<dc:title> La rivoluzione di Napoli nel 1848 </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Ferdinando Petruccelli della Gattina</dc:creator><dc:date>1850</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=La_rivoluzione_di_Napoli_nel_1848/48._Repubblica_Romana&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20240422091816</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=La_rivoluzione_di_Napoli_nel_1848/48._Repubblica_Romana&oldid=-20240422091816
La rivoluzione di Napoli nel 1848 - 48. Repubblica Romana Ferdinando Petruccelli della GattinaPetruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu
[p. 181modifica]48. Dalla Toscana il granduca era fuggito, allegando non so quali scrupoli di coscienza, ed aveva seguite le orme del papa. La Costituente Italiana e la Costituente Toscana erano state convocate; e benchè Guerrazzi e Montanelli non avessero ancora profferita la parola repubblica, la soluzione di quell’energico movimento non poteva esser altra. La Costituente Romana, sorta dal suffragio universale, si era accolta altresì. Gli occhi dell’Europa stavano ansiosamente fissi su lei, perchè essa non andava a stabilire solamente il reggimento politico di un popolo, ma andava a deliberare e pronunziare sull’avvenire dell’universo. La Costituente Romana sentì l’altissimo sacerdozio di cui era rivestita; ed in una seduta famosa, della quale resterà eterna memoria, dichiarò decaduto il potere temporale del papa, e proclamò la repubblica. Roma non aveva rinunziato alla missione della rigenerazione d’Italia. — Il papato era caduto: il papato era abrogato. Quel potere che aveva reso attonito l’impero sotto Gregorio VII, che lo aveva umiliato con Alessandro III, che aveva cospirato contro la libertà italiana con Giulio II, devastata l’Italia con Clemente VII; quel potere che avea soffiato nei roghi dell’inquisizione per ispegnere lo spirito umano, che aveva percosso Crescenzio, Arnaldo da Brescia, Cola di Rienzo, Stefano Porcari, Campanella, Vannini, Paolo Sarpi, Galileo, Giordano Bruno, Guicciardini e tutta la manifestazione del genio indipendente d’Italia; quel potere che per trenta danari ci aveva sempre venduti al nemico; che con la corruzione permanente della sua corte ci aveva [p. 182modifica]effeminati, demoralizzati, ed inoculato in noi la tentazione codarda del veleno e del pugnale; quel potere che aveva inaridito nell’anima il sentimento della religione, ed innalzato l’altare alla perfidia e alla cupidità (fatto vi avete Iddio d’oro e d’argento); quel potere maledetto da Dante sul terreno dell’esilio, e sul rogo dal Savonarola; quel potere non era più. Dal grande sepolcro di Roma la parola di vita era sorta, e dalla cima del Campidoglio si era propagata sulla terra. Roma riassumeva l’iniziativa della nuova civiltà italiana, e per la seconda volta rivelava all’universo l’Italia. L’Italia non era morta. In quell’adorno ciborio chiudevasi l’ostia della grande civiltà che principierà pel mondo cattolico, quando il potere malefico e soporifero del papato sarà neutralizzato compiutamente. — La novella della repubblica romana fece trasalire l’Italia: lo spirito della rivoluzione era rivelato. Napoli sopra tutto accolse la nuova con un fremito di gioia; Gaeta come un colpo di fulmine. Pio IX ebbe la debolezza di protestare. Protestare contro di che? contro il suffragio universale? contro quel potere del quale nei primi secoli della Chiesa i suoi predecessori domandavano l’esistenza; contro quel potere che niuno aveva osato ancora credere o dire prescritto. Pio IX protestò; ma se la sua protesta ha potuto chiamare quattro armate a strangolare il più nobile popolo d’Italia, non ha potuto cancellare la sentenza. La sentenza, che Dante scriveva son cinque secoli, e tanti martiri del pensiero consacravano, aspettava sotto lo sguardo di Dio l’omologazione dei popoli, ed i popoli l’hanno omologata: la sentenza passata per le epoche dell’entusiasmo e del martirio, subita la prova della [p. 183modifica]fede ardente e della pugna, è entrata nel patrimonio della ragione universale, e niuna forza può radiarne una sillaba. Pio IX la sente, Pio IX se la vede torreggiare dinanzi sulla frontiera, ed interdetto ed annullato resta nei castelli di re Ferdinando come un paralitico che tocca le sue membra e non ha la facoltà di usarne. La repubblica romana è immortale: il papato è scomparso dalle piaghe dei popoli per subire la cristallizzazione storica; e le genti di Francia, l’Ungheria, l’Italia, la democrazia alemanna e la democrazia di tutto l’universo sono là per attestarlo. La coscienza umana si è emancipata. — In Piemonte era allora ministro Vincenzo Gioberti. Il decreto della Costituente Romana aveva rovesciato l’idolo che egli aveva vagheggiato come riformatore d’Italia, e lo aveva rigettato tra i vecchi frusti delle utopie guelfe, dopo averlo per tanti secoli sperimentato sterile e tristo. Il Gioberti si sentì colto in flagrante delitto di lesa nazionalità. E perchè gli uomini di lettere sono genus irritabile, egli progettò rovesciare la repubblica con le armi italiane. Delle soldatesche furono inviate alle frontiere sotto il comando di La Marmora, e si cominciò a trattare a Gaeta. Ma la scelleratezza dell’intrapresa ben presto scoverta, gli altri ministri piemontesi vi posero ostacolo, e destinarono le armi ad uso più nobile. Gioberti si dimise. Ed in effetti i cospiratori di Gaeta avevan forse bisogno dei soldati subalpini per ristorare le sorti del papa? Già la spedizione si concertava fra le quattro nazioni, già la repubblica era stata condannata. Si aspettava solo il momento opportuno per eseguire la sentenza. Ed il momento allora non era favorevole, perchè la Costituente Francese non sem[p. 184modifica]brava gran fatto maneggevole; i gloriosi soldati di Spagna non avevano ancora studiato bene la parte; Napoli mancava di quattrini; l’Austria battuta e ribattuta in tutti gli scontri in Ungheria era alla vigilia di riaprire la campagna d’Italia, che Radetzky aveva già da lungo tempo preparata e vinta: la Russia infine, non sapendo ancora a qual genere di corbellerie il presidente francese avrebbe dato la preferenza, non si azzardava a svelarsi, e l’Inghilterra, che specula su tutte le miserie e su tutti i martirii umani, sembrava covare l’istante propizio per pigliar parte al banchetto. Gli eventi però si annunziarono propizii a sbrogliare la situazione, ed accrebbero l’energia degli alchimisti di Gaeta. Tre giorni erano bastati a Radetzky per metter fuori di combattimento l’Italia, che aveva comprata dall’aristocrazia e dai gesuiti piemontesi. Fra tre giorni il Piemonte non aveva più armata, con centoventimila soldati sopravvissuti al disastro di Novara: Carlo Alberto erasi sottratto al suolo sventurato d’Italia, per andare a morire su terra straniera, esiliato dal dolore e dall’onta: l’Austria occupava una parte del Piemonte, i Ducati, la Romagna, la Toscana, dominava sull’intera penisola, le piccole oasis di Venezia e di Roma eccettuate. La democrazia italiana, quasi il re Sabaudo cadendo avesse gittato il grido disperato di Kosiousko, la democrazia italiana aveva preso il bruno: la democrazia francese oscillava un istante sotto l’impressione dolorosa di quelle nuove, poscia acquetavasi. Luigi Napoleone non pensava come Colbert che il faut épargner cinq sous aux choses non necessaires, et jeter les millions quand il est question de la gloire de la France: Luigi Napoleone si curava [p. 185modifica]poco che il medesimo colpo, il quale uccideva l’Italia, ferisse a morte la Francia. Egli non cercava di meglio ed assumeva l’incarico della dimostrazione. A Novara non fu atterrata in effetti solamente l’Italia, ma per tre anni la repubblica francese; a Novara la Costituente Italiana ebbe tomba, la Legislativa francese ebbe vita.