La rivoluzione di Napoli nel 1848/6. La donna

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6. La donna

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[p. 21 modifica]6. A guardare nella nazione napolitana solamente l’uomo, a contemplare l’enorme sciupio delle leggi morali e religiose, ogni anima onesta sarebbe tentata a gridare: Dio non è, o l’uomo non è l’opera della sua mano! Ma quando lo sguardo ricade su quelle soavi creature, in cui non sai che più ammirare, se lo splendore della bellezza o la nobilità dello spirito, quando vagheggi quell’opàla eterna i cui fuochi non muoiono mai; allora ti riconcilii con Dio e dici: quest’uomo è caduto, e la sua tristizia è un’espiazione. Un’espiazione forse della sapienza etrusca, della signoria romana, della libertà proficua del medio evo; un’espiazione della codardia moderna e dello scoraggiamento di oggidì. Io non scrivo un’ode, ma una storia: eppure sento non aver colori nè vivi nè poetici troppo per riprodurre la fisonomia vera della donna di quelle [p. 22 modifica]contrade, incognita troppo, incognita a queglino stessi tra cui vive. La donna di quella parte d’Italia è la donna di Oriente. La stessa ignoranza, la stessa riservatezza, lo stesso passare istantaneo dalla mestizia alla gioia, la stessa superstizione, la stessa prontezza all’entusiasmo, lo stesso delirio di piaceri, e quello istinto inquieto che la tormenta e la spinge incessante, la spinge sempre verso la libertà. L’amore è il fondo del suo cuore; ma il movente di questa passione, il paradiso a cui aspira, è la libertà. Questa incognita nella vita riveste per lei i colori più fantastici, le lusinghe più ideali, le voluttà più angeliche, è l’aspirazione perenne su cui tutte le altre passioni vanno a poggiarsi, è la riva a cui tutti gli altri desiderii vanno a morire. Fiera ed indomita come il cavallo di Mazzeppa, ella non sa essere macchiata da ignobili affetti. Ed anche quando è caduta, anche quando vende l’amore per comperare del pane, come una regina destituita sembra fare piuttosto una grazia che riconoscere un diritto. La corruzione è impossente su lei. Allontanata dalla vita pubblica, confinata nelle trivialità delle domestiche funzioni, le compie come un dovere: ma in quell’atto di abdicazione, in quell’atto di devozione alla missione, che una società malata ed egoista le impone, la sua anima nobile trasparisce e tacitamente protesta. Il suo istinto sente l’oltraggio che le si fa gittandola in un grado di subordinazione servile, sente il torto di essere tenuta in uno stato perenne di minorità, ed allontanata da tutte le passioni maschie; e con vigoria maggiore aspira alla libertà. Vi aspira per la via della religione, per mezzo della poesia, per mezzo delle passioni nobili che mostra sentire e comprendere, per la rassegnazione, [p. 23 modifica]per l’entusiasmo che tutta la comprende agli atti soavi e generosi che sente raccontare e di cui tanto si mostra avida, per la facilità al perdono delle offese ed al disprezzo di ogni viltà, per la consolazione che spande su tutti i dolori e la fiducia nell’avvenire che divide con la giovane generazione. Essa comprende che non è nata solamente per fare dei figli, come brutalmente disse Napoleone: il cristianesimo l’ha riabilitata, l’ha innalzata sopra il trono dei cieli e l’ha messa al livello di Dio. Inchinatevi e cedetele il passo. Essa sola colaggiù ha saputo respingere con energia tutte le calunnie contro gli uomini della rivoluzione: essa sola non ha piegato ad alcuna suggestione per arrestare l’opera o avvelenarla col ridicolo: essa sola ha avuto il coraggio di rigettare ad alta voce, di rigettar sempre sul viso dell’oppressore la protesta dell’imprescrittibilità dei diritti dei popoli: essa sola ha difesi i vinti e li ha sottratti come ha potuto all’ira del despotismo: essa sola come l’albero della foresta si è tenuta all’erta, quando le foglie della rivoluzione, inverdite un istante, sono ad una ad una cadute: essa sola ha fede nella vittoria del domani dopo la sconfitta della vigilia: essa sola medica i feriti e conforta gli scoraggiati. Questa parte eletta della nazione non ha che una bandiera, quella dell’indipendenza. La parola Italia, una parola magica, una parola per lei sino ad ieri incognita e per lungo tempo scomunicata come una bestemmia; la parola Italia è risuonata nel suo cuore, ed una rivoluzione profonda si è compiuta nei suoi affetti. Puerilità di forme, puerilità di principii, puerilità di abitudini, puerilità di convenienze; tutto è svaporato come la nebbia trasparente dell’alba, e non è restata che [p. 24 modifica]questa idea severa e solenne come la credenza in Dio, la libertà dell’Italia una ed intera. Tutte le mene meschine del governo, tutte le intimidazioni sono state inefficaci: l’anima non ha saputo ritemperarsi ed è rimasta incardinata come le Alpi sulla idea potente della libertà, la quale uscita da quella specie di vago ed indeterminato in cui aveva navigato sinora, si è concentrata in un essere vivo, bello, giovane sempre benchè gualcito, seducente sempre benchè prostituito, l’Italia. L’idealismo si è personificato. Le donne di quelle meste contrade accolsero come una fascinazione il grido d’indipendenza e di libertà; vi trovarono risoluto il problema arcano della vita intima del loro cuore. E malgrado le sventure del 1849 gli sono sopravvissute fedeli con la decisione della disperazione; malgrado i patiboli e le prigioni, malgrado le persecuzioni ed i martirii di ogni maniera, esse non hanno mutato di fede, non hanno cessato di gridare: coraggio e speranza! Le donne quindi di tutte le età e di tutti i gradi, il proletario e la gioventù di qualunque condizione, la generazione nata dopo il 1820, la generazione men divorata dall’educazione del gesuita sotto la mannaia e l’ergastolo della monarchia, ecco i soldati della rivoluzione: il prete, il militare, parte dei publici funzionarii e l’aristocrazia della proprietà, ecco i combattenti pel diritto divino, per l’autorità illimitata. Questi due campi sono stati di fronte con sorte varia, dalla fine del passato secolo: lo sono ancora per darsi l’ultima battaglia — la battaglia senza quartieri e senza prigioni come ne voleva la Convenzione.