La rivoluzione di Napoli nel 1848/44. Il pontificato

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44. Il pontificato

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[p. 168 modifica]44. L’uomo non dispone che di una sola cosa sulla terra, dice James Mill, il movimento: il pontificato romano aveva assunta la missione di diseredare l’uomo. Sottrarsi al regime di mummificazione, a cui il pontificato aveva per molti secoli lavorato, fu il teorema della rivoluzione intrapresa dal popolo romano. Desidero gittare uno sguardo retrospettivo sulla natura di questo potere, ed accennare qualcuna delle idee, che fra non guari, in un altro libro, più ampiamente svilupperò.

Il cristianesimo aveva fatto fortuna fin dal suo [p. 169 modifica]nascere, perocchè, oltre all’aver raccolto contro il politeismo spirante le imaginazioni avide di nuova fede, aveva sostenuto il principio democratico. Aveva predicato la comunione dei beni e l’emancipazione dello schiavo, aveva personificato il popolo fino allora senza esistenza legale, ed elevato il povero e l’oppresso coronandolo nella sua umiltà di un’origine reale attinta ai tempi più remoti. Dominata la concorrenza del paganesimo, il cristianesimo falsò il dogma dell’uguaglianza e si unì all’imperio per soffocare la democrazia. La tendenza a concentrare l’autorità religiosa e civile erasi nella chiesa manifestata assai precocemente. Questo adulterio delle dottrine di Cristo provocò solenni e speciose proteste; ed il pelagismo rivendicò i diritti della libertà umana, piegata sotto il giogo della autorità divina: l’arianismo rappresentò la libertà individuale. Incontrato resistenza, il cattolicismo si rese aggressivo straniero all’Italia: esso vi si era trapiantato senza punto cangiar di natura: e l’Italia gli deve tutti i suoi mali. Con Costantino infatti diseredò Roma, e percosse il vecchio spirito repubblicano che malgrado la decadenza, traspariva sempre sotto la semplicità del regime militare, l’elezione dei consoli, e la municipalità libera: con la traslocazione dell’impero, l’oriente, culla del cristianesimo, riebbe la dominazione generale, annichilò Roma, gittò l’occidente nel rango dei barbari e dei popoli conquistati. Il papato aveva creduto, con questa evoluzione, restar padrone del campo e rimpiazzare il grande vuoto che la sparizione di Roma lasciava nell’universo. I popoli ricusarono farsi complici dell’attentato. Laonde Carlomagno restituì la supremazia alla razza occidentale della civiltà romana solidare, ed [p. 170 modifica]obbligò il papato a riconoscerla e consacrarla. Il carattere militare ed elettivo dei Cesari, la divisione dei poteri fu ristabilita. Il pontificato, vedendo che la istituzione rinnovellata incontrava favore, sopra tutto fra quei principi italiani, i quali avevano la sua ambizione attraversata, si allegò ereditiero dell’impero romano, e ne rivendicò su i discendenti di Carlomagno il possesso. La lotta impegnossi ed esso fece causa comune con l’alta aristocrazia per mantenere il sistema feudale, ed aver vassalli popolo e re. Quindi prese origine lo smembramento d’Italia e di Lamagna, le quali, benchè avessero per due volte ricostituita l’unità occidentale, non han potuto mai più ricostituire la loro nazionalità. I tentativi del pontificato tornati vani novellamente, rivenne al suo istinto straniero ed alle sue aspirazioni orientali. Con le crociate cercò darsi in oriente una forza ed un punto di appoggio per assimilarsi l’occidente, e riattaccare al Vaticano la società attaccata un giorno al Campidoglio. Le crociate fallirono anch’esse. Sconcertato allora nella doppia ristorazione tentata, il pontificato cominciò a travagliare l’Italia per darle un impulso contro natura, l’impulso di ostilità all’occidente; cominciò quella lotta interna, incessante e pertinace, che ha determinato il suo carattere di straniero, di immobile e di avido. L’Italia sostenne l’aggressione, e perciò alla sua culla ed alla sua tomba ha trovato sempre il papato pronto a darle il colpo mortale, chiamar lo straniero ed aiutarlo. Il pontificato infatti chiamò Carlomagno; il pontificato chiamò Carlo V. Questo veleno dissolvente allogato sul suo cuore, ha colpito l’Italia di paralisi. Il papato non essendo assai potente, dice Machiavelli, per occuparla, [p. 171 modifica]e non avendo permesso che altri l’occupasse, ne è risultato che non ha potuto riunirsi sotto un sol capo, ma è stata divisa tra molti principi e molti padroni. Perciò quell’anima severa di Dante ed i ghibellini volevano gittarla perfino nelle braccia dell’imperatore, onde darle una vita ed un corpo. Ma il papato preferì assidersi sopra il gran cadavere che si stende dalle Alpi all’Etna, ed ingannò i guelfi, i quali si erano diseredati come il re Lear, e gli avevano abbandonata la libertà per la ricostruzione della grandezza della patria e la supremazia morale d’Italia.

Gli attacchi cominciati dall’istinto straniero furono continuati dalla dottrina dell’immobilità. Il cattolicismo aveva spiegata questa insegna fin dal suo nascere, quando aveva rotto col giudaismo che è la religione dell’avvenire, e si era imbastigliato nel passato, nel testo, nella rivelazione, nell’autorità, in una parola in quanto lo spirito umano ha di sterile e di morto. Questa fossilizzazione dell’intelligenza provocò la riforma. Il concetto di Lutero non fu nuovo: lo scisma non fu alemanno. L’iniziativa di questo pensiero appartiene a tutto l’occidente cattolico, e può riattaccare la sua filiazione alle sorgenti stesse del cristianesimo; cominciando da Ario e Pelagio, ed arrivando agli albigesi, ai valdesi, ai lollardi ed a tutte le eresie dei mezzi tempi fino ai primi tentativi della rinascenza, quando Campanella e Savonarola in Italia, Wiclef in Inghilterra, Giovanni Hus e Girolamo da Praga in Boemia si fecero i precursori di un movimento di reazione al pontificato, movimento di cui Lutero fu il continuatore e Calvino l’apostolo vero. Quest’ultimo dette alla riforma quelle proporzioni intere e razionali, cui, sia [p. 172 modifica]per le circostanze dei tempi, sia per la necessità di transigere, sia per adulare la monarchia che lo appoggiava, Lutero non aveva osato darle. Calvino distrusse il cattolicismo nelle sue forme esteriori, e lo tornò alla severità dei suoi incunaboli: consacrò lo spirito di esame e di rivolta contro l’autorità del passato e della rivelazione, e gl’impresse lo stigmata dell’indipendenza repubblicana. Il pontificato vinto, svelato ed impotente a combattere con le armi della ragione, alle eccitazioni del potere monarchico, ai roghi dell’inquisizione aggiunse un’armata, la quale per la corruzione, per la perfidia e per le transazioni sotto qualunque forma e per qualunque maniera, doveva tornarlo in autorità. I gesuiti sursero: ma il gesuitismo originò la filosofia del XVIII secolo, che portò l’impronta del radicalismo religioso e del radicalismo politico. La indipendenza americana e la rivoluzione francese ne furono la conseguenza: esse vennero ad emancipare l’intelligenza e la coscienza umana, e vennero a protestare contro le dottrine di Roma, la quale si era resa solidale la monarchia, consacrando il diritto divino. La rivoluzione francese sopra tutte le altre ebbe il carattere di eguagliare e di democratizzare; essa potevasi riassumere nelle parole dette da Lavie nella seduta del 27 agosto 1791: nous n’avons fait la révolution que pour être maîtres des impôts. Essa però era stata inefficace: perchè aveva sconosciuta l’opera di Dio e l’opera dei secoli, aveva smembrate le nazioni, storpiate e diseredate le classi sociali. La rivoluzione del 1848 riassunse la missione di completarla. Le nazioni furono omologate, e proclamata la loro autonomia: col suffragio universale si legittimò la sor[p. 173 modifica]gente della forza sociale: a tutte le classi, con l’esercizio pieno e vero della libertà, fu restituito uno sviluppo compatibile alla sfera rispettiva.

Lo spirito di questa rivoluzione colpì il pontificato nell’anima. I suoi due principii, l’immobilismo e la estraneità, erano proscritti; quindi annullato. Il pontificato è la negazione del progresso, per la ragione appunto che attinge la vita e la forza nel passato; ed il progresso indefinito è consostanziale, è incarnato al suffragio universale. Il pontificato è la negazione della nazionalità, per la ragione appunto che è cattolico; e la nazionalità era stata la significazione vera della rivoluzione. Essa concentra nel suo seno tutta la vita sociale, ed intende comunicarla ai popoli; e la vita sociale s’irraggia al contrario dalla circonferenza al centro. Esso rinunzia alla sua personalità per abbracciare l’universo; e perchè gli altri popoli ne avevano difesa la inviolabilità con orgoglio e perseveranza, l’Inghilterra è una nazione, la Russia è una nazione, la Prussia stessa, da piccolo principato, si è elevata a rango di popolo. Non eran dunque dei calunniatori coloro i quali asserivano che la rivoluzione romana voleva distruggere il pontificato, quando invece voleva assorbirlo nella nazione e farne un elemento di vita italiana, da seme di morte che esso era? Il papato era morto. Era morto sin da quando rinnegando l’ultimo attributo che lo aveva sostenuto nel medio evo, quello di difendere il debole e proteggere i popoli oppressi, aveva stretto l’anello della santa alleanza, e si era assiso con gli eretici del Congresso di Vienna. Qual parte aveva quivi rappresentato il pontificato? domanda Quinet. Aveva forse parlato per la Polonia, per la [p. 174 modifica]Lombardia, per l’Irlanda, per la Grecia, per la Boemia? No: si aveva litigato una spanna di terra di cui ha poscia fatto un Calvario, la Romagna; e tutto aveva assoluto, sposando il peccato e l’adulterio. L’imperatore Alessandro lo sostituì assumendo la sua parte; e la chiesa greca riprese la supremazia rigeneratrice. L’Urbi et Orbi del pontificato era omai una impostura di più. — Perciò il popolo romano aveva domandato: guerra all’austriaco e libertà. Il ministro Rossi rifiutò ambo le cose come incompatibili con le istituzioni e con lo spirito del pontificato. Il resto è noto. Il Rossi pagò alla giustizia divina ed umana l’apostasia alla sua antica patria. Pio IX sedotto dalle lusinghe della contessa di Spaur, strumento dell’Austria, fuggì dal popolo, che gli aveva fatta l’apoteosi, dopo aver inutilmente ordinato che fosse caricato dal cannone.

Io scrivo una storia municipale, passo perciò su i grandi fatti di Roma.