La rivoluzione di Napoli nel 1848/43. Novelle dall'estero

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43. Novelle dall'estero

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[p. 166 modifica]43. Alla novella del prospero esito della spedizione, la gioia della corte toccò la frenesia. La regina, le principesse, i principini, le dame fabbricavano filacce per i feriti; il re tagliava nastri per insignire i vincitori: i preti cantavano Requiem e Te Deum. Nel tempo stesso si lavorava a comprimere sempre più i napolitani, i quali avevano osato abbrunarsi dopo la disfatta di Messina. Il soldato cresceva in baldanza ed imperio sul disarmato cittadino; i preti scomunicavano i liberali: la polizia li seppelliva nelle prigioni. Una nuova leva s’imponeva, e con rigore spietato compivasi. La stampa era proscritta affatto da un ukase che sol esso basterebbe all’infamia del [p. 167 modifica]Bozzelli, se altri titoli non vantasse a dovizia. La reazione in una parola si esercitava sopra un vasto piano di estirpazione e di distribuzione. Nel più bello però furono colpiti, come Baldassarre nel convito, dalle notizie straniere. Livorno, ristucca dai soporiferi del padre Leopoldo di Austria, aveva domandato risolutamente che si mettesse termine al giuoco della gattacieca, ed ai palliativi infecondi. Poscia si era armata, aveva imposto un ministero che meglio comprendeva le condizioni dei tempi e del paese, ed aveva accolta come suprema salvezza la proposizione del Montanelli. Il granduca aveva dovuto sobbarcarsi e decretare la Costituente italiana. La rivoluzione cominciava davvero; la Costituente era per l’organizzazione della libertà ciò che la guerra dell’indipendenza era stata per la nazionalità. La rivoluzione si rischiarava. Gioberti ferito nel cuore da un’idea che riduceva i suoi sistemi a dimensioni assai meschine, Gioberti a Torino si oppose con veemenza, ed alla vita d’Italia preferì sacrilego feticismo. Gioberti o dimenticava a disegno, o ignorava la storia della penisola, la quale non ha pagina in cui non fosse segnato il martirio di un popolo, consumato dal pontificato romano. I suoi principii non prevalsero: ed il concetto della Costituente trovò a Torino stessa dei propugnatori e degli apostoli. Italia tutta sobbalzò a questa nuova fase della sua rigenerazione. Essa l’accolse come una rivelazione della grande leva che doveva risollevarla allo splendore ed alla grandezza, dimenticando persin nell’entusiasmo che la costituente bicipite proposta dal Montanelli era impossibile. I principi che si appoggiavano all’Austria non potevano giammai concorrere a sbarazzarsene prima, [p. 168 modifica]per poi abbandonarsi alla mercede dei rappresentanti d’Italia indipendente, alla mercede di un popolo vincitore ed avido di libertà. E la teoria del Montanelli era quella. Contemporaneamente giunsero le novelle che l’imperatore era fuggito di nuovo da Vienna, che Windischgrätz si approssimava per bombardarla, e che le barricate vi si erano alzate ancora una volta. Gli ungheresi, vittoriosi dei croati cacciati e calpestati da per tutto, accorsero per soccorrerla, quasi sino alle sue porte, ed aspettavano essere chiamati dalla Dieta. Questa, sbigottita dalla guerra, attenuata da giornaliere diffalte, si scioglie, ed i magiari ritornano indietro. La misera città fu vinta dopo uno strazio senza esempi, dopo una resistenza delle più disperate. Il bombardatore di Praga vi entrò sopra monti di cadaveri, ed in mezzo alle fiamme che divoravano le case. — La corte di Napoli che aveva cominciato a tremare, sapendo della guerra d’Ungheria e della sollevazione di Vienna, era stata lì presso a cangiar ministero e politica; ma riprendeva cuore apprendendo le misere sorti dell’imperiale città, quando un incendio più prossimo alla sua casa divampò.