La scienza nuova - Volume I/Libro II/Sezione I/Capitolo IV

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Sezione I - Capitolo quarto - Riprensione delle metafisiche di Renato Delle Carte, di Benedetto Spinosa e di Giovanni Locke

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Sezione I - Capitolo quarto - Riprensione delle metafisiche di Renato Delle Carte, di Benedetto Spinosa e di Giovanni Locke
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[p. 242 modifica][CMA^] [CAPITOLO QUARTO]

RIPRENSIONE DELLE METAFISICHE DI RENATO DELLE CARTE, DI BENEDETTO SPINOSA E DI GIOVANNI LOCKE (a)

Laonde, se non s’incomincia

da un dio ch’a tutti è Giove,

non si può avere niuna idea né di scienza né di virtù. Cosi ha facile l’uscita la supposizione di Polibio, il qual dice che se fusser al mondo filosofi, non sarebber uopo religioni i. Perché le Metafisiche de’ filosofi debbon andar di concerto con questa Metafisica de’ poeti, in quest’importantissimo punto: onde dall’idea d’una divinità sono provenute tutte le scienze c’hanno arricchito il mondo di tutte l’arti dell’umanità; come questa Metafisica volgare insegnò agli uomini perduti nello stato bestiale a formar il primo pensier umano da quello di Giove, cosi gli addottrinati non debbon ammettere alcun vero in Metafisica che non cominci dal vero Ente, ch’è Dio.

(a) [Questo titolo nelV autografo è cancellato, e cancellato è altresì tutto il brano dalle parole: «E Renato delle Carte» fino al termine del capitolo. In guisa che quel poco che il V. avrebbe voluto che fosse restato {salvo poi in SN^ ad abolire tutto), ossia dalle parole: «. Laonde se non s’incomincia» alle altre: «dal vero Ente ch’è Dio», avrebbe dovuto essere cotichiusione del capitolo precedente. Ma si è preferito non tener conto del pentimento del V. {dericante forse dalla gran paura ch’egli aveva d’esser preso per panteista 2) e seguire, non ostanti le cancellature, il primo getto.]

> Si veda più su, p. 132, n. 1 e p. 174.

  • Su questa costante preoccupazioue del V. cfr. Croce, op. cit., cap. XII. [p. 243 modifica]RIPRENSIONE DI CARTESIO, SPINOZA E LOCKE 243

E Renato delle Carte certamente l’arebbe riconosciuto, se l’avesse avvertito dentro la stessa dubitazione che fa del suo essere. Imperciocché, se io dubito se io sia o no, dubito del mio esser vero, del qual è impossibile ch’io vada in ricerca, se non vi è il vero Essere, perch’è impossibile ricercar cosa della quale non s’abbia veran’idea. Or, dubitando io dell’esser mio né dubitando del vero Essere, il vero Essere è realmente distinto dall’esser mio. Il mio essere è terminato da corpo e da tempo, che mi fanno necessità: adunque l’Ente vero è scevero da corpo, e perciò sopra il corpo, e quindi sopra il tempo, il qual é misura del corpo secondo il prima e ’1 poi, o (per me’ dire) è misurato dal moto del corpo. E ’n conseguenza di tutto ciò, l’Ente vero è eterno, infinito, libero. Cosi egli Renato arebbe, come a buon filosofo conveniva, cominciato da una idea semplicissima, che non ha mescolata ninna composizione, qual è quella dell’Ente; onde Platone con peso di parole chiamò la Metafisica «’Qv-coXoyia», «scienza dell’Ente» i. Ma egli sconosce l’Ente e ’ncomincia a conoscer le cose dalla sostanza; la qual è idea composta di due cose: d’una che sta sotto e sostiene, d’altra che vi sta sopra e s’appoggia.

Cotal maniera di filosofare diede lo scandalo a Benedetto Spinosa, uomo senza pubblica religione e ’n conseguenza rifiuto di tutte le repubbliche, e per odio di tutte intimò una guerra aperta a tutte le religioni. E non dando altro che la sostanza, e questa esser o mente o corpo, e non terminando né corpo mente né mente corpo; per tutto ciò stabili un Dio d’infinita mente in infinito corpo, e perciò operante per necessità.

Incontro a Spinosa si é fatto dalla parte opposta Giovanni Locke, il quale sullo stesso scandalo del Cartesio adorna la Metafisica d’Epicuro, e vuole che tutte l’idee sien in noi per supposizione ed essere risalti del corpo; e sì, è costretto a dar un Dio tutto corpo operante a caso. Ma il Locke veda s’ella è per

1 Platone non chiama in nessun luogo la Metafisica «Ontologia» («’OvxoXoyia» se mal, non «’Q’/zoXoyia.»); parola che pare si sia incominciata a usare nel secolo XVII. Ma forse il V. voleva intendere che per Platone la filosofia era «scienza dell’ente», «xoù 7iavxsXc&s owzo^», «toO ovxoìc, òvxog», come si dice infatti uelVEutid., p. 288 d; Phaidr., p. 247 d. [p. 244 modifica]244 LIBRO SECONDO — SEZIONE PRIMA CAPITOLO QUARTO

supposizione l’idea del vero Essere, la qual io mi ritraevo aver innanzi l’idea del mio essere, ch’è tanto dire quanto innanzi del mio supposto; la qual, perch’è del vero Ente (essendo del vero bene), mi mena a ricercare nel suo Essere l’esser mio: talché ella non mi è venuta dal mio corpo, del qual io ancor dubito dentro la dubitazion del mio essere. Dal corpo è nato il tempo; e dal corpo e dal tempo, che si misura col moto del corpo (ove non sia mente la qual regoli il moto del corpo) esce il Caso.

Con tali ragioni, se non andiamo errati, abbiamo scoverti manifestamente i paralogismi delle Metafisiche che tengono diverso cammino dalla platonica. Perocché quella d’Aristotile non è altro che la Metafìsica di Platone trasportata dal dialogo al metodo didascalico, che noi diremmo «insegnativo»; siccome Proclo, gran mattematico e filosofo platonico, con un aureo libro i portò i principii fisici d’Aristotile (che sono quasi gli stessi ch’i principii metafisici di Platone) al metodo geometrico.

Ora incominciamo ormai a ragionare partitamente delle subalterne scienze poetiche.

1 II V. vuole alludere alla Si;of)(£iwaig Beoì.ofi.Kri, di cui come si rileva da una sua lettera a mons. Muzio di Gaeta (cfr. Carteggio, ediz. Croce, p. 239) conosceva la traduzione latina di Francesco Patrizi (Procli Lycii Diadochi, platonici philosophi eminentissimi, Elemento theologica et physica, Opus omni admiratione prosequendum, Quce Fkanciscus Patricius de grcecis fecit latina, Ferrarite, Apud Dominicum Mamarellum, MDLXXXIII, Superiorum permissu).