La scienza nuova - Volume I/Libro II/Sezione I/Capitolo I

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Sezione I - Capitolo primo - Della metafisica poetica, che ne dà l’origini della poesia, dell’idolatria, della divinazione e de’ sagrifizi

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Sezione I - Capitolo primo - Della metafisica poetica, che ne dà l’origini della poesia, dell’idolatria, della divinazione e de’ sagrifizi
Libro II - Sezione I Libro II - Capitolo II

[p. 211 modifica][SEZIONE PRIMA] [METAFISICA POETICA]

[CAPITOLO PEIMO]

la) DELLA METAFISICA POETICA, CHE NE DÀ L’ORIGINI DELLA POESIA, DELL’IDOLATRIA, DELLA DIVINAZIONE E DE’ SACRIFIZI.

[La SN^ comincia dalla necessità di prolungare la Metafisica nelle menti delle genti primitive, per potere così ricostruire la storia (I, e. 11). Qui, ripetendo lo stesso punto di partenza sotto la nuova veduta che regge la partizione di questo libro, sono nuovamente riordinate le idee del BU e della SN^. I-a poesia, naturalmente animatrice delle prime genti, fu la prima Metafisica: quando il ciclo fu solcato dai fulmini, la natura fu per esse un vasto corpo animato; ogni segno che apparve nei cieli ebbe una mente, un’intenzione. La prima favola divina dominò la natura e gli uomini; il primo dio Giove arrestò i giganti, diede origine ad un tempo all’idolatria, alla divinazione, ai sagrifici (SN III, ce. 2-5; II, e. 14; C/^, e. 20). Ogni nazione ha un Giove, perchè universale presso tutte fu la catastrofe del Diluvio e l’impressione dei primi fulmini (SN^, II, e. 13). Sulla fine del capitolo il V. ricorda ancora che queste idee sono in opposizione con le idee generali sulla prima sapienza e sui primi poeti (C/2, c. Isgg.).]

Da si fatti primi uomini, stupidi, insensati (b) ed orribili bestioni, tutti i filosofi e filologi dovevan incominciar a ragionare la sapienza degli antichi (e) gentili; cioè da’ giganti, teste presi nella loro propia significazione. De’ quali il padre Boulduc, De

(a) La Metafisica poetica o la teologia de’ poeti fu la prima poesia, che fu la divina. — [CJ/^*] Della Metafisica poetica ovvero della poesia divina o sia della teologia de’ poeti.

(è) goffi, balordi, scempi e bestioni, ecc.

(e) da’ quali, ove proponemmo i principii di questa Scienza i, essi tutti convengono aver incominciato il gener umano, se egli, come infatti non lo è, il mondo non è eterno. E dovevano incominciarla, ecc.

1 Propriamente nella sez. IV del I libro {Del metodo). Si veda p. 183. [p. 212 modifica]2 1 2 LIBRO SECONDO — SEZIONE PRIMA — CAPITOLO PRIMO

ecclesia ante Legem dice che i nomi de’ giganti ne’ sagri libri significano «uomini pii, venerabili, illustri»; lo che non si può intendere che de’ giganti nobili, i quali con la di viuazione fondarono le religioni a’ gentili e diedero il nome all’età de’ giganti. E dovevano incominciarla dalla Metafisica, siccome quella che va a prendere le sue pruove non già da fuori ma da dentro le modificazioni deUa propia mente di chi la medita; dentro le quali, come sopra dicemmo 2^ perchè questo mondo di nazioni egli certamente è stato fatto dagli uomini, se ne dovevan andar a truovar i principii; e la natura umana, in quanto ella è comune con le bestie (a), porta seco questa propietà: ch’i sensi sieno le sole vie ond’ella conosce le cose (h).

Adunque la Sapienza poetica, che fu la prima sapienza della gentilità, dovette incominciare da una Metafisica, non ragionata ed astratta qual è questa or degli addottrinati, ma sentita ed immaginata quale dovett’essere di tai primi uomini, siccome quelli ch’erano di ninno raziocinio e tutti robusti sensi e vigorosissime fantasie, com’è stato nelle Degnità ^ stabilito. Questa fu la loro propia poesia, la qual in essi fu una facultà loro connaturale (per («) la quale dee supporsi di tai primi uomini, porta seco, ecc. (b) sicché i sensi in lei si faccian prima sentir ch’esse cose. Adunque, ecc. [brano soppresso negli esemplari postillati],

1 De ecclesia ante Legem. Libri tres, In quibus indicatur quis a mundi principio tisque ad May seti fuerit or do Ecclesics, qua festa, quce tempia, quce sacrificia, qui ministri, quce ritus et ceremoniw, Et alia multa arcana ex fontibiis j>rcesertim sacì-i sermonis exhausta, Anctore Iacopo Boulduc Parisiiio, ordinis Minoritanira Capuccinorum uuncupati prapdicatore (I.ugdiini, Suniptib. Claudii Landry, MDCXXVI, cum privilegio). Il B., per altro, sostiene la tesi della non esistenza dei giganti: «Notandum est — egli dice, p. 18 — nullum esse vocabulum hebraum in Scriptura, qtiod ex se significet <’ prodìgiosoe molis hoìnines s>.?iisi aliquid addatur quod id expritnat: sed nomina «Raphaim», ’< Zmim >;.... quce 2>o.ssim certitntur «gigantes» esse honorifica nomina, quibus primi fideles, qui tam ante quam post diluvium primi fuerunt terrarum et regionum incolte cognominabantur; qui ob eximiam et admirabilem sanctitalem per huiitsmodi nomiita ab illis qui eis successerunt vocabantur, id est: «fortes, celebres, prosternentes se, torquati, illustres, sapientes», ut postca pluribus explicabitur *; e cioè 1. 1, e. 8, e specie e. 9, p. 71 sgg.: Ostenditur ex Scriptura nomina Emim, Zuzim.etc.ìion homincs gigantes, sed priinos post diluvium mundi ac pietatis restauratores significare; et de illoriim gymnasiis.

2 Si veda più sopra, ]i. 17.").» Degù. XXXVI. [p. 213 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/309 [p. 214 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/310 [p. 215 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/311 [p. 216 modifica]2 IH LIBRO SKCONDO — SKZIONK PRIMA — CAPITOLO PRIMO

di tutta la natura un vasto corpo animato che senta passioni ed affetti, conforme nelle Degnità i anco si è divisato.

Ma siccome ora (per la natura delle nostre umane menti, troppo ritirata da’ sensi nel medesimo volgo con le tante astrazioni di quante sono piene le lingue con tanti vocaboli astratti, e di troppo assottigliata con l’arte dello scrivere, e quasi spiritualezzata con la pratica de’ numeri che volgarmente sanno di conto e ragione) ci è naturalmente niegato di poter formare la vasta immagine di cotal (a) donna che dicono «natura simpatetica» (che mentre con la bocca dicono, non hanno nulla in lor mente, perocché la lor mente è dentro il falso, ch’è nulla, né sono soccorsi già dalla fantasia a poterne formare una falsa vastissima immagine); cosi ora ci è naturalmente niegato di poter entrare nella vasta immaginativa di que’ primi uomini, le menti de’ quali di nulla erano astratte, di nulla erano assottigliate, di nulla spiritualezzate, perch’erano tutte immerse ne’ sensi, tutte rintuzzate dalle passioni, tutte seppellite ne’ corpi: onde dicemmo sopra ch’or appena intender si può, affatto immaginar non si può, come pensassero i primi uomini che fondarono l’umanità gentilesca.

Tri tal guisa i primi poeti teologi si finsero la prima favola divina, la più grande di quante mai se ne finsero appresso, cioè Giove, re e padre degli uomini e degli dèi, ed in atto di fulminante 2; si popolare, perturbante ed insegnativa, ch’essi stessi, che se ’1 fìnsero, se ’1 credettero e con ispaventose religioni, le quali appresso si mostreranno, il temettero, il riverirono e l’osservarono. E per quella propietà della mente umana (b) che nelle Degnità ^ udimmo avvertita da Tacito, tali uomini tutto ciò che vedevano, immaginavano ed anco essi stessi facevano, credettero

(a) smisurata donna ecc.

(b) invasa da spaventosa superstizione, che nelle Degnità, ecc.» Degn. XXXIl.

2 Reminiscenza del passo oraziano: «Ccelo tonanfem credidimus lovem liegnare» (Carni., Ili, 5, vv. 1-2). Ma sul significato profondamente originale che esso assume nel V. cfr. la cit. monografia del Croce, cap. VII.

8 Degn. XXXIV. [p. 217 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/313 [p. 218 modifica]218 LIBKO SECONDO SEZIONE PRIMA — CAPITOLO PRIMO

Quindi tanti Giovi che fanno maraviglia a’ filologi, perchè ógni nazione gentile n’ebbe uno (de’ quali tutti, gli Egizi, come si è sopra detto nelle Degnità i, per la loro boria dicevano il loro Giove Ammone essere lo più antico), sono tante istorie fisiche conservateci dalle favole, che dimostravano essere stato universale il Diluvio, come il promettemmo nelle Degnità 2.

Cosi, per ciò che si è detto nelle Degnità ^ d’intorno a’ principii de’ caratteri poetici, Giove nacque in poesia naturalmente carattere divino, ovvero un universale fantastico, a cui riducevano tutte le cose degli auspicii tutte le antiche nazioni gentili, che tutte perciò dovetter essere per natura poetiche; che incominciarono la Sapienza poetica da questa poetica metafisica di contemplare Dio per l’attributo delia sua Provvedenza; e se ne dissero «poeti teologi», ovvero sappienti che s’intendevano del parlar degli dèi conceputo con gli auspicii di Giove, e ne furono detti propiamente «divini», in senso d’«indovinatori», da «divinari», che propiamente è «indovinare» «predire». La quale scienza fu detta «Musa», diffinitaci sopra ^ da Omero essere la scienza del bene e del male, cioè la divinazione, su ’1 cui divieto ordinò Iddio ad Adamo la sua vera religione, come nelle Degnità ■’ si è pur detto. Dalla qual mistica teologia i poeti da’ Greci furon chiamati «mystce», che Orazio con iscienza trasporta «interpetri degli dèi» ^, che spiegavano i divini misteri degli auspicii e degli oracoli. Nella quale scienza ogni nazione gentile ebbe una sua sibilla, delle quali ce ne sono mentovate pur dodici ’^; e le sibille e gli oracoli sono le cose più antiche delle gentilità.

1 Degn. XLII, nella quale per altro non si parla degli Egizi, intorno a cui cfr. invece Annotaz. alla Tav. cron., I.

2 Degn. XXV.

3 Degn. XLIX.

  • P. 199.

8 Degn. XXIV.

  • Ep. ad Pis., vv. 391-2 «... sacer mterpres... deorutn... Orpheus»; cui il V. postilla:

«Qui Grcecis dicitur «|j,uaTyjg», unde prima gentium- my steri a fuere fabttlce poetarum et prima Theologia mystica fuit qtiam professi stml poetae theologi ^■.

^ ♦ il/. Varrò... in libris Rerum, divinarum... ait... sybillas decem [non dodici] numero /«me», dice Lact., Div. Insi.. I, 6. Cfr. a questo proposito le osservazioni del OoRCiA, riferite dal Garofalo, p. 142" sgg. [p. 219 modifica]DELLA METAFISICA POETICA 219

Cosi con le cose tutte qui ragionate accorda quel i d’Eusebio riferito nelle Degnità 2, ove ragiona de’ principii dell’idolatria: che la prima gente, semplice e rozza, si finse gli dèi «ob terrorem 2:rceseniis potentice». Cosi il timore fu quello che finse gli dèi nel mondo; ma, come si avvisò nelle Degnità 3, non fatto da altri ad altri uomini, ma da essi a sé stessi. Con tal principio dell’idolatria si è dimostrato altresì il principio della divinazione, che nacquero al mondo ad un parto; a’ quali due principii va di séguito quello de’ sagrifizi, ch’essi facevano per «proccurare» sia ben intender gli auspicii.

Tal generazione della poesia ci è finalmente confermata da questa sua eterna propietà: che la di lei propia materia è l’impossibile ci’edibile, quanto egli è impossibile ch’i corpi sieno menti (e fu creduto che ’1 cielo tonante si fusse Giove); onde i poeti non altrove maggiormente si esercitano che nel cantare le maraviglie fatte dalle maghe per opera d’incantesimi. Lo che è da rifondersi in un senso nascosto e’ hanno le nazioni dell’onnipotenza di Dio, dal quale nasce quell’altro per lo quale tutti i popoli sono naturalmente portati a far infiniti onori alla divinità. E ’n cotal guisa i poeti fondarono le religioni a’ gentili.

E per tutte le finora qui ragionate cose si rovescia tutto ciò che dell’origine della poesia si è detto prima da Platone*, poi da Aristotile &, infin a’ nostri Patrizi 6, Scaligeri j Castelvetri 8; ri 1 Si supplisca: «luogo».

2 Degn. XXXVIII, ov’è riferito un passo, non già di Eusebio, ma di Lattanzio; il quale, come s’è visto (p. 133, n. 1) dice «in adulationem» e non già «ob terrorem».

’ Degn. XL, e cfr. Croce, mon. cit., cap. VI.

  • Specialmente nel X della Respublica. Cfr. Croce, Estetica^, p. 178 sgg.

’ Nella Poètica. Cfr. Croce, Est?, p. 190 sgg.

’ Della Poetica di Francesco Patrici, La Deca disputata. Nella quale e per istoria, e per ragioni, e per autorità de’ grandi antichi, si mostra la falsità delle più credute vere opinioni che dì Poetica a dì nostri vanno intorno; E vi è aggiunto il «Trimerone» del medesimo, in risposta alle oppositioni fatte dal sig. Torquato Tasso al parer suo scritto in dìffesa dell’Ariosto, All’lllustriss. ed Eccell.mo Don Ferrando Gonzaga (In Ferrara, Per Vittorio Bandini, Stampatore Ducale, 1586. Con lic. dei Super.). Cfr. Croce, Est.^, p. 210 sg.

’ luLii CyKSARis Scaligeri Poètices libri septem ad Sylvium filium (Apud Anton Vincentiura, MDLXn. Cfr. Croce, Est.’^, p. 204,sg.

’ Poetica d’Aristotile vulgarizzata ed esposta (1570;. Cfr. Croce, Est.^, p. 201 e A. Fusco, La poetica di L. C. (Napoli, Pierre, 1904). [p. 220 modifica]220 LIBRO SECONDO — SKZIONF, PRIMA CAPITOLO PRIMO

truovatosi che per difetto d’umano raziocinio nacque la poesia tanto sublime, che per filosofie le quali vennero appresso, per «Arti», e poetiche e critiche, anzi per queste istesse, non provenne altra pari nonché maggiore: ond’è il privilegio per lo qual Omero è ’1 principe di tutti i sublimi poeti, che sono gli ei’oici, non meno per lo merito che per l’età. Per la quale discoverta de’ principii della poesia si è dileguata l’oppenione della sapienza inarrivabile degli antichi, cotanto disiderata di scuoprirsi da Platone infin a Bacone da Verulamio, De sapientia veterum i, la quale fu sapienza volgare di legislatori che fondarono il gener umano, non già sapienza riposta di sommi e rari filosofi. Onde, come si è incominciato quinci a fare da Giove, si truoveranno tanto importuni tutti i sensi mistici d’altissima filosofia dati dai dotti alle greche favole ed a’ geroglifici egizi, quanto naturali usciranno i sensi storici che quelle e questi naturalmente dovevano contenere.

1 Si veda più sopra, p. 87.