La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo VI

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Capitolo VI.

Come prendemmo il mare a Marsiglia, e come si navicò sino a Cipri.


Noi entrammo nel mese d’Agosto di quell’anno nella nave alla Roccia di Marsiglia, e quella nave era detta Uscieri, sicché ne fu aperto l’uscio per farvi entrare i nostri cavalli che dovevamo menare oltre mare. E quando tutti furono entrati, l’uscio fu rinchiuso e istoppato e impeciato, così come si vorrebbe fare ad una botte da vino, per ciò che quando la nave è in alto mare, tutto quell’uscio è nell’acqua. E tantosto il Maestro della nave si gridò a sue genti ch’erano al becco della nave1: Vostra bisogna ènne presta, e siam noi al punto? Ed essi rispuosero, che sì veramente. E quando li Preti e Cherci furo entrati, egli li fece tutti montare nel cassero della nave, e li pregò cantassero e lodassero [p. 48 modifica]il nome di Dio sì che ci volesse tutti condurre a bene. E tutti ad alta voce cominciaro a cantare quel bell’inno Veni Creator Spiritus di motto in motto; ed in cantando così li marinai fecero vela da parte di Dio. E incontanente il vento s’imbottò nella vela, di che la nave abrivando ci fè perder di vista la terra sì che non vedemmo più che cielo e mare: e ciascun giorno ci allontanavamo più del luogo donde noi eravamo partiti, e più cresceva il periglio. E per ciò io voglio ben dire che colui è matto e folle, il quale sa avere qualcosa dello altrui od alcun peccato mortale nell’anima sua, e si butta in tale risicoso dannaggio, perchè, se l’uomo s’addorme a sera, egli punto non sa se al mattino egli si troverà anche sulla nave, o sotto tutte l’acque del mare.

Ora vi dirò la prima cosa meravigliosa che ci arrivò in mare. Ciò fu una gran montagna tutta rotonda che noi trovammo davanti Barberìa intorno l’ora di Vespro, e quando noi l’avemmo passata, tirammo oltre tutta quella notte. Quando venne il mattino noi pensavamo aver fatto ben cinquanta leghe e più, ma che è che non è, noi ci trovammo ancora davanti quella gran montagna. Chi funne isbalto ne fummo noi, e tantosto navigammo a gran forza siccome innanzi tutto quel giorno e la notte seguente; ma ciò fu tutt’uno, perchè noi ci trovammo ancor là. Allora ne fummo più di prima ismarriti, e temevamo esser tutti in forte periglio di morte, perchè e’ marinai dicevano che tantosto li Saracini di Barberìa ci verrebbono a correr sopra. [p. 49 modifica]In quella ci ebbe un prod’uomo di Chiesa assai buono che venia detto il Decano di Maurù, il quale ci disse: Signori, giammai in parrocchia alcuna io non vidi persecuzione per forza o per diffalta d’acqua, o per altro bisogno od inconveniente, che, quando lo si avesse fatto devotamente a Dio la processione per tre volte in dì di Sabbato, che il buon Dio e la Santa sua Madre non le deliverasse di male e non le rammenasse a ciò appunto che domandavano. Or sappiate che quel dì era Sabbato, perchè tantosto cominciammo a far processione allo ’ntorno degli alberi della Nave. E ben mi sovviene ch’io stesso mi fei menare sorreggendomi sotto le braccia per ciò ch’io era molto fievole per malattia. E incontanente cominciammo a perdere la vista di quella montagna, e fummo in Cipri il terzo Sabbato da che fu fatta nostra terza processione.

  1. Al rostro, od a prua.