La piccola Kelidonio/I

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I. Philiscos a Mnasika

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La piccola Kelidonio II


Quella giovane birba di Seso ha risposto ieri alle sollecitazioni di Geron, vecchia bertuccia spelata che non si accorge di divenire di giorno in giorno sempre più ripugnante, come meglio non si poteva.

Tutti che l’abbiamo udito, abbiamo riso, applaudendolo della opportunità delle parole e della buona grazia e squisita colla quale egli le ha pronunciate.

Pensa che Geron, col suo fare solito da babbeo arricchito gli si era posto davanti tra lo sciocco e il pretenzioso a fargli i complimenti sulla fortuna d’aver per amica la più fresca delle nostre giovanette, Akkis, che tu conoscerai almeno per udita perché sempre il nome di lei, come una dolcezza ed un profumo ricorre sulle labra della nostra Glycera. Ed il vecchio facendo risuonare la scarsella ripiena di monete e col promettergli un polledro bajo di fresco comperato da un mercante persiano in rovina, (ottimo polledro leggero al corso e mansueto) lo voleva ridurre al baratto. Senza dire di più colli occhietti cisposi che gli brillavano sotto le palpebre basse e grinzose, come una brace mal spenta sotto il coperchio sdruscito di un vecchio fornello, lo accarezzava sulle spalle, gli si faceva accosto battendogli le coscie e lo tentava in mille modi.

Stuccatosi Seso dell’armeggio lungo e burlesco, finse di acconsentire accontentandolo e gli rispose: «E bene, Geron, io ti voglio regalare la mia amica: e questa è quella che sto per descriverti, e tu puoi chiamarla pure Akkis come vuoi e se ti piace. Costei non ha poppe spropositate e cascanti; non è punto vecchia; non è insolente e non si inebria; non è sudiciona e sa quanto le convenga dal libro d’Elephantis: ha in fine la bellezza insolita e speciale di vedere da un occhio solo, il destro, rosso ed abbruciacchiato mentre il sinistro è nero e senza luce, sbarrato come l’antro del Ciclope. Aggiungi un’altra grazia preclara: i suoi piedi senza dita sono fessi come quelli della capra; se la vedessi danzare, assomiglia ad una faunetta male addomesticata; ed è la femina che ti conviene, è della tua stessa famiglia, o Geron, caprone mal rigovernato».

E Seso gli voltò le spalle, lasciandolo confuso colle mani nodose che palpeggiavano ancora la sua inutile scarsella gonfia, così col sorriso tra il sì e il no, che il vecchio non sapeva come nascondere o mutare. Poi s’avvide che tutto il crocchio lo prendeva a burla; borbottò qualche parola, schivò i più prossimi, allontanandoli coi gomiti come un villano nei giorni di fiera tra la folla urlante, e saltabeccando, mezzo zoppo s’allontanò a guisa di un rospaccio, minacciando.

Ciò ti scrivo, o Mnasika, perché ti serva nelle tue conversazioni ed adoperi una ben tornita insolenza, memore di Seso, che non ti spiacque, a quanto dicono, quand’era imberbe. Ricordami a Glycera e sta bene.