La rivoluzione di Napoli nel 1848/46. Condotta dei deputati

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46. Condotta dei deputati

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[p. 176 modifica]46. Nelle elezioni del mese di maggio 1848, moltissimi collegi elettorali, nel fermento della rivoltura, non si erano accolti. Per lo che la opposizione aveva riportata maggioranza. Il ministero pensò accomodarsi un partito con le elezioni nuove, fatte in tempi di compressione e di terrore bianco. I comizii furono convocati, e degli ordini furon dati senza nessun velo di pudore ai funzionarii pubblici, di sedurre per tutti i modi e di forzar quasi a scegliere candidati del governo. I pubblici uffiziali, in massima parte, non mancarono alle ingiunzioni del ministero: i soldati in taluni luoghi appoggiarono di sgrugnate e di baionettate gli argomenti. Ma che perciò? la rivoluzione era compiuta nel paese: Le système démocratique l’emportait définitivement, come esclama malinconicamente Guizot, l’ancien règime était tombé sous les coups de la démocratie. Chûte terrible, mais dont l’heure était marquée dans les decrets de Dieu! L’urna dei suffragi dette fuori tutto quanto era di più ostile al governo: una protesta solenne, luminosa, ardita ancora attesi i tempi, un’accusa contro tutti gli atti usciti dalla sentina del 16 maggio. A Napoli avvenne qualche cosa di più. Un candidato popolano raccolse maggior numero di voti. E questo fu un vero trionfo per il [p. 177 modifica]partito della rivoluzione. La plebe non aveva ancora capito chiaro che cosa avesse voluto esprimere quella sollevazione del 1848. Tutti i partiti erano concorsi a forviarla, i liberali non esclusi. I preti sopra tutto l’avevano imbevuta del principio che i rivoluzionarii volevano uccidere il santo re, rovesciare la religione, trucidare i sacerdoti di Dio come avevano cacciato i gesuiti, rubare il pingue tesoro di San Gennaro, e far di loro un’ecatombe, sapendoli devoti al re ed alla Madonna del Carmine. I liberali quindi erano guardati in cagnesco, e considerati come briganti e come atei. L’abbiezione in cui la plebe era stata tenuta mai sempre faceva considerare qualunque proprietario, e direi quasi qualunque uomo che portava scarpe ed abito, come un aristocratico. Essa se ne credeva separata da un abisso, e gli si avvicinava sempre con una specie di devozione servile nell’apparenza, con odio implacabile nel cuore. Quando però vide che dal grembo degli esseri più favoriti della nazione essa non era esclusa, che era considerata ancora come eguale, che poteva seder tra le alte classi ed aver voto, un cataclisma successe nel suo spirito. La rivoluzione non fu più un logogrifo per essa. La rivoluzione significava che essa aveva cessato di esser paria nella società: che un avvenire schiudevasi ancora per essa: che poteva aspirare ad uscire dai triboli della sua esistenza attuale: che più non era obbietto da destare ribrezzo e disgusto: che a fianco ai doveri, che fino allora le si erano assegnati esclusivamente, a fianco ai doveri aveva ancora dei dritti, ed una forza per farli valere, una voce per protestare. La rivoluzione significava che essa era sovrana, che, angelo decaduto fino allora, riacquistava la luce e la [p. 178 modifica]vita. Non vi era dunque bisogno di altro. Più che tutti gli apostoli, più che tutte le logiche, l’elezione di un loro fratello alla deputazione l’aveva convertita. Il ministero si sentì ferire nel cuore. — Il giorno della riapertura del parlamento arrivò. Il governo, temendo dell’ebbrietà del popolo, aveva spiegato un lusso di precauzioni che sono la risorsa disperata de’ governi vacillanti. Soldati di ogni colore, birri, partigiani e nemici della libertà, tutti, in una parola, ingombravano la residenza dell’assemblea. L’artiglieria era sulle strade, i castelli allestiti per vomitar bombe sulla città. Non si aspettava che un segnale. Il popolo si contenne con grande nobiltà di animo. Meglio di quattro o cinquemila popolani accerchiavano la carrozza dove sedeva, a fianco al Conforti, il loro fratello per recarsi alla Camera. Guardie fedeli, devote, decise, l’accompagnarono e lo salutarono col grido immenso di vivano i deputati! viva la Costituzione! Si era sparsa la voce che l’assemblea, impegnata dal ministero, avrebbe respinto dal suo seno il rappresentante del popolo; l’assemblea repulse invece i cavilli ministeriali, ed unanime salutò come fratello Ignazio Turco. Fra centocinquanta deputati, dieci solamente sedettero alla destra, tra i quali nove conservatori ed uno solo ministeriale, un tal Crisci. — Non vi fu discorso della corona.