La scienza moderna e l'anarchia/Parte prima/VI

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La Filosofia sintetica di Spencer

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La Filosofia sintetica di Spencer
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Dacchè si studia l'antropologia (cioè l'evoluzione fisiologica dell'uomo e la storia delle sue religioni e istituzioni), allo stesso modo che si studiano tutte le altre scienze naturali, è diventato finalmente possibile di comprendere le linee essenziali della storia dell'umanità, e di distaccarsi per sempre dalla metafisica che ne intralciava lo studio, proprio come la tradizione biblica impediva un tempo lo studio della geologia.

Parrebbe, quindi, che quando Erberto Spencer intraprese a sua volta, nella seconda metà del secolo XIX, l'elaborazione di una «Filosofia sintetica», dovesse poterlo fare senza incorrere negli errori che si rilevano nella Politica positiva di Comte. E tuttavia la filosofia sintetica di Spencer, benchè segni un passo in avanti, non lasciando più posto alla religione e al rito religioso, contiene ancora nella sua parte sociologica errori tanto gravi quanto quelli della Politica positiva.

Il fatto sta, che, arrivato alla psicologia delle società, Spencer non seppe restar fedele, per studiare quel ramo del sapere, al suo metodo rigorosamente scientifico, e non osò accettarne tutte le conseguenze alle quali l'avrebbe condotto. Così, per esempio, Spencer riconosceva che il suolo non avrebbe mai dovuto essere proprietà privata. Il proprietario, valendosi del diritto di rialzare a suo talento il prezzo d'affitto, impedirà ad altri di ricavare dal suolo tutto quello che ne potrebbe ottenere per mezzo di una coltura intensiva; ovvero lascerà la terra incolta, aspettando che aumenti il prezzo d'ogni ettaro, grazie ai lavori fatti tutto intorno. Un tal sistema – Spencer si affretta a riconoscerlo – è nocivo e pieno di pericoli per la società. Ma pur ammettendo ciò per quanto riguarda la terra, egli non ha osato fare lo stesso ragionamento per le altre ricchezze accumulate – neanche per le miniere e pei docks, senza parlare delle officine e delle fabbriche.

Oppure, egli alza la voce contro l'intromissione dello Stato nella vita sociale, e dà perfino ad uno dei suoi libri un titolo che rappresenta tutto un programma rivoluzionario: L'individuo contro lo Stato; ma a poco a poco, sotto pretesto di salvaguardare la funzione protettrice dello Stato, lo ricostruisce tutto intero, tale e quale come esiste al giorno d'oggi, contentandosi d'imporgli alcune timide limitazioni.

Queste e molte altre contraddizioni si spiegano agevolmente, se si pensa che Spencer costruì la parte sociologica della sua filosofia sotto l'influenza del movimento radicale inglese, molto tempo prima che avesse scritto ciò che riguarda le scienze naturali. Infatti, pubblicò la sua Statistica nel 1851, cioè in un'epoca in cui lo studio antropologico delle istituzioni umane era ancora nell'infanzia. Il risultato ne fu, che Spencer, come Comte, non intraprese lo studio delle istituzioni per sè stesse, senza idee preconcette e dovute ad altro che alla scienza. Inoltre, appena arrivò alla filosofia delle società – cioè alla sociologia – cominciò a far uso di un nuovo metodo, il più traditore di tutti, il metodo delle rassomiglianze (analogie), del quale non s'era evidentemente servito nello studio dei fenomeni fisici. Tale metodo gli permise di giustificare moltissime idee preconcette, e dobbiamo ad esso se fino ad oggi non possediamo una filosofia sintetica, costruita nelle sue due parti, quella delle scienze naturali e quella delle scienze sociologiche, con il medesimo metodo.

Bisogna notare altresì che Spencer fu l'uomo il meno adatto per lo studio delle istituzioni primitive dei selvaggi. Egli aveva già in sommo grado il difetto, comune del resto a tutti gli inglesi, di non comprendere gli usi e i costumi delle altre nazioni. «Noi siamo uomini del diritto romano, mentre gl'irlandesi sono un popolo del diritto consuetudinario; per questo, non ci comprendiamo», mi disse un giorno James Knowles, uomo assai intelligente e perspicace. Ma questa incapacità degli inglesi di comprendere un'altra civiltà che non sia la loro, diventa ancor più evidente quando si tratta d'uomini che essi chiamano «le razze inferiori.». Fu il caso di Spencer, che era assolutamente incapace di comprendere il selvaggio col suo rispetto della tribù; la «vendetta del sangue», considerata come un dovere dagli eroi di una saga d'Islanda; ovvero la vita agitata, piena di lotte e tanto più progressiva, nelle città del medioevo. Le concezioni del diritto, che si riscontrano a queste età, sfuggono completamente a Spencer, che vi ravvisa soltanto ferocia, barbarie e crudeltà, e in ciò rappresenta decisamente un regresso su Augusto Comte, che aveva compreso l'importanza del medioevo nello sviluppo delle istituzioni – idea poi troppo dimenticata in Francia.

Inoltre – e fu errore ancor più grave – Spencer, come Huxley e tanti altri, aveva compreso la «lotta per l'esistenza» in un modo affatto sbagliato. Egli se la rappresentava non solo come una lotta fra diverse specie di animali (i lupi mangiano le lepri, molte specie di uccelli vivono d'insetti, e così via), ma come una lotta sfrenata pei mezzi d'esistenza e per un posto sulla terra, in seno ad ogni specie, fra tutti gli individui d'una stessa specie. Eppure, è certo che questa lotta non esiste nelle proporzioni immaginate da Spencer e da molti darvinisti.

Non è questione da discutere qui1, fino a che punto Darwin stesso sia responsabile di tale erronea comprensione della lotta per l'esistenza; ma è certo che quando, dodici anni dopo la pubblicazione dell'Origine delle specie, egli diede alla luce La discendenza dell'uomo, comprendeva già la lotta per l'esistenza in un senso molto più largo e più metaforico di quello della lotta ad oltranza in seno ad ogni specie. Così scriveva nella sua seconda opera, che «le specie animali che contengono il più gran numero di individui simpatici fra loro hanno le maggiori probabilità di mantenersi e di lasciare una larga progenitura», e sviluppava anzi questa idea che l'istinto sociale è, in ogni animale, un istinto ben più forte, permanente ed attivo che l'istinto di preservazione personale. Ciò che differisce assai da quanto ci dicono i «darwinisti».

In generale, i capitoli che Darwin consacrò a questo soggetto nella sua Discendenza dell'uomo avrebbero potuto diventare il punto di partenza per l'elaborazione di un concetto, ricchissimo di conseguenze, sulla natura e l'evoluzione delle società umane (Goethe l'aveva già divinato da uno o due fatti). Ma invece passarono inosservati, e fu solo nel 1879, in un discorso dello zoologo russo Kessler, che noi troviamo una concezione chiara dei rapporti esistenti nella natura fra la lotta per l'esistenza e il mutuo appoggio. – «Per l'evoluzione progressiva d'una specie», diceva egli, portando alcuni esempi, «la legge del mutuo appoggio ha ben maggiore importanza della legge della lotta mutua.».

Un anno più tardi, Lanessan teneva la sua conferenza su La lotta per l'esistenza e l'associazione nella lotta, e alla stessa epoca Büchner pubblicava il suo libro, L'Amore, nel quale dimostrava l'importanza della simpatia fra animali per sviluppare le prime concezioni morali; solamente, con l'insistere sopratutto sull'amore della famiglia e la compassione, limitava inutilmente il cerchio delle sue ricerche.

Nel 1890, nel libro L'Entr'aide, mi fu agevole di provare e svolgere l'idea fondamentale di Kessler, ed estenderla all'uomo, basandomi sopra esatte osservazioni della natura, e sulle ricerche moderne concernenti la storia delle istituzioni. Il mutuo appoggio è, infatti, non solo l'arma più efficace nella lotta per l'esistenza contro le forze ostili della natura e di altre specie nemiche, ma è pure lo strumento principale dell'evoluzione progressiva. Esso garantisce anche ai più deboli la longevità (e per conseguenza, l'accumulazione dell'esperienza), la sicurezza della progenitura e il loro progresso intellettuale. Così avviene che le specie animali che praticano di più il mutuo appoggio, non solo sopravvivono meglio delle altre, ma occupano anche il primo posto – ciascuna nella sua classe rispettiva d'insetti, d'uccelli o di mammiferi) – per la superiorità della loro struttura fisica e della loro intelligenza.

Questo fatto fondamentale della natura, Spencer non l'aveva osservato. Egli accettò, come un principio che non aveva bisogno d'esser provato – come un assioma – la lotta per l'esistenza in seno ad ogni specie; la lotta ad oltranza «col becco e con l'artiglio» per ogni boccone di pane. La natura «tinta del sangue dei gladiatori», come se la rappresentava il poeta inglese Tennyson, fu la sua immagine del mondo animale. Fu solo nel 1890, in un articolo della Nineteenth Century, che cominciò a comprendere fino ad un certo punto l'importanza del mutuo appoggio (o piuttosto del sentimento di simpatia) nel mondo animale, e si mise a riunire dei fatti ed a fare delle osservazioni su tale soggetto. Ma fino alla sua morte l'uomo primitivo restò sempre per lui la bestia feroce immaginaria, vissuto soltanto per aver strappato «coi denti e l'artiglio» l'ultimo boccone di nutrimento al suo vicino.

È evidente che, dopo di aver adottato come fondamento della sua filosofia una premessa tanto falsa, Spencer non poteva più costruire la sua filosofia sintetica senza cadere in tutta una sequela successiva di errori.

  1. Vedere: LEntr'aide, un facteur de l'evolution (Il mutuo appoggio, un fattore dell'evoluzione). Sul modo con cui Darwin giunse a modificare le sue opinioni in proposito e ad ammettere sempre più lazione diretta dell'ambiente nell'evoluzione di nuove specie, si leggano i miei articoli sulla selezione naturale e l'azione diretta nella Nineteenth Century, luglio, novembre e dicembre 1910 e marzo 1912.