— È la prima volta che entra in una classe?

— Sì signora.

— Ella non saprà quindi tener la disciplina...

Pensai subito al Rayneri, alle mie letture sulla psicologia infantile e fui sul punto di rispondere, quando [p. 112 modifica] la signora X mi pose in mano una lunga bacchetta, dicendomi:

— Questa le gioverà.

— Sarebbe a dire?

E guardai la bacchetta con una espressione di stupore cosi comico che la signora X proruppe trionfante:

— Eh, loro signorine, fresche di studii, non hanno alcuna idea della pratica della scuola... Ecco che cosa farà della bacchetta: Quando si accorgerà che qualche alunno o più alunni non presteranno attenzione alle mie spiegazioni, batterà forte sui banchi in modo da riscuoterli...

— E ciò non la disturberà, signora? — domandai sorpresa.

— Niente affatto. Circoli fra le file e batta pure con quanta forza ha. Ella non riuscirà a dominar la mia voce.

— Curiosa! — mi arrischiai a dire — avevo letto che bisogna parlare piano per richiamar più facilmente l'attenzione del fanciullo.

La signora X dette in una gran risata.

— Non dia retta ai libri — mi consigliò — ma ai miei suggerimenti. Sono una vecchia maestra e del metodo me ne intendo.

— Non ne dubito...

— Del resto — aggiunse — la bacchetta serve anche per l'insegnamento della lettura simultanea.

— Ah!

— Vede? Ogni bambino ha il suo libro davanti. Ella siede in faccia a loro, dà il segnale della lettura e segna ogni pausa con una gran legnata sul banco. Ciò [p. 113 modifica] serve a mantener l’ordine necessario e a educare anche l’orecchio dei lettori.

Ero a dirittura annichilita. Ma tutto questo era ben poca cosa confrontato al rimanente.

Subito dopo tornati di ricreazione, la signora X mi consegnò un quaderno sudicetto anzi che no, pieno di una scrittura fittissima.

— In quest’ora — mi disse — non c’è da seccare gli alunni con delle lezioni serie. Hanno ancora il chiasso per la testa e mi confonderebbero un F con una frusta. Faccia far loro degli esercizi d’intelligenza...

E siccome la guardai con un paio d’occhi inebetiti, ella aggiunse con tuono di leggera impazienza:

— Ma dunque ella non conosce bene i programmi scolastici! Guardi: si tratta di domande e risposte su cose molto comuni. Ella faccia la domanda: i ragazzi le daranno in coro la risposta. E se ha dei dubbi, gl’interroghi pure separatamente. Sono due mesi che ripetono le stesse cose e dovrebbero saperle benone. Dia il segnale del cominciamento della lezione.

E giù la solita legnata sul banco con l’ordine imperioso:

— In seconda!

Aprii il quadernino e ciascuno immagini la mia meraviglia e la mia indignazione nel dare uno sguardo alle seguenti domande:

1. Chi è Dio?

Dio è un purissimo spirito, ecc.

2. Di quali facoltà intellettuali ha dotato l’uomo?

Di memoria, volontà, immaginazione.

3. Che cos’è la volontà?

E i poveri piccoli martiri rispondevano, oh come [p. 114 modifica] rispondevano! In modo così preciso da strappare il cuore!

L’aritmetica (consistente nel contare e sottrarre sul pallottoliere dall’uno al cento e viceversa) veniva insegnata per mezzo d’una cantilena monotona, interrotta, ad ogni diecina, dalla solita bacchettata. E così si istruivano e si conducevano fino all’esame finale centinaia e centinaia di poveri bambini innocenti! Il professor Dazzi a cui raccontai tutto, mi disse:

— Ella ha ragione, ma pel momento taccia e non si metta in urto con nessuno. Se riuscirà, come non ne dubito, a guadagnarsi il cuore della signora X, che in fondo è una buona donna e agisce in perfetta buona fede, non Le sarà difficile persuaderla a mutar sistema...

— Ma i direttori, le direttrici locali...

— Non ne parliamo. Ma non creda — aggiunse — che tutte le maestre elementari di Firenze sieno come la signora X... Ve ne sono delle valenti, delle brave. Cercherò piuttosto di farle mutare scuola al nuovo anno...

Seguii il consiglio dell’amico e non me ne trovai male. In capo a due o tre mesi ci davamo del tu con la signora X, ed ella mi lasciò fare in classe quanto mi pareva e piaceva.

Mutai altre scuole, ma i sistemi, su per giù erano quelli: le classi, un accasermamento di poveri ragazzi pigiati sui banchi come le sardine in una botte: gl’insegnanti tanti poveri pastori scontenti, armati di un bastone per tener nelle file il gregge. Da questi ultimi mi piace però di eccettuare la signora Vittoria Sorelli-Gerbi, una piccola signora tutta vivacità e buon senso, un bravissimo giovane, certo Carlo Gallo, che finì [p. 115 modifica] miseramente i suoi giorni nei gelidi gorghi dell’Arno, Gustavo Pucci, elegante parlatore ed insegnante pieno di fascini, Corilla Signorini, un angelo di ragazza troppo presto rapita alla scuola e alla famiglia, la signora Adelaide Bartolucci, una cara donna a cui la popolare istruzione deve non poco; le sorelle Marini, le sorelle Scartabelli, Guido Ruffino anch’esso mancato alcuni anni sono per la mala riuscita di un’operazione chirurgica e la brava Elisa Cappelli che oggi gode una meritata fama di scrittrice elegante e garbata.