La scuola moderna o sia la maestra di buon gusto/Nota storica
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NOTA STORICA
Nella primavera del 1743 il Goldoni, come tutti sanno, fu costretto ad abbandonare Venezia (vol. I della presente edizione, pp. 146-147 e 528) e si avventurò per un anno, o quasi, in Romagna, con la sua buona Nicoletta (oltre ai Mémoires, v. la Nota storica del Quartiere fortunato, vol. XXVI). Passò di là in Toscana, visitò Firenze, Siena e Volterra, e capitò a Pisa nel principio, come pare, del ’45 (vol. I, p. 525), dove fu accolto con tanta bontà che vi si stabilì e vi esercitò per tre anni "la professione legale": anni quieti e felici dei quali si ricordò più tardi il dottor veneziano con una specie di rimpianto (Mémoires e lettere di dedica del Servitore di due padroni, voi. I, della Pamela, vol. V, e del Tutore, vol. VII). Si sa pure che nel ’45, quasi per distrarsi dalle cure forensi, scrisse per invito del Truffaldino Sacchi, reduce dalla Russia a Venezia, il Servitore di due padroni (Mem.es e pref. della comm., vol. I), lasciando però la più parte delle scene a soggetto; e l’anno dopo compose lo scenario del Figlio d’Arlecchino perduto e ritrovato, che incontrò poi tanta fortuna in Francia. Nella state del ’47 ebbe il Goldoni la visita indimenticabile del Pantalone D’Arbes per il quale scrisse il Tonin Bella grazia (ossia il Frappatore, vol. II); e nel settembre, dopo la gita a Livorno e la conoscenza coi coniugi Medebach, si lasciò indurre a firmare l’impegno col capocomico veneziano, che lo legò per sempre al teatro. Partito da Pisa nella seconda metà d’aprile del ’48, risalutata Firenze, si recò per Bologna a Mantova, dove lo attendeva il Medebach; passò poi qualche mese a Modena, dal giugno alla fine d’agosto, e nel settembre rivide, dopo più di cinque anni, la sua Venezia. Tornava nella sua bella patria per farle il gran dono del teatro comico.
Al soggiorno del Goldoni a Pisa qualcuno volle attribuire anche un dramma giocoso per musica, che fu stampato e recitato per la prima volta a Firenze, come pare, nel 1745. Il frontespizio così dice:
LA VEDOVA | ACCORTA | commedia per musica | Da rappresentarsi in Firenze nel | Teatro di Via del Cocomero | Nell’Autunno dell’Anno 1745. | Sotto la protezione | di Sua Eccellenza | il Signor | principe di craon, ecc. | in firenze. | Nella Stamperia dirimpetto a S. Apollinare | pp. 63.
Manca il nome del poeta e quello del compositore, ma si leggono i nomi dei cantanti, fra i quali Caterina Bassi modenese, Angiola Tani di Firenze e il noto cantante e attore Pietro Pertici con la moglie Caterina Brogi. Nel carnevale seguente la stessa opera giocosa si eseguì a Venezia:
LA VEDOVA | ACCORTA | DRAMMA GIOCOSO PER MUSICA | Da rappresentarsi nel Teatro di s. cassiano | Il Carnevale dell’Anno 1745, | DEDICATO | alle dame. | in venezia, mdccxlvi | Appresso Modesto Fenzo. | in-24, pp. 64.
Poiché la stampa ha la data del 1746, bisogna intendere il carnevale dell’anno 1745 More Veneto, oppure dell’anno comico 1745-46; e in fatti nei codici marciani 1613-1614 cl. VII, che comprendono il Cattalogo di tutti li Drami rappresentati in Musica in Venezia dall9 anno 1637 fino al presente [1775] ecc., la Vedova accorta è segnata alla fine dell’anno 1745, ma una annotazione corregge la data dicendo: " Questo Dramma fu annotato qui per equivoco non essendo stato rappresentato se non che l’anno 1746" e invero trovasi ripetuto al n. 3 dell’anno 1746. Precede una dedica di N. N. alle Nobili Venerate Dame. Manca nel libretto e nel Cattalogo il nome del poeta. “La Musica de’ recitativi e delle arie segnate con * del Sig. Ferdinando Bertoni ma non si dice chi musicasse il resto. Cantanti principali: Elisabetta Ronchetti, Maria Angela e Carlo Paganini di Firenze, Rosa Tagliavini, Alessandro Cattaui di Cesena (v. anche Wiel, I Teatri Musicali Veneziani ecc., Venezia, 1897, p. 153).
La Vedova accorta fu rappresentata pure”nel Regio Ducal Teatro di Milano, nell’Estate dell’Anno 1746” e uscì colà per le stampe di Carlo Gius. Ghislandi. Precede l’Argomento, che qui riferisco: “Filiberto, Patrizio Fiorentino restato senza Genitori, si trovò in obbligo di assistere a due Sorelle già nubili, Rosaura ed Isabella, le quali essendo ricche di Nobiltà, ma povere di beni di fortuna, sperar non potevano ritrovar per loro alcun partito awantaggioso. Il Fratello per ben collocare alcuna di loro, più intento a procurarle uno Sposo ricco che nobile, le propose Giorgione di Reggello (piccola Terra poco discosta da Firenze), uomo rozzo e semplice, di nascita ignobile, ma ricco assai: a tal proposizione si spaventarono le due sorelle per essere innamorate, la prima di Ernesto, l’altra di Monsieur de la Mode, nobili ambedue, ma di mediocri assegnamenti; onde per tal motivo ricusarono costantemente di unirsi a Giorgione. Intesa da Lisetta, serva di casa, la lor repugnanza, come scaltra che era, tentò con varj mezzi tirare a sé questa fortuna: per ben riuscirvi si finge contadina Fiorentina sotto il nome di Mea (diminutivo di Bartolomea), sorella di Lisetta, poi Soldato fratello della medesima e con diverse invenzioni e timori obbliga finalmente Giorgione a sposarla, e da tali rigiri si prende il motivo di dare a questa favola il titolo di VEDOVA ACCORTA”. - Il testo corrisponde esattamente all’edizione di Firenze. Cantanti principali: Eugenia Mellini, Caterina Bassi Negri, Costanza Rossignoli, Pietro Pertici con la moglie, e Anna Tonelli. Mancano i nomi del poeta e del compositore.
Corrado Ricci, togliendo dal Montefani, ricorda una recita nel teatro Formagliari a Bologna, nel carnevale 1748 (I Teatri di Bologna ecc., Bologna, 1888, p. 463), ma nulla sa degli autori. Nello stesso carnevale troviamo un Intermezzo a Livorno, teatro S. Sebastiano, pure intitolato la Vedova accorta, ma il testo è diverso, benché i due personaggi sieno ancora Lisetta e Giorgione e i cantanti Mariangiola e Carlo Paganini. La musica poi viene attribuita nel libretto nientemeno che al Pergolesi (certo rubacchiata ad altri Intermezzi, come ben dice il dottor Ulderico Rolandi nel comunicarmi con somma cortesia tali notizie). La Vedova accorta compare nuovamente a Firenze nella primavera del 1748, nel teatro di via Cocomero, sotto nuovo titolo: la Vedova spiritosa (del libretto mi diede gentile notizia il Rolandi), che ci fa ricordare una commedia del Goldoni (vol. XIV). Altra recita e altra stampa a Parma (R. Stamp. Monti: il libretto è nella biblioteca del Liceo Musicale di Bologna), due anni dopo (l’imprimatur è dei 10 ott. 1750). Le prime cinque scene corrispondono all ed. fiorentina, ma poi le ariette, specie nel secondo atto, sono quasi tutte cambiate. Altra recita e stampa (per il Sassi) l’anno seguente a Bologna, taciuta dal Ricci (imprimatur dei 22 giugno 1751): esecutori Caterina Bassi Negri, Francesco Carattoli e Costanza Rossignoli Carattoli, Domenica Lambertini ecc. Il testo, salvo lievi modificazioni, corrisponde a quello di Parma (presso il Liceo Mus. di Bol.). Nell’uno e nell’altro libretto mancano i nomi del poeta e del compositore.
Gli editori veneziani della Drammaturgia Allacci (Ven. 1755) ricordano la stampa di Venezia, ma non conoscono l’autore della poesia: anche il Wiel tace. Lo Spinelli, autore della Bibliografia Goldoniana, sembra ignorare questo libretto. Ma Cesare Musatti ne’ suoi "appunti bibliografici" su I drammi musicali di C. Goldoni (Venezia, 1902, p. 21) credette di poterlo assegnare al commediografo veneziano. Ora nel codice marciano 2326, cl. VII, intitolato Catalogo purgatissimo di tutti li Drammi per musica recitatisi nei teatri di Venezia dall’anno 1637 sin oggi di Antonio Groppo, si trova segnata nell’anno 1746 la recita della Vedova accorta con questa indicazione: "Poesia: Borghesi Fiorentino". Così pure in un fascicoletto ms. intitolato Aggiunta al catalogo dei Drammi per musica di A. Groppo, unito al noto Catalogo a stampa del Groppo, è indicata la recita "d’inverno" della Vedova accorta nel 1746 "P. [poeta] Borghesi,. M. [maestro] Ferd. Bertoni e altri" (comunicazione di Tullio Ortolani). È strano che sulla scheda del libretto della Vedova accorta, presso la Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma, come gentilmente mi avverte il dott. Rolandi, si legga "testo di Ambrosio Borghesi - v. Groppo, Catalogo ecc. " (un Ambrosio Borghesi, poeta palermitano, è ricordato dall’Allaca, sulla metà del Seicento). Di qui tolse certamente lo Schatz, che della Vedova accorta fece autore un Ambrosio Borghese (v. Sonneck, Catalogue of Opera librettos printed before 1800, Washington, 914, vol. I, p. 1119).
Il nome del Goldoni compare per la prima volta, come sembra, in una nota a penna sulla ristampa milanese della Vedova accorta, nella Collezione Silvestri che da Milano passò ad arricchire la Biblioteca di S. Cecilia a Roma (comunicazione del dott. Rolandi). Probabilmente lo stesso Ludovico Silvestri, fra il 1860 e il ’70, credendo forse a una parentela fra la Vedova accorta e la Vedova scaltra, attribuì il libretto al nostro autore. Di qui ricavò indirettamente la notizia il Musatti, il quale credette che il nome del Goldoni fosse veramente impresso sulla stampa di Milano; e sulla fede del Musatti più volte il Bustico ripetè l’involontario errore (v. C. Goldoni e i suoi libretti musicali, in Rivista di cultura, Roma, 30 giu. 1921, p. 266; Drammi, cantate ecc. di C. G., dalla Rivista delle Biblioteche ecc., III, 1925, p. 60 e Ferdinando Bertoni, in Gazzetta di Venezia, 19 luglio 1927).
Certo è che il Borghesi conobbe l’Intermezzo goldoniano che ha per titolo Monsieur Petiton (vol. XXVI), se pure non si valse della imitazione del Palomba, poiché ne trasse il personaggio di Monsù della Mode, al quale 9 regalò addirittura un’arietta del Goldoni, là dove celebra Parigi: “Qui ne voit Paris, ne voit rien au Monde” (atto II, sc. 5, ed. di Firenze). Il personaggio poi di Giorgione deriva dal Pourceaugnac di Molière, come avvertì il Toldo (L’oeuvre de Molière, 1910, p. 433, n. 2). Ma lo stesso Goldoni lesse o udì (forse a Firenze nella primavera del ’48?) la fortunata operetta del Borghesi, che gli suggerì probabilmente il titolo e quindi l’idea prima della Vedova scaltra, rappresentata per prova a Modena, nell’estate del ’48, secondo quello che afferma l’edizione fiorentina del Paperini (t. III, 1753). Si badi che le prime scene della Vedova accorta si svolgono in una “bottega da caffè” che dà sulla piazza (v. già l’Intermezzo goldoniano, 1736: vol. XXVI) ed Ernesto si lagna di aver perduto al giuoco il suo denaro in casa di Pamfìlia: chi non si sovviene di Eugenio e della “biscazza” di Pandolfo nella famosa commedia del 1750, la Bottega del caffè? Questo poi è più convincente: l’arietta di Macacco, introdotta dal Goldoni nell’Intermezzo dei Tre gobbi rivali amanti di Madama Vezzosa per il maestro Ciampi, nel 1756: “Dolce stral del Dio bambino ecc.” (v. vol. XXVI, pp. 435-436) è cantata da Giorgione (atto I, sc. 5) nell’edizione fiorentina della Vedova accorta.
Di tale arietta solo i tre primi versi furono conservati nell’edizione veneziana del 1746, nella quale troviamo parecchi mutamenti: per esempio, cosa rara, fu aggiunta proprio sul principio una scena seria, che finisce con un’aria tolta dall’Ipermestra del Metastasio: “Io non pretendo, o stelle ecc.” Quattro altre arie furono ricavate, senza alcuna licenza, dalla gran miniera del poeta romano. Notevole anche questo, che l’azione non ha più luogo a Firenze, bensì a Padova, e Lisetta, l’astuta vedovella, già serva nel libretto Fiorentino, e qui “governatrice” di Rosaura e Isabella, nel suo travestimento da contadina non parla più il linguaggio dei Mei e dei Ciapi toscani, bensì il dialetto pavano, come già i personaggi del Ruzzante. E inutile aggiungere che la Vedova accorta del Borghesi non è per nulla un capolavoro, ma non è nemmeno fra i libretti più insipidi, e qua e là ci attira, come Madama Ciana (1740), per la satira del costume, precorrendo in certo modo, con i migliori Intermezzi del tempo, la commedia goldoniana.
⁂
Sbarazzato così il terreno dalla Vedova accorta, veniamo alla Scuola moderna. Il Goldoni, parlando nelle sue memorie italiane delle condizioni del teatro in Italia nel 1734, ricorda fra gli scenari dell’Arte che “correvano” allora sulle scene, “alcune Commedie dette di carattere”, come il Conte Pasticcio, la Maestra di scuola, il Paroncino ed altre; “ma i caratteri erano falsi, fuor di natura e sacrificati al grossolano” (vol. I della presente ed., p. 103). Senza dubbio da uno di quegli scenari ebbe origine il seguente libretto per musica:
la | MAESTRA | commedia per musica di | Da rappresentarsi nel Teatro Nuovo sopra Toledo nella Primavera | di questo corrente Anno | 1747. | Dedicata a Sua Eccellenza | la Signora | D. Faustina | De Cardenas ecc. | In Napoli, MDCCXLVII. | A spese di Domenico Lanciano ecc. | p. 64. — Questi sono i personaggi: “Leonora, figlia di Fazio, amante di Ottavio, - Ottavio, amante di Leonora. - Drusilla, donzella scaltra. Maestra e governatrice in casa di Fazio, amante di Pistone. - Flaminio, giovane bizzarro, amante di Leonora. - Fazio, padre di Leonora, uomo credulo amante di Drusilla. - Checca, fante di Fazio, fanciulla spiritosa. - Pistone, servidore di Fazio, che finge lo sciocco, amante di Drusilla”. La scena è in Napoli “e proprio in una galleria civile della casa di Fazio”. La musica “è del Sig. Gioacchino Cocchi, Maestro di Cappella Napoletano”.
Così si apre la prima scena: “Leonora ricamando, Drusilla lavorando merletti. Checca leggendo un libro, e Pistone scrivendo al tavolino, indi Fazio nell’atto di uscire da una bussola che introduce ad appartamenti interiori”.
Tutti intenti a lavorar.
Leonora. Adorato genitore, (gli bacia la mano
A’ tuoi cenni io sono qua.
Fazio. Che modestia, che bontà!
Checca. Padron caro, io me gl’inchino, (gli bacia la mano
Fazio. Oh che garbo modestinol
Drusilla. Mio signore, come soglio,
Son sua serva, già si sa. (gli bacia la mano
Fazio. O che donna di condottai
Pistone. Già Pistone ve sta sotta: (gli bacia la mano
Stace a buje lo commannà.
Fazio. Oh che gran semplicità.
Fazio ammira il progresso di Leonora ne’ ricami e di Checca nella lettura (ella sta leggendo il Decamerone). Poi viene la volta di Pistone che recita l’alfabeto:
A, a, be, ce, qu... oh potta! ecc.
Checchina partendo canta un arietta graziosa;
Io sono una ragazza
Che quando vo per piazza.
Nessun mirando vo ecc.
La Maestra del Cocchi ebbe molta fortuna: fu ripetuta a Bologna nello stesso anno (teatro Formagliari: libretto presso il Liceo Musicale), nel ’48 a Modena, un po’ raffazzonata, con musica d’altri autori (teatro Molza: v. Gandini. Cronistoria dei teatri di Modena, Modena, 1873, P. I, p. 61), nel ’51 ancora a Napoli, con musica pure del Latilla e del Cordella (teatro ai Fiorentini: v. Scherillo, Opera buffa ecc., p. 281), nel carnevale del ’54 a Venezia (teatro S. Cassiano; v. Wiel, p. 201) e nel luglio e agosto a Sinigaglia (teatro Condominale: v. Radiciotti, Teatro, musica e musicisti in Sinigaglia, Milano, 1893, p. 45), nel ’57 a Milano (teatro Ducale: libretto presso il Liceo Music, di Bol.). Nel 1760 fu rappresentata nel teatro Capranica, a Roma, ridotta a semplice intermezzo in due parti (v. libretto presso il Liceo Music, di Bol.). Trovo poi a Napoli nel ’73 una Maestra musicata dal Corbesieri (libretto del Liceo Music, di Bol.) e un Intermezzo con lo stesso titolo a Firenze nell’84 (c. s.).
Fin dal principio del Seicento tra le Forze famose di Vincenzo Braca salernitano vediamo quella de la Maestra e quella de lo Maestro de scola; una farsa intitolata le Maitre d’école fu attribuita, com’è noto, a Molière; un Arlecchino maestro di scuola recitò nel 1716 il Riccoboni a Parigi. Ma solo nelle prime scene il Palomba ci fa assistere alla commedia della scuola, poiché Drusilla, maestra d’amori e di finzioni, è poi la solita civetta che fa all’amore col giovinetto (Pistone) e intanto lusinga il vecchio (Fazio) per carpirgli la dote. Ella inoltre asseconda gli amori di Leonora con Ottavio e Flaminio a un tempo, finché l’ultimo, violento e geloso, vien respinto per il bel giovinetto forestiero. Nessuna meraviglia che da certe maestrine e maestri privati, di Napoli e di tutta Italia, all’ombra dell’ipocrisia si insegnasse piuttosto la corruzione che la scienza (v. il Padre di famiglia del Goldoni, voli. III). L’azione, specialmente nella parte seria degli amori di Leonora, è un viluppo balordo: più vivo Pistone, personaggio buffo che parla napoletano. Nell’edizione bolognese il dialetto ru voltato in lingua italiana, e vivacità e spirito dileguarono.
A Venezia non si cantò nel ’48 la Maestra del Cocchi, ma l’argomento invogliò probabilmente il maestro Ciampi a musicare di nuovo quel libretto. Giunto in patria il Goldoni, come vedemmo, sulla fine dell’estate, per dedicarsi alla creazione della commedia vagheggiata da tanti anni, qualcuno lo pregò di riformare il libretto del Palomba per il teatro di S. Moisè; e in due o tre giorni l’avvocato veneziano, che stava pensando alla Putta onorata, ne cavò la Scuola moderna o sia la Maestra di buon gusto. Forse voleva “mutar tutta l’opera”, come dice l’avviso all’amico lettore, ma non essendo bastato il tempo, rimasero qua e là taluni residui del libretto napoletano, o piuttosto dell’edizione bolognese di cui si valse il Goldoni. Tolta però la prima scena, il testo è tutto cambiato. Leonora coltiva ancora un amoruccio che Drusilla favorisce, ma Flaminio e Ottavio sono spariti. Il Goldoni vi ha sostituito tre nuovi personaggi che formano un episodio insipido, a dir vero, il quale nulla ha da che fare col resto, cioè con la Scuola moderna: la vedova Doralba, non più giovane, tuttavia vogliosa di marito, tiranneggia la nipote Rosmira, e cerca invano di strapparle l’innamorato Ergasto, finché non si adatta a sposare il vecchio Belfiore (già Fazio), che ha scoperto gli inganni di Drusilla. Il personaggio comico di Lindoro, il quale corrisponde al Pistone del Palomba, non riacquista il carattere suo vivace, nè si rialza al di sopra del libretto bolognese. Solo in Drusilla e in Belfiore, cioè nell’eterna Mirandolina e nel vecchio ringalluzzito, il Goldoni seppe spirare qualche soffio di vita comica, specialmente nelle scene 3 e 4 del I atto, che non si leggono senza piacere. Tutto il resto è insoffribile: vero pasticcio per musica, lontano dal regno della poesia e dell’arte. Invano tenta ancora di sedurci qualche arietta di cadenza metastasiana, rifatta abilmente dall’improvvisatore veneziano:”Se lagrimar mi vedi, - Pianto sarà d’amore ecc. " (atto II, sc. 8). 44 Ma pur se volete, - Begli occhi, che mora, - Chi fido v’adora, - Morire saprà ". (atto III, sc. 3).
Il libretto stampato a Venezia non ci dà il nome nè del poeta, nè del compositore della musica. Gli editori e continuatori veneziani della Drammaturgia di L. Allacci (Venezia, 1755) scrivono: "Poesia d’Incerto Autore, ma riformata dal Dottor C. Goldoni", musica "di Diversi".
La recita ebbe luogo nel teatro di San Moisè, in quello stesso autunno del 1748 (v. Wiel, p. 169). L’anno dopo si rappresentava a Verona La Maestra di scola e il libretto attribuiva “la poesia delle parti buffe” al Goldoni e “la musica buffa” a Vincenzo Ciampi (v. qui p. 218). In questo nuovo dramma l’azione, già trasportata dal Goldoni a Venezia, si svolge a Livorno: l’episodio goldoniano degli amori di Doralba, Rosmira ed Ergasto è sostituito da un altro più romanzesco e stupido, che non vogliamo attribuire all’autore della Vedova scaltra: certo Filauro, vestito da turco, dopo cinque anni viene dal Levante in cerca della moglie, ma afflitto da gelosia non si scopre che all’ultimo, quand’è fatto sicuro della fedeltà della sua Elisa. Vi sono pure due amanti alla moda, ossia senza gelosie, Flavia e Lelio. La parte comica, vale a dire le scene d’amore di Drusilla, Belfiore e Lindoro, seguono abbastanza fedelmente la Scuola moderna: delle varianti che abbiamo riferito in Appendice, fu proprio autore il Goldoni? È lecito dubitare. Certo l’arietta più graziosa: “Son tenerina, - Son ragazzina”, cantata da Leonora, appartiene a Checca nella Maestra del Palomba.
Non sembra che la Scuola moderna nè la Maestra di scola musicate, in parte almeno, dal Ciampi, abbiano goduto molta fortuna, poiché anche dopo il ’50 abbiamo visto qua e là riapparire sui teatri la Maestra napoletana musicata dal Cocchi, e ciò a Venezia stessa, nel 1754 (v. Wiel, p. 201: i personaggi sono quelli del Palomba). La Scuola moderna ossia la Maestra di buon gusto e la sua gemella veronese sparirono, credo, per sempre. Il Goldoni non fa nessuna menzione di questi suoi pasticci poetici: nessuno li raccolse fra i suoi drammi giocosi fino al 1795, quando lo Zatta, morto ormai l’autore, ristampò la Scuola moderna nel tomo 42 (t. 8 cl. IV) delle Opere teatrali del fecondo poeta veneziano.
Molti anni dopo, il dotto E. C. Cicogna stampò un opuscolo col titolo seguente: “Mia Drusilla - Particella d’aria scritta da C. Goldoni e posta in musica dal maestro G. Cocchi, pubblicata per le fauste nozze del signore Edoardo Guillon Mangilli colla contessina Drusilla di Serego Ailighieri”, Venezia, tip. Merlo, 1862. L’arietta è ricavata dal libretto della Maestra edito a Venezia dal Fenzo nel 1754, e comincia: “Mia Drusilla, allorché voglio - Da te lungi andar un passo ecc.”; ma quantunque il Cicogna invochi l’autorità del Groppo nelle “giunte a penna” fatte al noto Catalogo, sappiamo come essa appartenga al poeta Antonio Palomba; e si legge in fatti nella Maestra edita a Napoli nel 1747 (atto I, sC. 2).
Del maestro Ciampi dirò nella prossima nota del Bertoldo.
G. O.