La rivoluzione di Napoli nel 1848/12. Francesco Paolo Bozzelli

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12. Francesco Paolo Bozzelli

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[p. 40 modifica]12. Francesco Paolo Bozzelli che aveva alquanti anni esulato per aver partecipato alla rivoluzione del 1820, si era saputo orpellare di vaghe penne, stemperando [p. 41 modifica]in fanfaluche metafisiche qualche pagine triviali di pubblicista. Aveva opportunamente assunta la divisa di liberale, aveva vissuto povero e ritirato. Fu perciò creduto capo idoneo di un Comitato centrale che si formava in Napoli, e che doveva servire di mente e di cuore alla rivoluzione. Il sospetto sorse in vero in qualcuno, ma tosto fu soffocato, e si credette carità di patria non mettere la diffidenza nel consiglio stesso di Agramante. Bozzelli, d’intelletto volgare, di anima sterile e scettica, sapeva mentire come una cortigiana. Nato per essere commediante, ne aveva tutte le risorse, sino a mettere in evidenza con l’abilità dell’istrione le più meschine idee, le più vaporose frasi. Della scuola immorale e materialista dei dottrinari di Francia, informe caricatura di Guizot, ne parodiava l’intelligenza e la tristizia. Come lui preferiva le strade oblique in tutto: come lui non comprendeva che il passato ed il lato plastico della società. Per lui la libertà non aveva significato; l’avvenire non esisteva. Miope in politica, debole in dritto, arido in morale, ottuso nella coscienza, spregiudicato su tutti i principii, insensibile a tutte le sofferenze, profondamente egoista, scelleratamente gesuita, facile ad ogni genere di tentazioni, vuoto infine, comune, quest’uomo seppe sedurre con una mellifluità muliebre, seppe mascherarsi. Aveva nascosto il triviale dei suoi lavori scientifici sotto una veste alemanna nebulosa e fitta; celò la reità dei suoi disegni sotto le forme dell’entusiasmo, sotto l’evocazione del passato. La corazza di Baiardo coprì l’anima di Gano da Maganza. Fu creduto. L’effetto delle ombre, che tanto prestigio dà ai quadri di Rembrandt, riuscì anche a lui. Quell’aria di riservatezza, quel sussiego severo, quell’im[p. 42 modifica]portanza studiata, quel non palesarsi mai per intero, quella ciarlataneria infine che sanno sì bene improntare gl’impostori per cavare l’illusione di ottica, aveva trionfato. Assunse il governale della rivoluzione; se ne mise nelle mani le fila. Seppe tutto, conobbe tutti, penetrò nelle viscere della cospirazione, potette scandagliare gli uomini, le forze, i mezzi, lo spirito: misurò la macchina in tutte le sue proporzioni; ne esaminò ogni molla. Da allora il suo piano di campagna fu fatto. Aveva vissuto misero, perchè il governo non lo aveva trovato troppo pericoloso per comprarlo: era stato obliato, perchè la parte che aveva rappresentata nelle rivoluzioni passate era assai oscura e secondaria. Il momento giungeva per uscire dalla povertà e dalla oscurità. Gli uomini nulli che arrivano un istante a sorprendere e direi quasi a fascinare, presto o tardi sono scoverti e risospinti nelle loro proporzioni meschine. Egli vedeva questo tristo avvenire dinanzi a sè. Camminare di buona fede con i rivoluzionari era per lui periglioso: risolse servirsene di sgabello, conoscerli, venderli, rivelare tutto e salvarsi - salvarsi trascinando seco le spoglie opime: ingrassatus est et retrogradavit. Perciò gli era mestieri non compromettersi troppo, non far troppo inoltrare l’incendio per spegnerlo a tempo. Doveva dare alla sollevazione proporzioni meschine, stornare i mezzi, sedurre i capi, dirigere tutto di traverso, tutto dominare. Ed egli improntò di languore e di diffidenza il movimento: gli inoculò l’impotenza e l’infecondità, volgendolo verso una strada falsa e senza uscita: gli fece perdere l’opportunità; lo stornò dai propositi vigorosi e nobili di finirla compiutamente con un governo scellerato. [p. 43 modifica]Risospinti nel vago, gli spiriti si temperarono sotto l’incessante e gelida doccia delle sue parole; e ne seguì quel certo che di lento e d’indeciso, e quella specie di trepidazione che fece aggiornare la manifestazione del 12 gennaio 1848 convenuta con i siciliani. Però se il Bozzelli aveva consunto il vigore dovunque aveva messo il suo dito, restava ancora, restava in piedi una classe indisciplinabile ed indomita che pensava da sè, e da sè agiva, secondo che un impulso interiore la determinava. Ma sia che a tutti non fosse possibile mostrare la calma senile di chi ha obliato ogni danno e nulla medita per sottrarsi ai suoi malori, sia che la prudenza non è la virtù dei giovani, o il contrattempo, la fatalità di tutte le cospirazioni, le cose andarono diversamente.